Satu: recensione della serie TV Netflix
Una serie che non colpisce.
Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 2
2.3
In Tailandia, un gruppo di tre amici molto ambiziosi ha avviato una startup. Hanno ideato un gioco NFT chiamato Pirate’s Hell in cui gli utenti giocano per guadagnare criptovaluta. Ricorrono agli strozzini per farsi strada, fino ad un certo punto tutto sembra andare nel verso giusto ma poi, un giorno, il prezzo scende e si indebitano. Cosa possono fare per salvarsi? Parte da questo punto la serie tailandese, Satu, su Netflix dal 27 marzo 2024, ideata da Watcharapol Paksri, Aummaraporn Phandintong, Perapat Rukngam, Jiraporn Sae-lee, Asamaporn Samakphan, con nove episodi in cui si indagano le conseguenze della caduta di questi tre giovani.
Satu: una storia che non ha una struttura forte
Due ragazzi, Win (James Teeradon Supapunpinyo) e Game (Peach Pachara Chirathivat), e una ragazza, Dear (Ally Achiraya Nitibhon), protagonisti della serie, sono i giovani e ambiziosi imprenditori che decidono di iniziare una nuova avventura, gestire un tempio per ripagare il debito e arricchirsi. Facile no?! No, proprio no. Sono anime intraprendenti che devono affrontare i resti carbonizzati dei loro sogni falliti, e così affrontano un viaggio che è molto lontano dall’essere risveglio spirituale, si tratta invece di mero sfruttamento finanziario. Devono però incominciare tutto da zero, cercare un tempio, il monaco che diverrà volto della campagna, i fedeli non accorreranno subito e avranno parecchi problemi per creare questo “impero” religioso e d’affari.
Mentre i nostri imprenditori tessono una rete di inganni, la serie tenta di iniettare drammaticità, mistero e tensione nella narrazione ma non riesce a pieno in questo intento, è come se si provasse ad accendere un fuoco con legna umida. Satu accende le scintille e sono deboli fiamme che tremolano e muoiono senza incendiarsi veramente.
Un ibrido che non conquista
Satu ricerca la profondità tra una storia di criptovalute e di religioni costruite a tavolino per arricchirsi ma la serie inciampa e cade. L’idea principale c’è, è narrata, dopo un primo momento di confusione, in maniera chiara, il legame tra finanza e religione diventa centrale ma c’è qualcosa che non va, non riesce ad agganciare il pubblico. Per riempire quei vuoti, lo show usa tematiche semplici quali amicizia, famiglia e amore, porta in campo stanchi e logori cliché.
Lo show è principalmente un dramma che si atteggia a thriller religioso, sarebbe potuta essere un’idea fantastica ma il vero problema è il ritmo che fa inevitabilmente cadere l’interesse nello spettatore.
Satu: valutazione e conclusione
Satu è una visione che non riesce nel suo intento, non colpisce quando è un dramma, non fa tremare i polsi quando si tratta di un thriller, non è capace di svelarci grandi segreti quando mostra lo stretto rapporto tra finanza e religione. Insomma è un ibrido, è tante cose insieme ma nulla in particolare. Il cast fa bene il suo lavoro ma il problema è che i personaggi non sono in grado di creare un legame con chi guarda.