Ratched: recensione della serie Netflix con Sarah Paulson
Recensione di Ratched, la nuova serie Netflix di Ryan Murphy che vede Sarah Paulson nel ruolo dell'infermiera protagonista.
Ryan Murphy torna (in realtà non se n’è mai andato) ad affacciarsi all’universo internazionale delle serie tv sfornando una nuova opera che lo vede impegnato come regista e produttore esecutivo. Ratched, così si intitola la novità disponibile su Netflix dal 18 settembre, punta a spaccare il giudizio del pubblico, tra chi lo considererà un gioiellino e chi una malcelata nuova stagione di American Horror Story.
In Ratched Ryan Murphy ritrova la sua musa, Sarah Paulson
Ratched altro non è che il cognome di Mildred, infermiera che la maggior parte dei cinefili ricorderà in quanto protagonista del pluriacclamato Qualcuno volò sul nido del cuculo. Cinque Oscar conquistati nelle cinque categorie più prestigiose dell’Academy (su un totale di nove nomination ricevute), tra cui quello alla Miglior attrice protagonista assegnato a Louise Fletcher proprio per il ruolo di Mildred Ratched. Ad interpretare il medesimo personaggio, mettendosi quindi in gioco con un’impresa tutt’altro che semplice, è Sarah Paulson, che negli ultimi anni ha iniziato a ritagliarsi uno spazio di crescente rilievo anche nel panorama cinematografico ma la cui popolarità a livello internazionale è dovuta proprio a Ryan Murphy, della quale è divenuta a tutti gli effetti la musa per eccellenza, e al suo American Horror Story che l’ha vista protagonista numerose volte, a partire da Asylum del 2012. Serie tv che vai, manicomio che trovi, verrebbe da dire, considerato il ritorno di Sarah Paulson tra le mura di un ospedale psichiatrico a distanza di quasi dieci anni dalla sua precedente esperienza proprio in Asylum. In quel caso era lei a venire internata per le sue tendenze omosessuali, mentre in Ratched la ritroviamo che tenta di riabilitare persone affette da svariati tipi di devianze.
I colori sgargianti di outfits e scenografia contrastano il buio e l’orrore della mente umana
Sarah Paulson, dunque, sembra trovarsi bene in un contesto del genere, così come Ryan Murphy: entrambi, infatti, danno il meglio di sé quando si tratta di raccontare ed impersonare la follia della mente umana. Un intricato labirinto nel quale muoversi aggrappandosi ad un filo rosso che possa condurci ad illuminare le zone più oscure di noi stessi, così come vediamo nella sigla della serie tv. Murphy ha sempre dimostrato di avere gran gusto nello scegliere e nel curare ogni minimo dettaglio delle sequenze che accompagnano l’inizio di ciascun episodio, e quella di Ratched entra di diritto tra le sigle più riuscite della sua filmografia televisiva. I violini stridenti che la accompagnano e che ritroveremo costantemente nel corso della serie tv, non fanno altro che valorizzare ulteriormente il clima di angoscia ed inquietudine che caratterizza l’opera in un crescendo di dissennatezza e squilibrio.
Dando un’occhiata in giro, Ratched viene definita come una serie drammatica ma c’è da dire che anche gli amanti dell’horror non rimarrebbero delusi dalla sua visione. Se fosse nata come una nuova stagione di American Horror Story, infatti, nessuno avrebbe gridato allo scandalo o all’incoerenza, poiché vi ritroviamo tutti gli elementi che caratterizzano da quasi dieci anni l’acclamata serie tv antologica. Ad emergere ancora una volta è l’estremo estetismo di Ryan Murphy: la scenografia è impeccabile, nulla è lasciato al caso e le luci al neon del manicomio non fanno altro che risaltare l’ampio ventaglio di colori che contraddistinguono gli outfits di Sarah Paulson e degli altri protagonisti della serie tv, nonché gli oggetti di scena sparsi qua e là, tipici degli anni ’40-’50.
Cynhia Nixon, Sharon Stone e gli altri: il valore aggiunto di Ratched
Dal punto di vista della recitazione, poco da dire: Sarah Paulson è ormai una garanzia e, come già accennato in precedenza, riesce a dare il meglio di sé quando si tratta di ruoli drammatici tendenti allo psicotico. Il 2020 per lei può rappresentare l’anno della maturazione definitiva ed il lascia passare per entra nel mondo dei grandi: dopo una lunga serie di impegni da co-protagonista, Ratched è la prima vera serie tv che la vede impegnata come assoluta protagonista, ed arriva nello stesso anno nel quale esce al cinema Run, film (non a caso) di genere thriller/horror del quale Paulson è interprete principale. Ad aggiungere prestigio al cast della serie Netflix troviamo poi Cynthia Nixon, il cui talento nel genere drammatico tende ad essere fin troppo sottovalutato, Sophie Okonedo sorprendente nelle numerose personalità di Charlotte Wells, Sharon Stone (torna anche il suo stacco di coscia sempre invidiabile), Finn Wittrock, Judy Davis e Jon Jon Briones (quasi tutte vecchie conoscenze di Ryan Murphy, insomma). Tutti, a modo loro, hanno dato vita a personaggi difficili da rimuovere in tempi brevi dalla propria memoria dopo la visione dell’opera (quanto sarebbe stato bello, però, vedere Jessica Lange nei panni dell’infermiera Bucket?).
Ciò che risalta all’occhio sin da subito quando si guarda Ratched è l’atipicità dell’ospedale psichiatrico. Non vi troviamo, infatti, gli elementi tipici dei manicomi, che hanno invece caratterizzato Qualcuno volò sul nido del cuculo (solo a tratti, nella serie tv, riusciamo ad intravedere un’assonanza che possa giustificarne la definizione di “prequel” del film di Miloš Forman): urla, pazienti che saltano nei corridoi e via dicendo. Tutto è estremamente calmo, nei corridoi rimbombano i passi delle infermiere, i pazienti si contano sulle dita di una mano, nonostante alle dimostrazioni del Dr. Hanover assistano decine di dipendenti. Se nel film del 1975 i veri protagonisti erano i pazienti e la loro drammatica situazione, in questo caso passano in secondo piano: li vediamo poi sempre truccati, sembrano finiti lì quasi per caso e se non fosse per le torture ed i trattamenti diabolici ai quali vengono sottoposti sembrerebbero protagonisti di un’esperienza all’interno di un centro benessere.
L’ossessione di Ryan Murphy per i freaks
Ciò che però ritroviamo è una vecchia e cara ossessione di Ryan Murphy, ovvero quella per il freak che abbiamo riscontrato soprattutto nella seconda e nella quarta stagione di American Horror Story. A differenza di quanto accadeva in Asylum, però, i cosiddetti “fenomeni da baraccone” non rientrano tra i pazienti del centro psichiatrico: uno è l’infermiere interpretato da Charlie Carver, l’altro è il ragazzo deturpato che ha il viso angelico di Brandon Flynn. I veri “mostri” in questo caso sono coloro che, all’apparenza, non destano sospetti e vengono ben accettati dalla società. Un po’ mostro e un po’ angelo della misericordia è proprio Mildred Ratched, la cui psiche disturbata è frutto di un passato che la serie tv ci racconta un po’ alla volta nel corso degli episodi: decisa a raggiungere i propri obiettivi, sfrutta le proprie capacità persuasive per riuscirci, salvo poi dimostrarsi compassionevole in qualche rara situazione. Spietata, fredda e sconnessa emotivamente da ciò che la circonda, la Paulson riesce a rendere giustizia all’interpretazione da Oscar di Louise Fletcher. Nella seconda parte degli episodi, però, assistiamo ad una rivoluzione totale della donna, che diventa indifesa e amorevole con tutti coloro che la circondano: ok, ha trovato l’amore e finalmente si è aperta a qualcuno, lasciando vivere la vera Mildred, ma il cambio risulta un po’ troppo forzato e difficile da giustificare.
Nota di merito per la fotografia: a rendere ancora più isolato ed inquietante il centro psichiatrico sono gli scenari della California, di Santa Monica e Monterey, che in questo caso vediamo ritratti in una chiave più cupa e tetra. Per quanto riguarda la sceneggiatura, invece, la sensazione in alcuni momenti è che ci sia fin troppa carne sul fuoco e si finisce quindi per non approfondire fino in fondo determinate dinamiche (molto interessanti) tra alcuni personaggi ed i loro passati a dir poco turbolenti. Risulta poi vincente la scelta di Ryan Murphy di alternare inquadrature oggettive e soggettive, mettendo a confronto i punti di vista dei protagonisti in alcune scene cruciali e ricche di tensione della serie tv e donando così ulteriore ritmo ad una narrazione che non conosce momenti morti.
Ratched, la serie tv sugli spettri della mente che lascia il segno in questo 2020
In definitiva, Ratched accende la luce sulle zone più oscure della mente umana. I colori verde e rosso che invadono lo schermo sembrano richiamare le luci di un semaforo che guidano la psiche umana verso le proprie ossessioni, tra up e down, tra controllo ed anarchia. La sensazione è che servirebbe una serie tv a parte soltanto per spiegare la mente di Ryan Murphy ed il viaggio che lo ha portato dal creare una serie positiva e spensierata come Glee (maledizione a parte) ad un filotto di opere inquietanti che parte da AHS e prosegue fino a Ratched e quindi alla consapevolezza di poter dare il meglio di sé nel genere thriller e horror.
Una serie tv, quindi, che non lascia indifferenti e che quando pensi “non può essere più inquietante di così” ti smentisce nel giro di poche sequenze. Di certo, dopo aver visto la serie tv ed esservi coperti gli occhi in più occasioni, non farete un bagno caldo per un bel po’ di tempo ma vi rimarrà addosso la voglia di avere più episodi da vedere, sempre di più, proprio per la capacità che ha Ratched di stimolare la nostra amigdala.