Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana – recensione della serie tv Fox
Roma e Lazio, feste da fricchettoni contro alzate di pesi in spiaggia e ancora modi di dire, vestire, cose da mangiare. La guerra tra Montecchi e Capuleti si piega al linguaggio e alla mentalità romana per un confronto/scontro Roma Nord e Roma Sud, in un teatrino che coinvolge tutte le assurdità e le meravigliose differenze d'Italia.
La storia d’amore tra Romeo e Giulietta, lascito del grande drammaturgo inglese William Shakespeare, ha subito nel corso del tempo diversi adattamenti cinematografici, ergendosi come simbolo dell’amore perfetto e ideale. Una storia che è destinata, molto probabilmente, a incantare anche le generazioni future e a porsi come base ideale per la creazione di autentici castelli fatti di carta, pellicola e note musicali. Il punto fondamentale è che qualsiasi essere umano, in qualunque epoca, può sempre immedesimarsi nella tragedia di un amore puro ma impossibile, intersecato dalle differenze e dalle lotte che denotano la diversità societaria.
Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana, la serie tv targata Fox e ideata da Michele Bertini Malgarini, Alessandro D’Ambrosi e Giulio Carrieri, non si limita solo a trascinare la nota tragedia nel nostro tempo, ma la incatena a un luogo circoscritto qual è la Capitale, a sua volta incasellata in due realtà di forte impatto per modus operandi e tradizioni quali Napoli e Milano. Così la Città Eterna viene spaccata in due. Da una parte abbiamo la pariolina Roma Nord, capeggiata dalla famiglia del palazzinaro Massimo Copulati (Massimo Ciavarro), fatta di aperitivi, droga, feste, vestiti eleganti e un’attenzione particolare per l’apparenza, dall’altra abbiamo la più vivace Roma Sud, caratterizzata da tute, vestiti lucidi, vistose collane d’oro, cibi più veraci e capeggiata dalla famiglia Montacchi, di cui Arfio (Federico Pacifici) è il capofamiglia.
Romolo + Giuly: la guerra mondiale italiana ha inizio su Fox!
La nota comica della serie viene annunciata fin dal primo fotogramma, con una storpiatura del latino e delle vicende che animano storie e miti dell’antica Roma, della mitologia classica e della storia d’Italia in genere. Così, ad esempio, il Ratto delle Sabine diventa il Ratto delle Parioline e le sirene di Odisseo diventano le sirene di Ponte Milvio: belle ragazze bionde con cocktail in mano, da combattere con i tappi per orecchie del nonno. A questo si sommano una serie di caratteristiche che i romani doc non potranno fare a meno di notare, come l’accento leggermente differente tra una zona e l’altra, le scuole frequentate, il paninaro di fiducia e i cibi tipici (o diventati tali) della cucina capitolina.
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In tale contesto di odio profondo, in cui Montacchi e Capulati si fanno la guerra con ogni mezzo a loro disposizione, Romolo (Alessandro D’Ambrosi) e Giuly (Beatrice Arnera) sono due note stonate poiché entrambi ambiscono non tanto a diventare ciò che non sono, quanto a scoprire la diversità che li circonda; entrambi si mettono in discussione, chiedendosi se la loro vera essenza è così come dicono i propri genitori o se dentro hanno un’altra faccia, magari più consona a ciò che sentono di essere.
Romolo + Giuly: la guerra mondiale italiana – il cast e i personaggi, ritratto di un’Italia surreale
Focalizzandoci sulla costruzione dei personaggi, potremmo dire che è davvero una delle note positive di Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana. La serie sa lasciarsi attraversare da personalità che traboccano di macchiettismo, rappresentando sul piccolo schermo tutte le sfumature dell’italianità nota ai più.
Nell’Olimpia (madre di Giuly Capulati) interpretata da Michela Andreozzi si coagula lo snobismo ad alti livelli, corredato dalla completa mancanza di considerazione del diverso; Don Alfonso (Fortunato Cerlino, noto ai più per Gomorra – La Serie) è il tipico boss partenopeo, nostalgico di un passato di cui Totò è la massima rappresentazione e intenzionato a riconquistare il Regno delle Due Sicilie. A loro si aggiungono personalità come Giorgio Mastrota nell’interpretazione ironica di se stesso, ovvero un venditore televisivo dietro cui si nasconde un leader massone che, fiancheggiato da un perfido pupazzo, sarebbe intenzionato a spodestare i romani dalla loro città natale per fare di Roma un parco divertimenti.
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Da non dimenticare poi il cameo di Giorgio Panariello nei panni di Totò oltre a quello di Paolo Bonolis e Martina Dell’Ombra e le interpretazioni di Francesco Pannofino e Nunzia Schiano, quest’ultima nei panni di una madre tipicamente del sud!
Romolo + Giuly mette in scena il brio della diversità in un solo paese: l’Italia!
Un mix di personaggi che muove le fila di un intreccio di battaglie – la guerra mondiale italiana riportata nel titolo altro non è che l’estratto finale dell’alleanza tra Napoli e Milano al fine di conquistare Roma, per poi spartirsela nuovamente – e divisioni programmate che, nella volontà di mettere in luce la supremazia di una regione (o di una parte di città) piuttosto che un’altra, mostrano la bellezza dell’intero Stivale, evidenziando come in realtà l’Italia non sia mai stata unita, ma forse è meglio così! (Giusto per strizzare l’occhio alla serie: chi mangerebbe mai un babà a forma di panettone ripieno di risotto alla milanese?).
Tirando le somme Romolo + Giuly, la serie in 8 episodi da 30 minuti ciascuno tratta dall’omonimo cortometraggio e in onda su Fox (canale 112 di Sky) dal 17 settembre, sa divertire e far sorridere, portando forse lo spettatore a curiosare circa la storia d’Italia e a come siamo arrivati ai nostri giorni e conducendolo a porre maggiore attenzione alle belle differenze che si mescolano nel nostro Paese, proprio dentro le nostre città, facendoci intuire che il diverso, oltre a insegnarci qualcosa, alle volte può semplicemente donarci una sacrosanta risata.
Tuttavia, tale concatenazione di momenti ilari, perfetta risultanza di un incrocio di gag appartenenti al codice del web (in cui il prodotto è nato), potrebbe rappresentare una perdita di quota per Romolo + Giuly: La guerra mondiale italiana, che rischia di non donare allo spettatore la giusta compattezza che si vuole trovare in una serie tv, relegando la trama a un leggerissimo contorno per prediligere un carnevale di personaggi e piccole situazioni.
Ma nonostante questa piccola considerazione crediamo che la serie diretta da Michele Bertini Malgarini riesca a farsi apprezzare anche per l’ineccepibile sigla realizzata da Lo Stato Sociale (Il Paese dell’amore), per i colori accesi e la fervida immaginazione che unisce con ironia e sagace scorrettezza realtà e fantasia.