Physical: recensione della serie Apple TV+
L'aerobica è un mezzo per emanciparsi in Physycal.
Una donna e il suo corpo. Una donna e il suo desiderio di rinascita. Una donna e l’aerobica. Questo è il punto da cui parte Physical, la nuova serie di 10 episodi di Apple Tv+, disponibile dal 18 maggio 2021 con i primi 3 episodi, e poi prosegue ogni venerdì con il rilascio settimanale di una puntata. Il riferimento della serie tv creata da Annie Weisman, prodotta da Tomorrow Studios, è sicuramento da una parte il regista dell’episodio pilota, Craig Gillespie (Tonya e Crudelia) che segna la strada dell’intera serie, dall’altra il brano di Olivia Newton John, Let’s get physical – il titolo di ogni episodio infatti inizia con Let’s -, del 1981 che mette subito in chiaro il mondo all’interno del quale si muove.
Physical: Sheila, una crudele narratrice di sé e degli altri
Anni ’80 e l’aerobica che sta per diventare un fenomeno mondiale, la sua cura del corpo, le sue tutine, i passi e la musica; la serie infatti si apre con la protagonista che è impegnata nella produzione di un video in cui insegna una coreografia. La storia di Sheila si immerge in un’epoca precisa, negli anni del divertimento a tutti i costi, in un periodo in cui tutto fuori è esteticamente impeccabile ma dietro ci sono contraddizioni pronte ad esplodere proprio come la protagonista (la libertà sessuale deve fare i conti con l’AIDS). Sheila è l’America, con tutte le sue sfavillanti luci e le sue lugubri ombre. Physical è una storia che, unendo dramma e commedia, racconta le giornate di Sheila, una casalinga stanca e repressa interpretata da una perfetta Rose Byrne, narra il suo mondo attraverso la sua perfida voce interiore che dà libero sfogo a tutti i suoi pensieri più segreti. La sua voce interiore picchia forte una realtà in cui spesso gli individui cadono a picco, diventa narratrice spietata della sua vita: la sminuisce costantemente ricordandole quanto sia inutile e inetta. L’abbattimento della quarta parete diventa sua cifra stilistica ed è questo la colonna vertebrale di una serie che riesce a conquistare lo spettatore.
La serie poggia sulle spalle della sua protagonista dunque: ex ballerina e attivista politica nei mitici anni ’60, la donna ha appeso le punte al chiodo per sposarsi e avere una figlia. Il marito, Danny (lo stand-up comedian Rory Scovel), è un ex hippie e ora insegna al college. Sono gli anni ’80, per chi crede nei principi democratici non è un buon periodo, loro non navigano nell’oro eppure o forse proprio per questo, Danny decide di lanciare una campagna elettorale per fare in modo che non vinca il reaganismo, nella bellissima e ricchissima San Diego. L’uomo però dà tutto il lavoro alla moglie Sheila, impegnata già con la casa, con la figlia Maya, con la propria vita, deve anche lavorare per il marito: raccogliere firme, trovare fondi, cercare una troupe per uno spot. Tutto il giubilo e l’orgoglio per lui, tutta la fatica per lei. Lui è egoista, narciso, infantile, crede che debba essere lei a fare tutto, lei d’altra parte ha tutto un bagaglio di cattivi pensieri e cattive parole che, nella sua testa, feriscono come lame.
Sheila dimostra di essere perfetta, nel corpo – atletica, capelli voluminosi e ricci in perfetto stile anni ’80 -, nel volto, nei sorrisi che spreca, ma dentro è arrabbiata, frustrata, delusa e soprattutto nemica di sé stessa. Il corpo per lei è un campo di battaglia, lo è perché l’importante è presentarsi al mondo bella, a posto, magra – il rapporto con l’amica/nemica, moglie del competitor di Danny, che lei nella sua testa, insulta, giudica e maltratta aspramente per il suo fisico -, per questo infatti ha un disturbo alimentare, ingurgita panini, dolci, torte gigantesche e poi le vomita, perché si odia, perché così può controllare ogni cosa. Lo è quando fa ginnastica, inizia a fare aerobica, ad essere imprenditrice di sé stessa.
Physical: l’aerobica come mezzo per emanciparsi
Dietro a tutta quest’impalcatura, costruita alla perfezione, c’è qualcosa di oscuro e mostruoso; fuori è una sirena, dentro ha una stanza buia piena di cattiveria, in cui distrugge e si autodistrugge. Ha pensieri orribili, odia tutti, se stessa. Physical mette in scena una spaventosa e crudele grassofobia, piaga che ancora oggi tormenta uomini e donne, e dal grasso fa dipendere ogni cosa, un chilo, addirittura un etto, sono il male del mondo. L’ossessione era presente allora e ancora lo è: l’ossessione del corpo e il culto di esso sono cose che continuano a sedurci e a sedurre.
Fuori è tutto ciò che ognuno vorrebbe, dentro è fragile, insicura. Vuole sembrare all’altezza, pronta, ma in realtà è un coacervo di insoddisfazioni, è una concrezione di cinica malvagità verso ogni cosa. Physical si dimostra subito per quello che è una serie patinata e urticante perché si costruisce intorno ad un personaggio altrettanto urticante; Sheila diventa insopportabile, mal si digeriscono il suo voltafaccia, le sue parole offensive, la sua perfidia politicamente scorretta. Lei abita un mondo che è però uguale a lei e a lei “contrario”, San Diego nasconde lo stesso disincanto e la stessa vacuità della protagonista, si tratta di una società in crisi nonostante danaro, successo, una tipica fotografia dell’era reaganiana (nulla di ciò che si possiede in realtà è proprio): gli uomini sono seduttori (ma delle altre), le persone sono buone, pacifiche e pacifiste quanto belve feroci e fameliche (la bramosia per il cibo spazzatura), quanto cannibali con la bava alla bocca (le persone sono pronte a fare le scarpe, pronte a cacciare chi è meno utile), le donne sono ambizione e tossiche e sono capaci di affondare le unghie nella carne.
Tutto cambia quando Sheila scopre l’aerobica e diventa insegnante e, approfittando del crescente mercato delle videocassette, costruisce un impero. Il suo infatti è anche un viaggio di emancipazione e di riscoperta di sé e lungo gli episodi lo spettatore capisce quante qualità, quante doti abbia questa donna.
Physical: un bella serie in cui tutto è a posto
Physical con i suoi dieci episodi riesce a costruire un mondo, riesce a mettere in contatto lo spettatore con la sua protagonista ed è molto difficile perché Sheila è cinica, crudele eppure chi guarda sente – e forse se ne vergogna – di capirla, in un modo o nell’altro, anche se in minima parte, anche se per pochi istanti. La serie è ben costruita e tutto partecipa a spiegare un’epoca e un periodo storico.