Ragnarok – Stagione 2: recensione della serie tv Netflix
La recensione della seconda stagione di Ragnarok, la serie tv norvegese-danese che unisce teen drama ed epica norrena.
La seconda stagione di Ragnarok riprende la narrazione da dove questa si era interrotta alla fine della prima. È una ripartenza in medias res che riallaccia il filo del racconto riportandoci al centro dello scontro tra Magne e Vidar, per poi condurci nella più generale preparazione della battaglia tra Dei e Giganti. Come abbiamo appreso nella prima stagione Magne reincarna i poteri del dio Thor e sente sulle sue spalle il peso di una predestinazione volta a salvare la città di Edda, ma con essa il mondo intero, dalla minaccia della famiglia Jutul. Quest’ultima abbiamo scoperto essere composta da Giganti mascherati da esseri umani, e desiderosa di dominare sull’umanità, giungendo appunto al Ragnarok, lo scontro finale secondo la mitologia scandinava.
La serie, ideata da Adam Price, diretta da Mogens Hagedorn e distribuita da Netflix, con questa seconda stagione si addentra maggiormente nella rielaborazione dei miti, riducendo in parte la componente sociale e di formazione – pur comunque presente – e concentrandosi sui collegamenti sostanziali tra i teenager protagonisti e le leggende del Nord Europa. Resta evidente un forte substrato adolescenziale, che emerge chiaramente nelle relazioni sentimentali e di identità personale dei personaggi, ma a caratterizzare in primis questa seconda stagione è il rapporto tra i fratelli Magne e Laurits, con delle implicazioni che vanno ad incidere sulla coscienza e l’interiorità di entrambi, mentre fanno i conti con i loro nuovi poteri e la loro nuova identità.
Ragnarok 2 trova il suo centro d’interesse nella crescita di Laurits ma non riesce a dare una caratterizzazione adeguata a tutti i personaggi
Se nella prima stagione la parabola prioritaria è stata quella legata alla crescita di Magne e alla scoperta dei suoi poteri, in questa seconda – pur restando Magne il primo protagonista – possiamo dire che il fulcro, nonché l’elemento di maggior importanza sostanziale, sia l’evoluzione del personaggio di Laurits, le cui vicende e le cui lacerazioni personali costituiscono la vera ossatura di questi sei nuovi episodi. Al loro fianco ritroviamo tutti i personaggi precedenti, con l’aggiunta di qualche nuovo inserto, come nel caso di Iman e Harry (anche loro con specifici collegamenti a personaggi della mitologia) e il potenziamento del ruolo di Wotan. Tuttavia la caratterizzazione dei personaggi non trova neppure in questa seconda stagione una strutturazione forte, dove solo la figura di Laurits riesce ad arrivare ad una dimensione completa e costruita a dovere, al netto di qualche banalizzazione. Magne ha una discreta evoluzione ma non raggiunge ancora una sostanzialità definitiva, mentre tutti gli altri personaggi – benché funzionali alla narrazione – non trovano un approfondimento adeguato, restando in un carattere di monodimensionalità, in particolar modo per ciò che concerne gli antagonisti. Parziale eccezione può farla Saxa, che rivela potenziali margini di ambiguità, ancora da sviluppare ma con buon potenziale.
Ragnarok 2 ha più azione e più elementi mitologici ma con alcuni cali di ritmo
Questa seconda stagione beneficia sicuramente del lavoro di impostazione fatto dalla prima, non riuscendo però a segnare quel cambio di passo atteso e necessario. L’azione aumenta, così come la delineazione del substrato mitologico, ma nonostante ciò la serie resta ancora parzialmente imbrigliata in una costruzione del percorso di avvicinamento alla battaglia finale eccessivamente dilungato, dove il ritmo – complessivamente incalzante – ha dei cali che si sarebbero potuti evitare, cercando di compattare gli elementi del racconto. Non si scade mai nella noia, e il prodotto rimane sempre piacevole ed interessante, tuttavia in alcuni passaggi emerge in maniera eccessiva quel profilo adolescenziale, trattato superficialmente, che ne riduce l’efficacia generale, con alcuni dilungamenti narrativi che appesantiscono in parte l’insieme della storia. I temi sociali e ambientali di attualità sono poi molto ridotti, lasciati come contorno e senza approfondimento, dove invece c’era la speranza che la seconda parte della serie potesse sviscerarli con più complessità.
La seconda stagione della serie norvegese Netflix è complessivamente godibile senza fare però il salto di qualità atteso
La forza dello show resta nell’originalità con cui tratta la rivisitazione della mitologia norrena, portandola ai giorni nostri e mettendola a servizio di un universo giovanile e contemporaneo, in una maniera avvincente e che desta parecchio interesse. Il fatto di rafforzare questo asse e di iniziare ad approfondirlo è il motivo che permette a questa seconda stagione di chiudersi con un giudizio positivo, nonostante i limiti sopra evidenziati. Inoltre la produzione norvegese può contare ancora su una regia efficace, una fotografia che valorizza al meglio le ambientazioni scandinave e una colonna sonora che sostiene la narrazione con accostamenti, forse un po’ piacioni, ma particolari e funzionali.
Nel complesso la seconda tranche di episodi di Ragnarok si rivela essere una sorta di transizione che prepara ad una probabile terza stagione, dove si giungerà alla resa dei conti finale e al compimento degli elementi preparati ed accostati sinora. Questa parte della serie ha il pregio di mantenere un intrigante radicamento nelle dinamiche del mondo odierno, mentre incrementa gli elementi mitologici, ma non riesce ad essere incisiva come ci si attendeva. L’intrattenimento è buono, tuttavia alcune superficialità nel suo lato teen e certi limiti nella gestione dei personaggi non le permettono di esaltarne le potenzialità alla base. Speriamo che la stagione successiva segni il definitivo e auspicato salto di qualità.