Santa Evita: recensione dei primi episodi della serie Disney+
La recensione di Santa Evita, la serie Disney+ (Star) che ripercorre la storia di Eva Peron, la donna che ha cambiato l'Argentina.
“Don’t cry for me Argentina” canta Evita nell’omonimo musical e invece l’Argentina, e non solo, ha pianto moltissimo per lei. La sua morte, a 33 anni, a causa di un cancro, ha distrutto tutti coloro che l’hanno amata e la serie, composta da sette episodi, Santa Evita di Rodrigo García – Salma Hayek Pinault produttrice esecutiva –, disponibile dal 26 luglio 2022 su Disney+ (sul canale Star), si concentra proprio sul dopo, sullo strazio per la dipartita e sulla forza insita in quel corpo che anche senza essere più in vita è in grado di catalizzare l’attenzione politica, culturale e sociale di un intero paese e racconta così anche la storia di una delle più famose donne sindacaliste della storia, Eva Perón, interpretata da Natalia Oreiro.
Santa Evita: un corpo, idolo di un’intera nazione, da cui parte tutto
1952 è un anno fondamentale per l’Argentina, anno che cambierà per sempre il mondo: Eva Peron, “guida spirituale”, leggenda vivente del suo popolo, muore di cancro all’età di 33 anni e lascia il suo paese e la sua gente sola. Contro il volere della madre – che si batte tra lacrime e disperazione per il corpo della figlia -, viene imbalsamata ed è questo il punto di partenza della serie che prende ispirazione dall’omonimo romanzo scritto (1995) dall’argentino Tomas Eloy Martinez. “La cosa peggiore della morte non era che accadesse. La cosa peggiore della morte era la bianchezza, il vuoto, la solitudine dell’altra parte: il corpo in fuga come un cavallo al galoppo”; immagina così il momento Martinez e così esonda, prende il centro dello schermo il corpo bianco, svuotato di Evita. La serie inizia là dove finisce la vita sulla terra della protagonista, stella, nume tutelare di una storia struggente e triste perché morta giovanissima per un tumore all’utero che la dissangua e che le divora le carni, di un percorso cristologico, un racconto agiografico, il cui centro è proprio il corpo “inanimato”. Come spesso capita per chi muore così giovane, come le divinità e le stelle dello spettacolo, la sua esistenza diventa leggenda: cresciuta tra povertà e fatica nella provincia di Buenos Aires, mai riconosciuta dal padre e per questo chiamata “bastarda”, si costruisce un carattere forte, con una volontà di ferro che la spinge a scappare a 15 anni per diventare attrice. Il suo colpo di fortuna, segno del destino è l’incontro con il generale Juan Peròn (interpretato da Darío Grandinetti), ministro del lavoro. Quello tra loro è un grande amore, un sodalizio anche politico, non sarà riuscita a diventare attrice – per il mondo dello spettacolo era troppo magra, con gli occhi incavati, le caviglie grosse, il portamento maldestro, rigida, senza classe – ma è diventata idolo di un’intera nazione. Quella ragazzina arrivata dal nulla è la potentissima icona con il celebre chignon biondo che sa parlare al suo popolo, con uno sguardo di sinistra, interessata agli ultimi perché da quel bacino è nata. Quando Peròn diventa Presidente della Repubblica lei è sua consigliera, si dedica con anima e corpo alla politica nazionalistica del marito, portando avanti il suo impegno nel sociale per i diritti dei lavoratori e dei più bisognosi.
Santa Evita: un viaggio lungo 16 anni
“Ci ha lasciato la signora Evita, capo spirituale della Nazione”
Mescolando fatti realmente accaduti ed elementi di finzione, la serie narra ciò che accadde al corpo di Eva Peron dopo la sua tragica morte, si fa thriller oscuro Santa Evita che non è una sua biografia – nonostante ci siano vari flashback in cui vediamo alcuni momenti fondamentali della formazione e della crescita di quella ragazzina diventata poi una donna -, ma è invece la storia misteriosa, spaventosa e triste, del suo corpo, dell’incredibile pellegrinaggio del suo cadavere riuscendo comunque a narrare moltissimo su ciò che lei è stata e su ciò che ha rappresentato per il suo popolo. Evita è stata ed è un vero e proprio simbolo dell’Argentina, basta assistere all’amore del popolo, al dolore delle persone che l’hanno conosciuta e che hanno fatto parte della sua vita (la madre, il marito) ma emerge anche il disumani e odiosi festeggiamenti delle forze militari che hanno da sempre mal sopportato, per usare un eufemismo, la politica di Evita ed Evita stessa. La serie chiarisce quanto fosse fondamentale quel corpo con un sistema di valori specifico, il cadavere continua ad avere tutto questo e addirittura forse ancor di più, diventando una bandiera (politica, sociale) in seguito, per molti pericolosa.
Come tutti quelli che dal niente hanno avuto tutto, Eva, poco prima di morire, chiede al marito di non essere dimenticata e così lui chiama un anatomista di fama internazionale per imbalsamarla e quindi renderla eterna. Il medico, alla guisa di quei film in cui si mostra la nascita di un “mostro” spaventoso, dà inizio all’opera di conservazione, toglie il sangue, spennella il corpo, non rimuove gli organi, usa formaldeide, ghiaccio secco, paraffina, cloruro di zinco e la soluzione è una, rendere un cadavere un fantasma. Tutto questo per mantenere il sogno in corpore, per portare avanti l’amore, per mantenere connessi popolo e divinità: Evita, per tredici giorni, vestita di bianco come una bambola esanime ma meravigliosa, come se il miracolo continuasse ancora, truccata, pettinata, esposta in una teca nella sala di marmo nero della Segreteria del lavoro. Sotto una pioggia incessante – doloroso e struggente il momento in cui scuri ombrelli si preparano a portare l’ultimo saluto alla donna -, va in scena un lutto collettivo e un intero Paese piange e beatifica la Santa.
La First Lady è ancora quel corpo desiderato, voluto, adorato; è inquietante pensare che, come in vita lei è stata oggetto di sguardo, posseduta dagli altri, anche in morte le è toccata la stessa sorte, venerata, toccata, bramata. Questo è sicuramente uno dei punti più interessanti della serie, il racconto di un uso e “abuso” della “stella”, della divinità.
Dopo la morte ha inizio un’altra vita di Evita. Tutto si complica quando cade Perón e l’odio rivolto all’uomo ricade sul cadavere della donna – ancora più odiata perché voce femminile potente in un mondo profondamente e assolutamente patriarcale –, chiamata dai potenti, per non citare neppure il nome, “la cavalla” e il suo cadavere compie un viaggio lunghissimo, 16 anni, che sembra non avere mai fine. Il governo militare si chiede cosa fare con il corpo, per il popolo è semplicemente Evita, la Santa, da amare e idolatrare ancora, come se non se ne fosse mai andata, come se il peronismo esistesse ancora, per i militari è semplicemente un rischio, un simbolo da cancellare. Incredibilmente forse è ancora più pericolosa da morta che da viva perché intorno a lei si sarebbero potuti unire ancora i fedelissimi – con la possibilità di una controrivoluzione -, bisognosi di un luogo dove venerarla. Per fare in modo che non accada nulla al cadavere, vengono create altre “immagini” di Evita, quattro, identiche, per confondere e non far sapere dove fosse il corpo della vera Eva. Figura ambigua appare fin da subito il Colonnello Moori Koenig (Ernesto Alterio) di cui si mostra il lato oscuro e mefistofelico: sostenitore e acerrimo nemico, adorante di Evita ma anche strisciante aspide. Koenig prima porge le condoglianze poi festeggia la morte, era uno dei fedelissimi del Presidente, sembra occuparsi della salma di Evita Peròn con una devozione assoluta, nascondendola ma non tutto è come appare. Su di lui, in cui ritroviamo molti altri personaggi reali e di fiction, cala una luce misteriosa che a poco a poco disvela la sua essenza.
Martínez racconta tutto ciò che ruota intorno a lei, mostrando tutti coloro che hanno “toccato” il suo corpo. Alcuni sono stati perseguitati fino alla morte, altri hanno avuto incidenti inspiegabili, altri spiati per tutta la vita. I fatti storici inevitabilmente si intrecciano alla fiction.
Santa Evita: la parabola di una ragazza venuta dal nulla
Quando il 16 settembre del 1955 il Presidente viene deposto e gli aerei militari cominciano a bombardare Buenos Aires facendo strage di civili, il corpo della “Madonna degli umili” diventa simbolo di ribellione e eversione. Le foto di Evita, i suoi ritratti che prima giravano di mano in mano, spariscono ma non l’amore per lei. C’è un gruppo di peroniani che sorveglia le spoglie della Primera dama, che le sposta di qua di là. Lo strazio di questo macabro thriller molto reale, acquista sempre più i tratti di una spaventosa odissea post mortem che porta avanti la storia tragica di un corpo senza tomba, di un gruppo di fedeli senza luogo dove venerare la propria “divinità.”
La potenza di Evita si comprende ancora oggi, ancora 70 anni dopo, Lei nel suo paese è la Santa: pagana forse ma profondamente amata dalla sua gente, una donna di potere, con una voce forte e ancora dirimente. Santa Evita è una serie che narra la parabola di una ragazza venuta dal nulla, con il sogno di diventare attrice, senza molte cose, eppure è stata capace di togliere dal silenzio l’Argentina, rispettando chi fino ad allora era poco rispettato lavorando a molte riforme a sostegno dei dimenticati e delle donne. Come spesso capita alle donne la sua esistenza non è stata facile e neppure molto lunga ma a ripagarla è stato l’amore dei suoi “adepti” che hanno venerato lei e ciò che ha rappresentato e rappresenta ancora.
Il racconto della storia orrorifica e triste della donna che ha cambiato l’Argentina
Santa Evita con i primi tre episodi getta le basi per portare al pubblico la storia di una grande donna e la triste vicenda legata al suo corpo. In certi momenti la narrazione fin troppo fredda sembra allontanare il pubblico ma a poco a poco lo spettatore partecipa alla venerazione di quel biondo chignon perfetto che nasconde una forza e una caparbietà inimmaginabile, piangendo per lei e per il suo dolore.