Remember You: recensione della serie TV thailandese Netflix
Un efferato omicidio, un geniale profiler investigativo e una detective con molti dubbi: la serie TV Remember You ricalca l'originale coreano Hello Monster, ma il risultato non è all'altezza delle aspettative.
Un dato di fatto: da quasi dieci anni a questa parte, l’industria cinematografica e televisiva coreana (del sud, del nord ovviamente non è dato sapere) sta vivendo una fioritura senza paragoni, culminata con l’indiscutibile Oscar a Parasite di Bong Joon-ho e col successo di Squid Game. La chiamano hallyu, e confrontarsi con questo fenomeno – che in verità riguarda ad esempio anche la moda e la musica – non è per niente facile. La Korea influenza l’Oriente e l’Occidente, e si regge in piedi da sola senza la necessità di remake o reboot.
Tutto questo per dire che di un rifacimento della serie tv Hello Monster, k-drama prodotto nel 2015, non si sentiva ovviamente alcun bisogno. Sivaroj Kongsakul e Thana Srisuke, ideatori del thailandese Remember You (16 episodi distribuiti su Netflix il 12 ottobre) compiono quindi un gesto di estremo coraggio. O di somma incoscienza, dipende dai punti di vista. L’intelaiatura è la stessa: si narra infatti di un assassinio e di un geniale profiler investigativo, che torna a casa quando il caso che sta seguendo fa riaffiorare un ricordo che credeva ormai perduto.
“Viviamo tutti nel dolore, perché non possiamo far soffrire gli altri?”
Siamo dalle parti del poliziesco venato di sentimenti, che guarda – oltre al dichiarato e sopraccitato modello – anche un po’ al ritmo e alle cadenze di CSI. Progetto ambizioso, ma dannatamente naif: fin dalle sue prime battute Remember You palesa dei grossi problemi di scrittura, a cui si aggiungono quelli recitativi. Personaggi che dovrebbero risultare misteriosi e assorti ci appaiono come semplicemente bolsi, mentre sullo sfondo si agita un classico “caso di coscienza” che via via perde di spessore e interesse.
Non mancano i dialoghi rivelatori pieni di tensione, o le affermazioni inquietanti messe in bocca ad adolescenti per i quali si dovrebbe nutrire una sincera paura, ma il tutto il squaglia in una dilatazione temporale eccessiva (le puntate sono da un’ora l’uno) che impantana lo show e distoglie l’attenzione dall’omicidio che tutti vogliono risolvere. È un problema di ingenuità generale e strutturale: soprattutto nei primi 5/6 episodi, che dovrebbero gettare le basi per gli sviluppi successivi, si impiega così tanto tempo a parlare di cose varie che si dimentica qual è lo scopo primario dello show.
Remember You: una violenza radicata nel subconscio
Paradossalmente, una fetta considerevole del minutaggio è impiegata nella costruzione del background dei protagonisti, ma nonostante ciò la monodimensionalità e l’incomprensione spettatoriale dominano la visione. Tanwa, il misterioso detective che appare sulla scena del crimine e che nessuno conosce, è ad esempio descritto come un genio; tuttavia, è la persona al contempo più fastidiosa e noiosa dell’intera serie, del tutto priva del fascino dell’omologo coreano Lee Hyun. Sbaglieremmo però a non considerare anche alcuni pregi dell’operazione, tali soprattutto per chi si approccia a Remember You senza aver visto il prototipo di riferimento.
Il mistero che circonda l’identità del killer è minuziosamente collegato a tutte le altre sottotrame, e in tal senso a fare la figura migliore sono i flashback che forniscono alcune importanti chiavi di lettura lasciando intatta la coerenza dell’intrigo. Se da un lato gli sketch “divertenti” non sono né interessanti né fanno ridere, alcuni trick mentali (usati spesso a mò di cliffhanger al termine degli episodi) ridestano la curiosità sopita. Piccoli elementi a favore che non risollevano di certo la sorte di una serie esteticamente professionale ma narrativamente poco oltre la soglia dell’amatorialità. Poco per giustificare la durata complessiva di ben 16 ore, con un’etichetta da mystery crime che resta più che altro un miraggio irraggiungibile.