Romulus: la recensione della serie evento di Matteo Rovere
La recensione di Romulus, la serie evento Cattleya, Groenlandia, Sky e Itv creata da Matteo Rovere, che racconta la storia prima del mito della fondazione di Roma. Abbiamo visto i primi sei episodi in anteprima.
A quello che fu Il Primo Re per il cinema italiano non è mai stata forse resa giustizia “completa” (passatemi il temine), soprattutto dopo quello che fu detto giustamente su Lo Chiamavano Jeeg Robot, incensato per il suo sapore e il suo “potenziale” internazionale. Bene, il quarto film di Matteo Rovere aveva dietro di sé un’idea straordinariamente importante che puntava ad individuare in un immaginario narrativo nostro una dimensione talmente ampia da consentirgli di posizionarsi in un mercato più ampio rispetto a quello canonico dei nostri lavori. All’estero infatti lo hanno capito, amato e apprezzato forse più che da noi.
Romulus, prodotto da Cattleya, Groenlandia, Sky e l’estera, appunto, Itv, approfondisce questo concetto (si lavora alla serie addirittura da prima de Il Primo Re) e lo amplia, posizionandolo probabilmente nella sua dimensione ideale (quella televisiva), e poi punta più in alto, creando qualcosa di mai visto dalle nostri parti. Quella suonata dall’orchestra diretta da Rovere è una sinfonia spettacolare sotto ogni punti di vista, dai costumi alla sceneggiatura, dalla regia alla fotografia, passando per suono e recitazione. Una macchina mastodontica e complessa composta da splendidi professionisti, che fonde studio e scienza con inventiva e creatività, sperimentando con il prodotto e con il pubblico a cui è rivolto.
Romulus ha debuttato su Sky e NOW Tv il 6 novembre con i primi due episodi e ci farà compagnia fino a dicembre.
Tre, due, uno
Prima che tutto iniziasse, sotto il Tevere c’era una Lega formata dai trenta re delle trenta città, tutte facenti capo alla più importante, quella di Alba, e al suo sovrano al cui volere tutti quanti sottostavano. Perché? Perché lui solo deteneva il potere divino e dunque lui solo era in grado di amministrare sopra gli altri uomini. Fintanto che lo avrà dalla sua parte allora nessuno potrà fare nulla per rovesciarlo.
In questo scenario Romulus apre il sipario su un triplice racconto di formazione secondo il quale organizza una storia che parla di rinascita. Il disfacimento dell’ordine vecchio che va in crisi e da cui risorge un nuovo ordine, non quello della trilogia sequel di Star Wars, ma quello alla base del mito della nascita di Roma e di tutto il mondo Occidentale.
I protagonisti sono Yemos (Andrea Arcangeli), fratello, anzi, gemello di Enitos (Giovanni Buselli), figli del “re dei trenta re” Numitor (Yorgo Voyagis), anche lui con un fratello, ed eredi al trono di Alba; Wiros (Francesco Di Napoli), lo schiavo di Velia senza bracciale sacro e con un misterioso segno dietro al collo, e Ilia (Marianna Fontana), vestale custode del fuoco sacro e innamorata di Enitos. Tre racconti, due coppie di fratelli di sangue più una di fratelli di spirito, quello della rinascita, e una ragazza che diventa donna e diventa donna di potere, condottiera e forse matriarca.
Tra le città sotto il Tevere c’è però un bosco, casa, si dice, dei fantomatici adepti della dea Rumea, la Lupa. Che siano loro i conquistatori che Remo e Romolo erano ne Il Primo Re?
Romulus, Rume e potere
Romulus parla di potere, potere politico (abbiamo detto vecchio e nuovo ordine), ma soprattutto potere nelle relazioni umane, siano esse familiari, romantiche o di amicizia, concentrandosi su come si sfumino le une con le altre e su come al loro interno possiamo tutti diventare schiavi e padroni, a prescindere da sesso, età e, soprattutto, la veste sociale che occupiamo.
Ecco perché il potere è donna (anche) secondo Rovere, che eleva la componente femminile al punto che pure nelle presenze maschili è profondamente riscontrabile. E come dargli torto? Le donne dominano le relazioni da sempre. Più intelligenti, argute e dotate, molto più di noi maschietti. Le donne di Romulus sono sacerdotesse, generali, guerriere, figlie, madri, mogli, ma mai sorelle, loro no, perché magari non hanno neanche bisogno di essere in due per essere complete. Si bastano da sole. Cantano anche meglio, o preferivate i Tears of Fears ad Elisa per la sigla?
Roma è potere e dunque è donna, donna come Rumea, la dea che terrorizza i possenti omaccioni della Lega che parlano latino, e come Rume, la terra promessa.
Ora, sarà appunto questa presenza insita in loro, ma c’è da dire che in Romulus anche i personaggi maschili sono comunque molto belli. Bello lo Wiros di Di Napoli, piegato dalla paura e dal destino, e bello il principe Yemos di Arcangeli, guerriero onorevole, ma anche debole orfano, orfano come Amulius (Sergio Romano), sempre un fratello, ma del vecchio re, e principale vittima del potere delle donne, destino inevitabile dato il suo collegamento sia con Ilia che con la Gala di Ivana Lotito (femme fatale specializzata dopo Gomorra – La serie). Bello, tanto bello, anche un altro re, quello interpretato da Gabriel Montesi, che torna da Il Primo Re, passando per Favolacce, e si mostra un attore in costante crescita.
Il futuro nell’età del ferro
Matteo Rovere compie due imprese gigantesche senza cui probabilmente Romulus non sarebbe mai esistito e lo fa nella veste di creativo e produttore. Egli si pone al centro dell’organizzazione del progetto, vestendo i panni di showrunner autentico, ruolo che gli consente di partecipare alla creazione di un mondo, praticamente partendo da zero, insieme a Filippo Gravino e Guido Iuculano e poi anche alla sua trasposizione su schermo insieme a Michele Alhaique e Enrico Artale, donandogli un registro linguistico solido, unito e moderno.
L’universo nel quale si muovono i protagonisti è frutto di un concepimento in grado di unire anni di studi storiografici, archeologici ed antropologici con un’inventiva e un senso commerciale fuori dall’ordinario. Due elementi che permettono non solo alla serie di vantare un mondo assolutamente realistico e credibile nella messa in scena, ma anche di conservare una coerenza straordinaria pur piazzandosi in quella dimensione di ibrido tra fantasy e storico che tanto serve e tanto è richiesta nel panorama internazionale. Elementi esoterici e rituali si fondono con il naturalismo e giocano con la possibilità creativa di un’epoca di cui non sà praticamente niente, sfruttando una sorta di bolla in cui ci si può inserire a patto di non tradire se stessi. A questo si somma una messa in scena meravigliosa, dai costumi alle scenografie, e ad un linguaggio che spiazza i limiti televisivi per diventare cinema.
Un’epopea nostra, sontuosa e moderna, classica e attuale, che porta la serialità a compiere un altro passo in avanti. Un altro tassello, per tanti versi il più importante, nella nostra produzione televisiva, quasi in contemporanea con i lavori bellissimi e diversissimi di Sorrentino e Guadagnino.