Pose: recensione della serie tv Netflix creata da Ryan Murphy
Disponibile dal 31 Gennaio su Netflix la nuova serie creata dai padri di American Horror Story e Feud: Pose, ambientata nelle scintillanti ball room della New York anni '80.
Nel momento in cui Pose debutta sul catalogo italiano Netflix (31 Gennaio), la prima stagione della serie tv conta già numerosi riconoscimenti e candidature. Dalle due nomination ai Golden Globes 2019 – per Miglior serie drammatica e Miglior attore in una serie drammatica a Billy Porter – fino alle due candidature ai Critics’ Choice Television Awards, passando per la vittoria come Serie tv drammatica dell’anno ai Dorian Awards 2019, Pose si è fatta subito strada tra le rivelazioni della nuova stagione televisiva statunitense. Composta da soli otto episodi è la prima serie tv di inizio Febbraio che ben si presta ad un binge-watching. Vi spieghiamo perché.
Pose: tra family drama e tematiche sociali in una New York di fine anni ’80
I creatori di questa nuova serie tv non sono sconosciuti nell’immenso panorama seriale del globo. Si tratta, infatti, di due nomi che ben conosciamo: Ryan Murphy e Brad Falchuk, padri di serie tv antologiche come American Horror Story, American Crime Story e della prima stagione dell’ottima Feud, miniserie che racconta la faida tra le due grandi attrici di Hollywood: Joan Crawford e Bette Davis. I due, questa volta, collaborano con Steven Canals nell’ideazione e sceneggiatura di Pose.
Siamo nel 1987 a New York. Protagonisti sono gli scarti della società: omosessuali, transessuali, rifiutati dalle famiglie e senza un posto dove andare. Ci sono dei luoghi sicuri pronti ad accoglierli, ma non si tratta di tipiche case famiglia o centri di accoglienza. Scopriamo un diverso tipo di case (le cosiddette houses) dove una madre (o un padre) decide di raccogliere queste anime perdute e proteggerle dalla stessa società che li ha respinti. Nella scintillante cultura disco anni ’80, Pose ci racconta di un mondo nascosto. Uno strato ancora poco svelato della cultura LGBT fatto di ballroom e di famiglie alternative. Nei locali della Grande Mela, alle soglie dell’ultimo decennio del vecchio millennio, uomini e donne, gay ed etero, cis- e transessuali gareggiano in competizioni di danza, moda e posa.
Come una vetrina in un mondo agli albori, Pose viaggia su diversi binari narrativi. Marchio di fabbrica dei duo Murphy-Falchuk, la serie tv segue contemporaneamente i percorsi dei suoi personaggi principali in un intreccio continuo che li riporta sempre a casa. Casa è infatti una delle parole chiave di questa serie tv. Sì, perché Pose è in un certo qual modo un family drama decisamente atipico dai soliti. Non ci sono genitori e figli biologici. Troviamo famiglie nate per caso, o quasi per necessità. Per certi versi si coglie una nuova autenticità che ci avvolge e ci guida attraverso un racconto ben più profondo di quanto le luci e gli abiti coloratissimi vogliano farci credere. Un nuovo concetto di genitorialità si pone di fronte allo spettatore: un concetto pregno di significato in cui la donna decide di farsi madre per un figlio non suo, ma al tempo stesso fortemente voluto.
Pose: la forza di essere se stessi
La mano di Murphy, anche regista del primo episodio di stagione, è ben visibile sin dalle prime scene. La regia collaudata dello sceneggiatore e produttore riesce con facilità a plasmare contesto e personaggi secondo la sua personale visione. Troviamo molti elementi in comune con le altre creature di Murphy e Falchuk a partire da un modo di raccontare fatti drammatici o dall’elevata importanza sociale facendo trasparire profondità anche attraverso la carta della leggerezza. In questo particolare caso la musica, sempre presente, la moda, i costumi, smorzano quelli che sono i sinceri argomenti di conversazione e riflessione. La comunità LGBT, protagonista assoluta, catalizza l’attenzione verso la lotta al fantasma dell’AIDS, e quindi alla prevenzione, all’educazione sessuale, ma non solo. Perché Pose descrive con cuore ed empatia la difficoltà del non sentirsi accettati dalla società in cui si vive. I transessuali, gli omosessuali e tutte quelle categorie rifiutate, si portano addosso un grande peso che molto spesso li porta a dubitare persino di se stessi. Una delle grandi forse di questa serie tv sta nel disegnare personaggi che hanno raggiunto con sofferenza una consapevolezza individuale a lungo vincolata (dalla società, dal proprio nucleo familiare). Pose è un inno alla libertà individuale, prima che sessuale.
La categoria è… vivi, sfoggia, posa!
Composta da otto episodi, dotati di un ottimo ritmo e scanditi dalla frizzante e corposa musica disco/pop/funky di fine anni ’80, Pose risulta convincente e vincente nel voler raccontare una storia a più livelli di lettura, ma pur sempre legati da un sottile ed infrangibile nastro color arcobaleno.
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Meritatamente rinnovata per una seconda stagione in arrivo in Nord America nel corso di quest’anno, la serie tv, nata dalle stesse menti che hanno portato sul piccolo schermo anche il procedural drama 9-1-1, si avvale di un cast perfettamente nella parte. Oltre, infatti a volti noti come l’attore feticcio Evan Peters (nei panni del confuso borghese Stan Bowes), e le new entry Kate Mara (House of Cards, Sopravvissuto – The Martian) e James Van Der Beek (Dawson’s Creek), troviamo vere rivelazioni come Billy Porter, MJ Rodriguez, Dominique Jackson e Indya Moore.
Un’ottima prima stagione, quindi, che preannuncia un prosieguo altrettanto convincente.