Sanctuary: recensione della serie giapponese Netflix

Dal 4 maggio 2023 su Netflix la serie tv di produzione nipponica diretta da Kan Eguchi e scritta da Tomoki Kanazawa, con al centro una storia di redenzione, rinascita e riscatto ambientata nel mondo del Sumo professionistico.

Ci sono discipline sportive, nello specifico di combattimento, che non hanno mai ricevuto particolari attenzioni tanto dal piccolo quanto dal grande schermo e il Sumo è una di queste. Nonostante in Giappone goda di una grandissima popolarità, tanto da essere riconosciuto sport nazionale, l’aura di sacralità e rispetto che l’avvolge sin dall’alba dei tempi di una tradizione lunga 1500 anni lo ha in tal senso preservato e protetto da una certo tipo di esposizione mediatica e rappresentazione. Forse è per questa ragione che i progetti audiovisivi a esso dedicati o ambientati nel suo mondo si contano davvero sulle dita di una mano. In effetti se dovessimo azzardare un confronto con altre discipline nate nel Sol Levante come il Karate o il Judo, questo sarebbe in termini cinematografici e televisivi decisamente impari. Ecco perché la notizia dell’approdo su Netflix il 4 maggio 2023 di una serie interamente dedicata al Sumo professionistico dal titolo Sanctuary ha subito attirato l’attenzione e la curiosità del pubblico e dei cultori della materia, che prima si erano dovuti accontentare solo di pochissime opere sul tema, perlopiù commedie stilizzate incentrate su dimensioni collegiali come Sumo Kid di Ilya Ermolov e Il Club di Sumo! di Shiko Funjatta o di produzioni documentaristiche (Little Miss Sumo di Matt Kay e I Giganti) e animate.

Sanctuary ci porta per la prima volta nel mondo del Sumo professionistico attraverso una storia di redenzione e riscatto

Sanctuary cinematographe.it

La possibilità di assistere a una rappresentazione, seppur romanzata all’interno di una cornice seriale di fiction, che ci consegna finalmente una visione professionistica di questa antica arte di combattimento, è sicuramente un motivo di grande interesse, che ha spinto noi come tanti altri abbonati alla piattaforma a stelle e strisce a “divorare” in modalità binge watching gli otto episodi (della durata variabile che va dai 60 ai 40 minuti circa) di Sanctuary. A curarne la regia Kan Eguchi (The Fable), che ha messo in quadro gli script degli episodi firmati da Tomoki Kanazawa, che raccontano  le ambizioni, i sacrifici e la determinazione di giovani che lottano per fama, denaro e potere. Tra questi c’è Kiyoshi Oze, un ragazzo che vuole mettere da parte un doloroso passato criminale e per farlo decide di diventare un lottatore di Sumo, affascinando i fan con il suo atteggiamento spavaldo e sconvolgendo un’industria intrisa di tradizione millenaria. Questo porta il protagonista a doversi scontrare con alcuni segreti dei suoi rivali e dei suoi colleghi, entrando a far parte di un mondo che nasconde più di quanto si possa immaginare.

In Sanctuary le digressioni narrative distraggono lo spettatore dalla linea orizzontale principale del racconto

Sanctuary cinematographe.it

Partendo dai temi classici e imprescindibili dello sport-drama, gli autori portano sullo schermo una storia di redenzione, rinascita e riscatto di un giovane uomo che deve superare ostacoli insormontabili, prove e allenamenti estenuanti dentro e fuori dal dohyo per compiere la sua missione. Un cammino durissimo, il suo, che valicherà la soglia sportiva per entrare anche in quella esistenziale. Sanctuary ha in questo cammino il suo arco narrativo, che va di pari passo con il progredire della one-line del protagonista, che lascia spesso spazio, al fine di allargare gli orizzonti drammaturgici della serie, anche ad altri personaggi secondari come quello della giornalista o di uno dei compagni di squadra di Oze. Il ché però alla lunga distoglie l’attenzione dalla linea orizzontale principale, generando delle verticalità che e delle linee orizzontali parallele esigue e futili, che poco aggiungono alla causa. Ciò provoca dei giri a vuoto nelle timeline che allungano il brodo togliendogli quel sapore deciso che l’episodio pilota aveva. Con lo scorrere dei capitoli, quel sapore si attenua e lascia spazio a un racconto non privo di emozioni forti, ma però si attenuano di intensità.

Wataru Ichinose offre una performance estremamente fisica e dolorosa, che conferisce alla serie in questione un certo livello di realismo

Sanctuary  cinematographe.it

Per il resto la scelta di avvalersi di veri lottatori di Sumo professionistico, affiancandoli ad attori di tutto rispetto come Wataru Ichinose (visto in Weakest Beast), che nei panni di Oze offre una performance per forza di cose estremamente fisica e dolorosa, conferisce alla serie in questione un certo livello di realismo. Questo trasuda dal primo all’ultimissimo fotogramma a disposizione di Kan Eguchi e rappresenta senza dubbio uno dei punti fermi e a favore di Sanctuary.             

Sanctuary: conclusione e valutazione

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Una classica storia di redenzione e rinascita di un loser dal passato criminale che ci porta nel sacro mondo del Sumo professionistico attraverso i temi tradizionali dello sport-drama. Digressioni e parentesi narrative futili estendono gli orizzonti drammaturgici del racconto, ma finiscono anche con il distrarre dalla linea orizzontale principale. L’affiancare agli attori, tra cui un convincente Wataru Ichinose nei panni del protagonista, dei veri lottatori di Sumo contribuisce a dare realismo alla storia e ai combattimenti nel dohyo. Le emozioni arrivano a fasi alterne, mentre la confezione fa del proprio meglio per risultare soddisfacente sia sul piano visivo che sonoro.   

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

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