Ordinary Joe: recensione della serie TV su Sky
Dal 13 aprile arriva su Sky Serie e NOW il drama del 'what if' Ordinary Joe. Tre versioni possibili della vita di un trentenne a dieci anni di distanza dalla laurea.
Dai creatori di Dottor House Garrett Lerner e Russel Friend, dal 13 aprile 2022 arriva su Sky Serie e in streaming su NOW Ordinary Joe, tredici episodi basati su un format scritto da Caleb Ranson e con assoluto protagonista il James Wolk di Watchman, Mad Men e Golia.
La serie, prodotta tra gli altri da Matt Reeves, applica una propria declinazione alla formula estrapolata dal film omonimo del 1998 dello sliding doors, ovvero lo svelamento, in balia della sorte, del come sarebbe potuta andare se Joe Kimbreau (Wolk), neo-laureato in musica, in quel momento esatto del post cerimonia avesse scelto tra: andare a casa dalla famiglia, passare l’estate con la migliore amica Jenny (Elizabeth Lail) o lanciarsi per una buona volta e conoscere meglio l’affascinante collega Amy (Natalie Martinez).
Su quel bivio a tre gli sceneggiatori immaginano i diversi scenari dei dieci anni seguenti, ripercorrendo tre strade e altrettante carriere di un unico personaggio, senza tuttavia svelarci quella intrapresa per davvero.
Rockstar, medico, agente
Se quel giorno Joe fosse andato a pranzo dalla madre e dallo zio, forse ora sarebbe un poliziotto single di New York, coinvolto in un attentato durante un evento in piena campagna elettorale, ma nel quale avrebbe potuto rincontrare Amy, ora affermata politica accanto al noto deputato Diaz. Mentre Jenny, su quegli anni passati insieme al college, nasconderebbe un enorme segreto che non gli ha ancora rivelato.
Se quel giorno Joe fosse invece andato al mare da Jenny ora, forse, sarebbe un medico del pronto soccorso, padre di un figlio disabile affetto da una malattia neuro-muscolare, ma contornato dall’amore di una famiglia tutto sommato unita, alle prese con gli alti e bassi di un matrimonio che sembra sgretolarsi ma che testardo prova a resistere.
Se infine quel giorno Joe avesse avuto il coraggio di chiedere ad Amy di uscire, oggi sarebbe stato una rockstar affermata, sposato proprio con l’ aspirante deputata e a fianco del suo amico e manager Eric (Charlie Barnett). Jenny invece, avvocato di successo, sarebbe una madre e moglie di un altro, e il cui passato l’ha messa difronte a una decisione sofferta di gioventù che lo coinvolgerebbe nello stesso modo.
Una scelta, tre opportunità. Ordinary Joe fa del ‘what if’ la costruzione aleatoria di un racconto mediocre
Inoffensivo e genuino, ordinario nel titolo quanto nel proponimento, Ordinary Joe mette da parte la veridicità del realismo per abbandonarsi a una narrazione estremamente mansueta, pacifica nei toni e nel tratteggio delle problematicità da rivelarsi scontata e ancor più irrilevante.
Nonostante la convergenza dei diversi contesti sia frutto di un montaggio snello capace di assecondare ritmo e avanzamento dei plot, sfruttando alcune tecniche di ‘riconoscibilità’ quali differenti cromie fotografiche, singole acconciature e split-screen da parallelismi, la serie NBC manca di mordente e di guizzi in grado di catturare l’attenzione sempre più scemata dello spettatore, adagiato a un racconto uno e trino che ingloba le imponderabili variazioni del medesimo tema e personaggi, ma indebolito irreparabilmente da una scrittura conciliante, che cerca a tutti i costi i buoni sentimenti per far dissuadere dal vuoto di idee.
Sembra infatti che Ordinary Joe riesca a concretizzarsi meglio nella messinscena della formula ‘what if’ che nel suo concreto appeal delle tre storie che cerca di esporre, poco coinvolgenti per impatto emozionale – pur riguardanti temi come la disabilità, il lutto, le diversità, la memoria post 11 Settembre – e per questo destinato ad una visione distratta, sentimentalmente distante e di certo non all’altezza del livello del resto della serialità odierna.