New Amsterdam: recensione della serie TV con Ryan Eggold
Al New Amsterdam, l'ospedale pubblico più antico d'America arriva il dottor Max Goodwin che ha intenzione di cambiare il sistema che vige all'interno, ponendo il paziente al centro di tutto. Un medical drama scandito dai ritmi incessanti delle corsie e dai sentimenti.
New Amsterdam è la serie ideata da David Schulner e prodotta da NBC, ispirata al libro Twelve Patients: Life and Death at Bellevue Hospital, scritto da Eric Manheimer, ex direttore sanitario del Bellevue Hospital di New York City e in veste di produttore per la serie. Figura centrale è quella del Dottor Max Goodwin interpretato da Ryan Eggold, che come nuovo direttore sanitario del New Amsterdam si impegna a far competere il primo ospedale pubblico di New York con le strutture private.
Intorno a lui diverse le figure di medici che Goodwin cerca di coinvolgere attivamente per fare squadra, ricordando a ciascuno di loro che ogni atto del proprio lavoro è finalizzato a prendersi cura dei proprio pazienti e a garantire la massima qualità delle cure. La serie infatti più che concentrarsi sui casi e sui ritmi incessanti della vita in corsia, che fanno da contorno e arricchimento, si focalizza sul valore e sul ruolo di responsabilità e umanità che richiede essere medici.
New Amsterdam: la trama del medical drama con Ryan Eggold
Come posso aiutare?, questa è la domanda con cui il Dottor Max Goodwin (Ryan Eggold) nel suo primo giorno di lavoro al New Amsterdam come nuovo direttore sanitario si presenta ufficialmente al personale medico della struttura, licenziando immediatamente in tronco tutto il reparto di cardiochirurgia, che antepone il fatturato alla qualità delle cure.
Ad accogliere subito il suo spirito d’animo combattivo e determinato è la Dottoressa Bloom, primario del pronto soccorso e alla segreta conquista del collega Floyd Reynolds (Jocko Sims), per il quale mette una buona parola davanti al dottor Goodwin, evitandogli il licenziamento, ma anche lo psicologo Iggy Frome (Tyler Labine), primario di psichiatria decisamente anticonvenzionale e pronto a tutto pur di proteggere i suoi pazienti dalle dinamiche ospedaliere. Sfuggente invece è la bravissima e carismatica Dottoressa Sharpe (Freema Ayeman), che si occupa ormai più di relazioni al pubblico e ospitate televisive per promuovere la struttura più che del suo ruolo di medico.
Risolutivo, schietto e determinato sul lavoro, Max Goodwin non riesce ad avere lo stesso successo nella vita privata, che difficilmente riesce a conciliare con il lavoro. Ma il nuovo capitolo lavorativo al New Amsterdam è per lui la possibilità di ricominciare a ricostruire se stesso come medico e come futuro padre.
New Amsterdam: una serie che racconta la profonda responsabilità dell’essere medici
C’è ritmo, la giusta dose di sentimentalismo alla Grey’s Anatomy che conquista subito lo spettatore più sensibile, e un protagonista carismatico che si fa amare subito dalle prime battute dell’episodio pilota sulle note di I got you di James Brown: sono tutti gli ingredienti che fanno di New Amsterdam un medical drama nel complesso godibile e credibile, che con una fotografia calda e brillante e la giusta dinamicità – che sembra rubare ad una New York che non può dormire mai- ricorda le vecchie serie mediche degli anni ’90, apportando modernità nei temi trattati, fortemente legati all’attualità.
Da questo punto di vista New Amsterdam va guardata senza aspettarsi qualcosa di nuovo o rivoluzionario, perché è una serie che mescola momenti comici a drammatici, mettendo in pratica la lezione che grandi serie mediche di successo hanno saputo offrire, privilegiando un mood sentimentale.
La vita privata dei medici protagonisti della serie scorre e si intreccia con la loro vita quotidiana e con i casi dei pazienti, che diventano un’occasione per valorizzare o svelare sfumature della personalità di ciascuno di loro, contribuendo ad offrire allo spettatore un quadro completo di ciascun medico che prima ancora di essere tale, è un umano con i suoi problemi, dubbi, gioie e dolori. Ed è proprio questo aspetto ad essere il filo rosso della comunicazione segreta tra medico e paziente, fatta di sguardi e non detti, che la serie arricchisce e intesse con dialoghi mai didascalici o invasivi.