Pachinko – La moglie coreana: recensione dei primi episodi della serie Apple TV+
Una saga travolgente ambientata tra Corea, Giappone e Stati Uniti, per raccontare la difficile storia di Sunja, costretta a emigrare agli inizi degli anni '30, e della sua famiglia.
Una vasta epopea storica che abbraccia l’epoca più densa della storia moderna asiatica. Una sontuosa e dinastica serie TV politica che viaggia attraverso la Corea coloniale, la Seconda Guerra Mondiale, l’occupazione giapponese, la Guerra di Corea e il successivo periodo di vorticosa crescita nipponica. Il tutto rifratto attraverso il prisma di una famiglia. Ecco Pachinko – La moglie coreana, la nuova serie Apple + disponibile a partire dal 25 marzo. Probabilmente, il prodotto più importante e prezioso offerto fino a questo momento dalla piattaforma, che pure negli ultimi anni sta finanziando e distribuendo opere di alta qualità come Servant (prodotta da M. Night Shyamalan) e Gli ultimi giorni di Tolomeo Grey con Samuel L. Jackson.
Tratta dall’omonimo romanzo di Min Jin Lee, Pachinko si avvicina facilmente al concetto di capolavoro, rendendo chiaro anche il motivo per cui ridurre un soggetto del genere ad un solo film sarebbe stato pressoché impossibile. Tra il 1915 e il 1989 passano ben quattro generazioni e, perlomeno nei primi 3 episodi finora rilasciati, ogni storia merita di essere raccontata. Non solo per la sua singola importanza, ma anche per l’inevitabile gioco a incastri che si viene a creare, fitto di rimandi e riferimenti. Ogni comportamento porta a una conseguenza; ogni lezione, errore e scelta compiuta modifica il corso esistenziale di ognuno di noi.
Pachinko: un monumentale affresco sulla storia coreana
Dovessimo scegliere un unico aggettivo per definire Pachinko, utilizzeremmo senza alcun dubbio “monumentale”. Il lavoro fatto dalla creatrice Soo Hugh – già showrunner di The Terror, altro lavoro di altissimo profilo – è unico, sia per la ricostruzione storica che per l’accuratezza filologica. Siamo di fronte infatti alla prima serie recitata in tre lingue (inglese, coreano, giapponese), e alla prima che decide di raccontare in modo onnicomprensivo dei cosiddetti zainichi, ovvero dei coreani costretti a lasciare la loro patria dopo aver perso i loro mezzi di sussistenza sotto il dominio coloniale finendo sradicati, cittadini di seconda classe in Giappone.
Un racconto enorme, vissuto attraverso lo sguardo della protagonista Sunja: l’infanzia con il padre e la madre, i pomeriggi passati a cercare ostriche in lunghe e avventurose immersioni, l’adolescenza coi primi dolenti scossoni emotivi e amorosi. Fin qui le prime tre puntate, che vedono l’alternanza di piani temporali differenti, tra la crescita di Sunja e il momento in cui, con un salto in avanti di quasi 60 anni, accoglie in casa il nipote Solomon, giunto in visita da New York. Solomon che, di fatto, è il ramo più estremo di questo articolato albero genealogico, e che in quanto tale racchiude in sé tutte le esperienze precedenti vissute dalla sua famiglia.
“È questa la vita che davvero vuoi? Non deve essere questo il nostro destino”
Dai rustici villaggi di pescatori sotto il giogo giapponese nel 1915 ai colletti bianchi illuminati dagli schermi dei computer di fine anni ’80 il passo è brevissimo, anche in virtù di uno stile narrativo poetico e impalpabile, estremamente fluido e strutturato come un mosaico o un puzzle in cui tutti i pezzi, prima o poi, finiranno per combaciare. Pachinko – La moglie coreana (sottotitolo italiano in verità didascalico, aggiunto forse per distogliere l’attenzione dal potenzialmente fuorviante riferimento al gioco d’azzardo giapponese, ideato sul finire della Seconda Guerra Mondiale) è una serie da assorbire lentamente e con attenzione, per permetterle infine di arrivare dove vuole.
Ovvero verso la rappresentazione di un’umanità votata alla sofferenza e alla sopravvivenza, unita nonostante i conflitti generazionali e culturali. Un dramma dolceamaro sulla migrazione in cui il destino sembra costantemente avverso (sensazione rafforzata in un certo senso anche dai salti temporali), incredibilmente privo di retorica e scorciatoie melodrammatiche. E che altrettanto straordinariamente, nonostante la particolarità del contesto, riesce a rendersi universale. Pachinko è di tutti ed è per tutti, in quanto storia delle battaglie, delle tribolazioni, delle gioie e dei sogni che tutti attraversiamo nelle nostre vite.