Only Murders in the Building – Stagione 3: recensione della serie TV
Only Murders in the Building ritorna con l'attesa terza stagione dall'8 agosto 2023 su Disney+. Steve Martin, Selena Gomez e Martin Short alla prese con Broadway, l'ennesimo delitto, i podcast e... Meryl Streep.
Ci sono molti modi per segnalare che il tuo show ha successo: puoi lasciarti divorare dai dubbi, immolare il budget in un’orgia di eccessi pretenziosi, moltiplicare senza costrutto sfondi e linee narrative. Oppure, molto più semplicemente (ed efficacemente), ingaggi Meryl Streep. Detto fatto, Only Murders in the Building torna con la sua attesa terza stagione a partire dall’8 agosto 2023 su Disney+, inizialmente con i primi due episodi, per proseguire poi al ritmo di uno a settimana fino a ottobre (10 in tutto). Delitto, umorismo, podcast true crime, amicizia trasversale a un mucchio di cose (età, filosofia di vita), New York. Una combinazione interessante, ma c’è sempre il rischio di arrivare al punto in cui non si ha più niente da dire, ma si va avanti lo stesso. La domanda giusta, dopo tre stagioni, è la seguente: come si fa a conservare la freschezza della premessa, senza tradimenti e aprendosi alle novità?
Una risposta sensata può essere: andando a Broadway. Only Murders in the Building è una creazione di Steve Martin, Dan Fogelman e John Hoffman. In questa terza stagione il sipario si alza su ansie, gioie, fatica e segreti del teatro musicale. I palcoscenici più desiderati del mondo, lo spettacolo più scintillante. La morte, violenta certo, ma immersa in una cornice umoristica. Con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez, Paul Rudd, Ashley Park e, va da sé, Meryl Streep. È con lei che la storia comincia, corretto che la recensione si adegui.
Only Murders in the Building – Stagione 3: e la morte arrivò a Broadway
Come Loretta Durkin (Meryl Streep) ce ne sono poche di attrici. Peccato che non se ne sia mai accorto nessuno. Incerti del mestiere: un’occasione persa che si aggiunge a un’occasione persa che si aggiunge a un’ulteriore occasione persa e intanto il tempo passa, i rimpianti aumentano, la fatica si accumula. Il teatro seduce Loretta che è solo una bambina; scopre una vocazione e promette a se stessa che diventerà una grande attrice. E invece. Toccherà a Oliver Putnam (Martin Short) salvarla dall’oblio, affidandole una parte da non protagonista nello spettacolo teatrale che segna il suo ritorno sulle scene dopo anni di ingiusto esilio. Potenza di un podcast di successo; tra l’altro è una pièce che parla di omicidi. Disgraziatamente per Oliver, anche stavolta la linea sottile che separa vita e fiction viene clamorosamente oltrepassata. E così, quello che parte come uno spettacolo sul delitto, diventa molto rapidamente uno spettacolo con delitto.
Il morto si chiama Ben Glenroy (Paul Rudd), una delle poche cose che si possono raccontare della terza stagione di Only Murders in the Building senza paura di ritorsioni, perché così si era conclusa la seconda. Ricardate? Ben che collassa sul palco, forse vittima di un avvelenamento, chissà, dopo aver litigato in maniera sgradevole con Charles (Steve Martin). Ben era una star di Hollywood senza esperienze in campo teatrale: ego gigantesco, carattere impossibile, un fratello manager fragile e insicuro. Aveva scelto Tobert (Jesse Williams), documentarista rampante, per filmare ogni attimo dell’attesissimo esordio teatrale. In realtà, da bravo appassionato di true crime, Tobert finirà per dar manforte ai nostri nelle indagini. Collaborerà soprattutto con Mabel (Selena Gomez), perché il trio in questa terza stagione appare un po’ sfilacciato.
Only Murders in the Building è sempre stata una storia divisa per tre. Ma il tempo passa anche per Oliver, Charles e Mabel. Mai stati così amici, forse per questo pensano di accantonare podcast e omicidi una volta per tutte. Peccato che definitivamente sia una parola che in tv non funziona, specialmente se il tuo show è un grande successo. E così, lo vogliano o meno, la morte torna a bussare alla porta dei protagonisti. L’Arconia Building non è più l’esclusivo teatro di tutte le cose importanti che capitano nella serie, omicidi compresi. Rimane centrale, certo, in un modo che non va assolutamente spoilerato, ma questo slittamento di prospettiva è il segnale di una storia che, per sopravvivere, prova a rimescolare le carte, senza tradirsi. Le cose importanti non cambiano; Charles, Mabel e Oliver hanno ancora un disperato bisogno l’uno dell’altro. La loro è un’alchimia intessuta di gap generazionale, fragilità, paura della solitudine, risate. E una smodata passione per il true crime.
La vita, la morte: tutto è teatro in questa terza stagione
Only Murders in the Building e la sua gattopardesca terza stagione: cambiare molto perché non cambi nulla. I punti fermi: un delitto, un podcast e tre improbabili amici alle prese con un groviglio di false piste, passioni morbose e verità sconvolgenti. Steve Martin, prigioniero a vita del suo buffo narcisismo e della patologica incapacità di affrontare in modo maturo una vita di relazione. Selena Gomez, che nasconde le sue fragilità e il bisogno di calore umano dietro una cortina di implacabile sarcasmo. Martin Short, incarnazione vivente dello show business, un mattatore nell’anima. Il surplus di sapore, per questa terza stagione, arriva da un ingrediente che ha sempre esercitato una profonda influenza sulla serie, mai in modo così esplicito. Il teatro.
Il teatro è uno sfondo, un mezzo espressivo, un set di regole e convenzioni di messa in scena. Il contenitore di un delitto dai misteriosi moventi. Ma non basta. No, il teatro, Broadway, è la cotta non così segreta di Only Murders in the Building. Uno stato mentale, un’esplosione di luci, colori e emozioni forti. E se la forma narrativa è quella classica, il procedurale investigativo sui generis, la serie da qui parte per esplorare gli alti e i bassi, le tensioni, le follie e le gratificazioni del processo creativo. Una scelta di pura coerenza. La riflessione portata avanti sin dalla prima stagione e incentrata sui rischi e le trappole della spettacolarizzazione della vita e della morte, è condotta alle estreme conseguenze. La morte è nel teatro, la morte è il teatro. La teatralità della violenza, la teatralità dei sentimenti, delle azioni e delle reazioni, il tono sopra le righe del racconto: tutto per e nel teatro. L’ambiente (Broadway) condiziona l’uomo e le sue pulsioni più segrete. E viceversa.
Ma non c’è teatro senza attori. Come si concluderà questa terza stagione di Only Murders in the Building non è risposta da cercare in queste righe, la recensione copre otto episodi, ne mancano due e chissà quante cose ancora possono accadere. Tutti sospettati, tutti colpevoli, tutti innocenti. Non è (ancora) dato di sapere cosa significhi realmente Loretta per la storia. Certo, accettando di abitare il personaggio di un’attrice frustrata dal mestiere nonostante l’enorme talento, Meryl Streep “aggredisce” frontalmente il suo mito. Disegnando i contorni di un gigantesco what if – chiedersi, tramite Loretta, come sarebbero andate le cose se non ce l’avessi fatta? – la più importante (non l’unica, però) e celebrata attrice americana esplora ansie, frustrazioni e gelosie di un mestiere. Con insolita sincerità. Celebra la sua leggenda facendola a pezzi e ricomponendola. Ne fa spettacolo. Tutto è spettacolo in Only Murders in the Building. Questo il rischio, questa la ricompensa.
Only Murders in the Building – Stagione 3: conclusione e valutazione
Il segreto del successo di Only Murders in the Building è New York, il true crime, l’Arconia, l’omaggio al podcast, anche e soprattutto l’interazione – perfettamente squilibrata – di Martin Short, Steve Martin e Selena Gomez. In più c’è il teatro musicale. Broadway regala a questa terza stagione una cornice ideale, luce e colore. Anche numeri musicali, di fatto è un quasi musical. Affidare a un’attrice dal clamoroso successo come Meryl Streep l’incombenza di dar vita al suo doppio – quella brava ma che non è riuscita a sfondare – per di più in una parte da non protagonista, è un ironico contrasto che sprigiona scintille. Di vita, di spettacolo. Omicide, è tutto da vedere.