Orange Is the New Black – Stagione 7: recensione della serie tv Netflix
Una delle serie di punta della piattaforma Netflix sta per volgere al termine: la nostra recensione della stagione finale di OITNB.
Dal 26 luglio su Netflix la settima ed ultima stagione di Orange Is the New Black: una delle serie culto degli ultimi dieci anni e punta di diamante della piattaforma streaming.
Le donne di Litchfield si congedano dal pubblico dopo sei anni dalla messa in onda del primo episodio e dopo aver raccontato le brutture e le contraddizioni non solo del sistema carcerario americano, ma di tutta la società e la politica statunitense.
Anche in quest’ultima stagione la serie firmata da Jenji Kohan e ispirata al libro autobiografico di Piper Kerman Orange Is the New Black: My Year in a Women’s Prison si rivela specchio inquietante della contemporaneità, degli Stati Uniti di Donald Trump, della terra del sogno americano infranto da povertà, violenza, disumanità.
OITNB: Dove eravamo rimasti?
Alla fine della sesta stagione vediamo Alex Vause (Laura Pepron) e Piper Chapman (Taylor Schilling) dichiararsi amore eterno prima che quest’ultima venga rimessa in libertà mentre Taystee Jefferson (Danielle Brooks) viene condannata all’ergastolo per l’omicidio di secondo grado (non commesso) dell’agente Piscatella (Brad William Henkea) a seguito della rivolta delle detenute, avvenuto alla fine della quinta stagione. Intanto Lorna Morello (Yael Stone) sta per partorire e Blanca Flores (Laura Gomez) viene rilasciata per poi essere caricata su un pullman che trasporta immigrati.
Con la settima stagione OITNB conferma la capacità di sapersi rinnovare fino all’ultimo raccontando nuovi aspetti e nuove storie dell’universo femminile e criminale senza ipocrisie, con pungente sarcasmo, non assolvendo nessuno dei personaggi dai loro effettivi sbagli. Tra errori giudiziari, redenzioni difficili da raggiungere e scarcerazioni fallimentari quello che ancora una volta colpisce è la forza e la caparbietà delle donne sottoposte a ogni tipo di difficoltà e ingiustizia in ogni parte del mondo, dentro e fuori dal carcere. I ritratti delle donne di Lietchfield, lungi da essere retorici vessilli di femminismo spicciolo, rappresentano i migliori esempi di scrittura seriale degli ultimi anni: personaggi sbagliati, spietati, fragili. Le “ultime” che la società, la famiglia, la loro stessa natura hanno portato alla rovina.
Orange Is the New Black – Il carcere non finisce mai
Torna, come nel primo episodio della prima stagione, la voce fuori campo di Piper che stavolta racconta la sua nuova vita in libertà: tante le difficoltà e le tentazioni e grande la nostalgia di Alex che ha ancora tre anni da scontare. “Continuano a punirti anche dopo che hai scontato la pena” è la frase perentoria di Piper che riassume la situazione di qualsiasi detenuto rilasciato. Gli errori sono sempre dietro l’angolo, la diffidenza tanta, la “puzza” di prigione rimane attaccata addosso, i crimini commessi non si cancellano facilmente. Fuori e dentro. Lo sa bene anche Alex che cerca di rigare dritto per non avere aumenti di pena ma è costretta a spacciare minacciata da guardie corrotte. Un contrappasso della sua vita criminale che continua a tormentarla.
Per Taystee le cose vanno peggio: condannata al carcere a vita da innocente non trova una ragione per continuare a vivere. “Ora tutto è diverso” come recita una parte del testo della sigla You’ve Got Time: molte amicizie sono finite, come quella tra Taystee e Cindy Hayes (Adrienne C. Moore) che ha testimoniato contro la ex miglior amica per avere uno sconto di pena; alcune sono cambiate per sempre come Dayanara Diaz (Dascha Polanco), un tempo profonda e sensibile, ora diventata una boss tossicodipendente; per altre i numerosi traumi subiti, l’isolamento, le violenze e la paura di morire, porteranno a delle conseguenze irreversibili; ma alcuni legami sono inscalfibili, come quello tra “Red” Reznikov (Kate Mulgrew) e Nicky Nichols (Natasha Lyonne); anche il “matrimonio” di Piper e Alex subirà dei contraccolpi. Sporadici i momenti di goliardia e risate ai quali le protagoniste ci avevano abituati nelle stagioni precedenti anche nei momenti peggiori: la settima e ultima stagione di Orange is the new black è quella della riflessione, degli addii, degli abbracci spezzati, del tentativo di un cammino di redenzione che non tutte riusciranno a percorrere, ostacolate da ingiustizia e impossibilità di cambiare. Si tirano, quindi, le somme e si conoscono nuovi aspetti delle protagoniste attraverso gli immancabili flashback.
Tra Me Too e immigrazione
La forza di Orange is the new black, come già detto, sta nel saper mostrare il presente in maniera cruda e a tratti insostenibile lasciando, però, sempre un barlume di speranza. Nella settima stagione, infatti, viene raccontata anche la vita di un centro di detenzione per clandestine: un universo a parte nel quale più che nei normali penitenziari i diritti umani vengono calpestati. Nuovi personaggi, nuove storie, ingiustizie indicibili: dal centro per immigrate impossibilitate a chiamare un avvocato o a battersi per la custodia dei figli, al traffico di clandestini trattati come bestiame. La politica intollerante di Donald Trump è quindi uno dei fulcri centrali di queste ultime puntate: un pugno allo stomaco, una denuncia forte che fa riflettere, contro le disumane motivazioni propagandistiche, sulle singole vite rovinate, sulle famiglie divise, sui diritti sacrosanti negati. “Tu sei qui perché la tua famiglia è stata accolta a Ellis Island – afferma Nicky contro Lorna che mal sopporta i clandestini – quando il pensiero di un’America fascista governato da un partito rappresentato da un despota radicale era impensabile”.
L’ultima stagione non poteva risparmiarsi nemmeno uno sguardo sul già epocale movimento Me Too: a farne le spese sarà Joe Caputo (Nick Sandow), anche lui che arranca nel tentativo di riscatto dopo il licenziamento dovuto alla rivolta delle detenute. L’ex direttore di Litchfield, che ora tiene un corso di giustizia riparatoria per aiutare le detenute a perdonarsi e ad andare avanti, viene accusato da un’ex agente di molestie sessuali. Anche qui, come nella realtà, il confine tra molestie e semplici attenzioni è labile e sarà difficile individuare chi è la vittima e chi il carnefice.
Tanti altri gli argomenti sociali – dall’inferiorità salariale delle donne alle lotte per la libertà delle clandestine – e le rivelazioni sconcertanti che riguarderanno i personaggi più amati che attendono i fan della serie: dalla colonna portante “Red” alle ispaniche Aleida Diaz (Elizabeth Rodriguez) e Gloria Mendoza (Selenis Leyva), alla dolce e folle Suzanne (Uzo Aduba), alla “roccia” Taystee e alla sua “convivenza” con l’ergastolo fino alle guardie di Litchfield. Una serie che ha segnato la storia della serialità con i suoi personaggi scorretti, imprevedibili, divertenti e criminali. Donne che non possono essere esempi di vita per i reati commessi ma che rappresentano comunque modelli di forza, rinascita e amicizia vera.