Reacher: recensione della serie Tv su Prime Video
L'imponente Alan Ritchson prende il posto di Tom Cruise nell'adattamento seriale del personaggio nato dalla penna di Lee Child. Su Prime Video dal 4 febbraio 2022. Un consiglio amichevole: date sempre ragione a Jack Reacher.
Non lo fate arrabbiare, potrebbe essere il vostro ultimo errore. La prima cosa che tende a farsi notare in Reacher, la serie Tv disponibile su Prime Video dal 4 febbraio 2022, adattamento streaming del primo di una lunga serie di romanzi dedicati dallo scrittore britannico Lee Child al suo giustiziere vagabondo, è l’imponente massa muscolare dello scultoreo protagonista Alan Ritchson.
Non può essere altrimenti quando si parla Jack Reacher. Un catalogo di armadi a tre ante tenuti insieme da una brillantissima mente matematica, una cultura profonda e uno scrupoloso istinto nerd per il blues. Sarà forse merito (o colpa?) della mole non indifferente comunque il nostro, oltre a non passare mai inosservato, ha l’indiscutibile capacità di calamitare guai manco fosse un notiziario. Intrighi e cospirazioni di livello medio-alto, con ricadute occasionali in termini di politica interna ed estera, affrontati a suon di cazzotti (se il malcapitato ha fortuna) e geniali intuizioni.
Completano il cast della serie Malcom Goodwin, Willa Fitzgerald, Bruce McGill e Kristin Kreuk. Non c’è Tom Cruise, stavolta, e la cosa merita una precisazione.
Reacher: un vagabondo con molte qualità, al cinema era Tom Cruise qui invece è Alan Ritchson
Come si fa a rendere Tom Cruise credibile nei panni di un tizio biondo, alto 1 metro e 95 e che pesa più di cento chili? Non si fa, fine della storia. In effetti il trade-off che ha ispirato le trascorse scorribande cinematografiche del personaggio, Jack Reacher – La prova decisiva (2012) e Jack Reacher – Punto di non ritorno (2016), consisteva nel sacrificarne la fisicità debordante sull’altare del mostruoso carisma dell’ultima, autentica superstar dei nostri tempi. Sulla carta, l’idea di colmare il vuoto dei bicipiti con un primato action indiscutibile, poteva anche passare. Ma c’è un punto ben preciso, nella realtà tangibile, oltre il quale né il talento, né il congenito masochismo di Tom Cruise, l’attrazione imponderabile per le missioni impossibili, possono granché. L’operazione cinema non ha funzionato fino in fondo. Lo pensa Lee Child, lo pensa Tom Cruise, lo pensano i fan.
Nick Santora, che adatta in otto parti la prima storia, Killing Floor (1997), in italiano Zona Pericolosa, immagina un Reacher differente e più vicino alla fonte. Decide di mantenersi su un’asse di stringente coerenza filologica con il romanzo (i romanzi), modellando il protagonista sul profilo eroico immaginato da Child qualche anno fa. Diverse penne oltreoceano l’hanno fatto notare, con malcelata perfidia tra l’altro, che quel che si guadagna in muscolatura si perde in carisma. Vero. Non ha tuttavia molto senso, su un piano puramente razionale, criticare un attore perché molto semplicemente non è Tom Cruise. Anche perché il cambio di prospettiva con relative perdite è deliberato, quindi quel che si può e si deve fare è cercare di capire se, date le seguenti coordinate, Reacher colpisca o meno il bersaglio. Prima, una breve sinossi.
Jack Reacher (Alan Ritchson) è un ex prodigio della polizia militare degli Stati Uniti d’ America. Vaga ramingo di città in città, ha buona cura della sua igiene personale, un bagaglio light e compie delle scelte in fatto di abbigliamento che manderebbero Chiara Ferragni dall’analista senza passare dal via. Una fermata più lunga del previsto la fa dalle parti di Margrave, polverosa e alquanto caotica cittadina (immaginaria) della Georgia dove un certo tipo di persone hanno un certo tipo di tendenza a cadere come mosche. Qui il forzuto eroe incrocerà il passo con l’agente Roscoe Conklin (Willa Fitzgerald), che per lui ha simpatia dall’inizio, e il capo detective Oscar Finley (Malcolm Goodwin), un tipo a modo di Boston finito in Georgia chissà come. Kristin Kreuk è una moglie e madre spaventata, Bruce McGill l’amabile sindaco. Basta così. Il resto va scoperto.
Una serie che poteva permettersi di osare di più
La formula Reacher è un cocktail di violenza, scheletri nell’armadio, umorismo e una mentalità nomade e anticonformista. La scrittura di Nick Santora cattura l’essenza del personaggio senza sacrificare nulla (questa volta) alla letteratura, scegliendo la via dell’adattamento rigoroso. L’azione è nei canoni, la scintilla d’umorismo arriva proprio quando uno se l’aspetta, non manca un tentativo di andare oltre gli scontri a fuoco e la carambola di pugni per raccontare qualcosa di più sulle ferite invisibili di Jack Reacher. Quelle dell’anima. Come da copione, la risposta a molte delle domande importanti e non, sta in famiglia.
Quello che manca alla serie per spiccare il volo e non rimanere imprigionata nella mischia dei prodotti ordinari, è la volontà, pura e semplice, di superare gli schemi. L’azione è intensa e ha una buona forza plastica, ma assomiglia a cento altri esempi. L’umorismo è palesemente trattenuto. Il trio protagonista Ritchson-Goodwin-Fitzgerald, tra gli alti e bassi della storia, ha la potenzialità di un buon team ma fatica a strapparsi dai binari di un arco narrativo le cui pieghe sono facilmente intuibili a miglia di distanza. Solida ma non eccessivamente pirotecnica, a Reacher la serie manca la forza e l’intensità del suo curioso e massiccio protagonista. Ma non devi arrabbiarti per questo Jack, è solo una recensione. Ok?