Pose – Stagione 3: recensione della serie TV Netflix
La vita è già abbastanza dura, Pose decide di offrire un messaggio d'amore, celebrare la resilienza e raccontare una fiaba meravigliosa.
Sono poche le serie TV uscite negli ultimi anni che hanno avuto un impatto culturale in grado di gareggiare con Pose. Con il più grande cast di attori transgender nella storia della televisione, la serie creata da Ryan Murphy, Brad Falchuk e Steven Canals è stata rivoluzionaria giungendo quest’anno alla sua conclusione il 2 maggio sul canale FX e finalmente dopo tanta attesa il 23 settembre 2021 in Italia grazie a su Netflix. L’ultima stagione composta da sette episodi combina al suo interno numeri musicali, sequenze di shopping d’alta moda, la forte guida dei due pilastri della serie MJ Rodriguez e Billy Porter, elementi narrativi minacciosi e la forza di una famiglia in cui ognuno è disposto a prendersi cura l’uno dell’altro.
Pose: breve storia della serie Netflix
Pose è un dramma ambientato a Manhattan tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, che ha debuttato nel 2018. La prima puntata si apriva sulla protagonista principale Blanca (MJ Rodriguez), a cui viene comunicata una diagnosi: è sieropositiva. Nel 1987 a New York, tra la Trump Tower e il molo, un’intera comunità iniziava a essere maggiormente colpita da un virus che imperversava nell’indifferenza generale; le diagnosi di sieropositività erano una condanna a morte. Blanca, consapevole del poco tempo che le resta, decide di voler lasciare un segno, un’eredità che non sparirà dopo la sua morte, ma resterà per sempre un insegnamento nel mondo delle Ballroom. Crea la Casa Evangelista accogliendo nuovi ragazzi bisognosi di una luogo sicuro e di una famiglia e, così facendo, realizzerà il suo sogno, lo stesso che le salverà la vita convincendola a lottare e a non arrendersi davanti alla malattia.
La serie TV si è sempre distinta per due elementi: il glamour e il cameratismo delle Ballroom di New York – comunità resa famosa dal documentario Paris is burning nel 1990 – e, dall’altra parte, la devastazione della crisi dell’AIDS, del fanatismo, dell’ignoranza, delle molestie, dello sfruttamento e della violenza.
Un lieto fine fiabesco: Pose 3 sceglie di salutare il suo pubblico con un messaggio di speranza
La terza stagione presenta al pubblico i personaggi alla cuspide della loro nuova via, le ball sono ormai lontane, trasformatesi in una ricorrenza nostalgica; il vougeing attraverso cui potevano mettere in scena sogni e ambizioni irraggiungibili non è più necessario, a cosa serve sognare quando sei riuscita a ottenere ciò che volevi? Blanca studia per diventare infermiera, Elektra (Dominique Jackson) ha trovato la “ricetta magica” per diventare ricca e Angel (Indya Moore) è una modella famosa in procinto di sposarsi, insieme a loro molti altri personaggi, primari e secondari, hanno trovato la loro strada. Tra questi purtroppo non vi è Pray (Billy Porter) divenuto dipendente dall’alcol nel disperato tentativo di anestetizzare il dolore e la paura di morire a causa del continuo peggioramento della conta linfocitica.
A partire dalla seconda stagione erano stati introdotti tra i personaggi gli attivisti di ACT UP, movimento che negli anni novanta si era diffuso in tutto il mondo per combattere contro gli inefficienti provvedimenti farmaceutici e l’indifferenza dei governi. Gli episodi scritti da Janet Mock e Our Lady J hanno raccontato questa lotta, la cui testimonianza torna a essere presente nella terza stagione di Pose che pone nuovamente luce sull’indifferenza di medici, case farmaceutiche e politici scegliendo di ricreare alcune delle più celebri manifestazioni del movimento avvenute a New York come Ashes Action. La serie continua, inoltre, a raccontare un tema centrale sin dalla prima puntata la lotta contro la malattia stessa, una battaglia vista che in questi sette episodi ci viene mostrata attraverso gli occhi di Pray Tell. L’episodio diretto Janet Mock è il più coeso e compiuto di questa ultima stagione, capace di articolare con profondità sentimenti come nostalgia, paura e speranza vissuti in prima persona da Pray, il quale torna a Pittsburgh per informare la madre (Anna Maria Horsford) e le zie (Jackée Harry e Janet Hubert) della sua malattia. Dopo aver vinto due Golden Globe e un Emmy Awards per la sua partecipazione in Pose, Billy Porter restituisce ancora una volta un’interpretazione magistrale. Sin dalla prima stagione Pray è stato il personaggio più complesso di Pose, capace di cadere preda di una rabbia e di una disperazione divorante e scagliarsi contro le persone a lui più care, quelle stesse persone che ha aiutato e amato più di se stesso. Salutare un personaggio di tale grandezza non è facile, gli autori hanno scelto così di fargli affrontare un percorso di crescita enorme sino al compimento di un ulteriore gesto d’amore e devozione.
Pose e i suoi personaggi
Tristemente vi sono personaggi che rimangono sullo sfondo in questo saluto commosso. Primo esempio è Ricky (Dyllón Burnside) compare solo in poche scene e il suo ruolo limitato alla sviluppo del suo compagno e degli altri personaggi principali, il secondo esempio è Damon (Ryan Jamaal Swain), primo membro della Casa Evangelista, che scompare tristemente e senza troppe spiegazioni dopo il primo episodio. Il motivo dell’assenza di Ryan Jamaal Swain nei seguenti sei episodi è dipeso da un tragico lutto famigliare che ha imposto la cancellazione del suo personaggio dalla serie. Una sparizione che poteva essere gestita meglio, solo nell’ultimo episodio ci vengono date notizie sul perché il suo personaggio non sia presente, comunicandoci che ora ha un compagno proprietario di una scuola di danza in cui insegna ed è molto felice. Tuttavia di personaggi che svaniscono ce ne sono stati altri nel corso della serie, basti pensare a Evan Peters e Kate Mara i cui personaggi furono completamente eliminati dopo la prima stazione, una cancellazione necessaria sicuramente, ma che al contempo lascio momentaneamente spaesati gli spettatori. La loro presenza nella prima stagione era veicolata a una sotto-trama ormai conclusa, si trattava della relazione tra Stan Bowes (Evan Peters) e Angel (Indya Moore), ma soprattutto perché la presenza di due attori bianchi molto amati dal pubblico americano, in una serie in cui la maggior parte del cast è composto da attori neri e latino americani, fu chiaramente un tentativo di far avvicinare a Pose un pubblico bianco e cisgender; compito riuscito, in seguito abbiamo potuto tornare a concentrarci sulle vere protagoniste di questa serie.
Pose 3. Tra opulenza e dolore
Pose si è sempre mossa tra un’alternanza di gioia e dolore, due elementi sempre bilanciati con grazia, una maestria che si è persa leggermente in questa ultima stagione non del tutto prima di sbavature, principalmente dovute alla decisione di affrontare con superficialità temi quali la tossicodipendenza e la mafia. Dove la prima viene risolta in poco più di due puntata, la seconda viene presentata come un principe ricco che su un destriero è pronto a consegnare a Elektra quello che ha sempre voluto, essere ricca, non che Elektra non sia stata in precedenza un personaggio dalla moralità ineccepibile, ma raccontare la malavita organizzata come la cosa migliore della sua vita sembra un azzardo dovuto alla mancanza di tempo.
Il set di Pose, come molti altri, è stato colpito dalle restrizioni necessario per impedire il continuo diffondersi del coronavirus, ma queste non sono state prive di conseguenze. I danni ci sono stati e sono evidenti: dopo una seconda stagione meravigliosa, tematicamente ricca e imprevedibile in risvolti sempre più sorprendenti, la terza stagione appare come un saluto tiepido, che lascia un po’ di amaro in bocca. Nonostante tutto però non possiamo fare a meno di osservare ciò che gli autori della serie hanno di nuovo realizzato. Partendo dalle magiche ball dove imperversano omaggi alle cantanti e dive che con la loro voce hanno plasmato la pop culture degli anni ottanta e novanta arrivando ai costumi di Analucia McGorty i quali continuano a incantare tra tulle e paillette, Pose sceglie di raccontare ancora una volta una fiaba contrapponendo al dolore l’opulenza.
Pose ha sempre raccontato le grandi ambizioni dei suoi personaggi e ha deciso di realizzarle tutte, appartamenti eleganti, uffici spaziosi agli ultimi piani di grattacieli in centro a Manhattan, matrimoni sontuosi; è un opulente lieto fine quello che viene concesso a Blanca, Elektra, Lulu e Angel, le cui controparti nella vita reale hanno incontrato morti tragiche e premature. Gli sceneggiatori di Pose scelgono di offrire una visione fiabesca su una realtà che non lo era e, che ancora tutt’oggi, non lo è per la maggior parte delle persone queer e transgender. Senza dimenticare o ignorare tutto il dolore e l’angoscia che questi ultimi affrontano nel mondo reale, lo sfarzoso melodramma sceglie di celebrare con ferocia la comunità che ha voluto raccontare. Se c’è qualcosa che pose lascerà indelebile è il diritto di fantasticare, sognare e ambire a tutto quello che si possa desiderare.