Ozark – Stagione 4 – Parte 1: recensione della serie TV Netflix
La prima parte della quarta stagione di Ozark è in streaming su Netflix.
Ozark è una serie che ha insegnato – dal suo debutto nel 2017 ad oggi – al pubblico come non giudicare un prodotto dalla copertina. Alla sua prima uscita, infatti, molti ritennero importante sottolineare e ribadire quanto la trama centrale fosse simile a quella della grande serie tv, evento del passato decennio: ovviamente parliamo di Breaking Bad.Se consideriamo quanta strada ha fatto la serie dalla sua prima stagione a questo exploit finale, capiamo che solo perché due cose partono da una premessa simile, non significa assolutamente che arriveranno allo stesso traguardo. Ozark, creata da Bill Dubuque e Mark Williams, è ambientata nel profondo cuore del selvaggio e oscuro Missouri, con le sue atmosfere cupe e plumbee, tramite i suoi colori freddi comunica al pubblico il freddo presente nelle anime dei suoi protagonisti: Jason Bateman nei panni di Marty Byrde e di Laura Linney in quelli terribili ed affascinanti di Wendy Bryde. Due cuori che vengono fuori, nei primi sette episodi della quarte stagione, nelle loro sfumature ancora più grigie, ancora più cupe e terribili. La fotografia popolata di grigi e bluastri a cura di Ben Kutchins inasprisce ed incupisce la narrazione, immergendo lo spettatore in un universo parallelo, alieno. I primi sette episodi dei Ozark 4 sono in streaming su Netflix a partire dal 21 gennaio 2022.
Ozark 4 e la lente d’ingrandimento sui personaggi
La terza stagione, forse la migliore da un punto di vista puramente adrenalinico, aveva lasciato il segno grazie all’introduzione del personaggio di Ben Davis e aveva donato al pubblico la straordinaria performance di Tom Pelphrey. Difficile riprendere da dove si è lasciato, dopo una sfavillante stagione che aveva unito interpretazioni stellari ed una trama costruita con una impalcatura perfetta, su cui tutti gli elementi si reggevano in equilibrio millimetrico. Invece, i creatori di Ozark riescono sempre a reinventarsi e a dare alla famiglia Bryde nuove sfumature, nuances inaspettate e plot twist pieni di creatività. La quarta stagione ritorna un po’ alle atmosfere sospese dei primi episodi, anche se la apparente famiglia media americana è ormai totalmente padrona del suo giro di droga e malavita.
Il focus, quindi, sposta tutta l’attenzione di questi primi episodi sullo studio quasi entomologico di espressioni, volti, particolari emotivi dei volti dei personaggi, scolpendo atmosfere tese, silenzi ridondanti. Il particolare studio che salta all’occhio dello spettatore è quello sulle interpretazioni straordinarie di Laura Linney e Julia Garner, nei ruoli rispettivi di Wendy e Ruth. Queste due attrici incredibili declinano con la loro arte tutte le possibilità espressive del dolore, della esasperazione. E se ad un certo punto le capacità della famiglia Bryce di far fronte alle molteplici difficoltà che incontra sul proprio cammino sono un po’ irrealistiche, il realismo della recitazione serve a controbilanciare lo strapotere improbabile raggiunto dai Bryde. La lente di ingrandimento sui personaggi serve a restituire una dimensione profondamente umana alla narrazione, altrimenti concentrata sulla lotta di potere tra i Bryde, l’FBI e il cartello Navarro.
La prima parte di Ozark 4: il preludio al declino dei Bryce?
Il primo episodio della quarta stagione di Ozark prelude ad una conclusione poco felice per la coppia protagonista. Un flash forward degli eventi conclusivi della quarta stagione sembra confermare una fine inevitabile: l’eventuale cattura e declino della situazione già sufficientemente complessa in cui i Bryde si trovano all’apertura della stagione. Tuttavia, se c’è una cosa che abbiamo imparato di Ozark è che nulla è come sembra, che le ramificazioni della narrazione sono imprevedibili e se anche un evento diventa intuibile o possibile, certamente non lo è il modo in cui ci si arriva. Dunque, la seconda parte della stagione uscirà a marzo su Netflix, probabilmente sovvertendo le aspettative e lasciando a bocca aperta anche l’audience più temprata.