Self Made: la vita di Madam C.J. Walker – recensione della serie Netflix

La serie TV tratta dalla storia vera di Madam C.J. Walker, la grande imprenditrice di cosmetici.

La teoria del self made man, l’uomo che si fa da sé. Colui che è partito dal niente, che duramente si è fatto strada negli impervi tentativi di una vita pronta ad offrire più di quanto aveva dato alla sua nascita e che si proietta nelle soluzioni future di successo che gli permetterebbero, una volta arrivato al proprio obiettivo, di brillare. Libri, film di fantasia, racconti, ma, soprattutto, storie vere, autobiografie che si tramandano nel corso del tempo e riportano le tappe di inizio, ascesa e ribalta di tantissime personalità dell’universo mondiale. Perché l’uomo che si fa da sé è intrinseco nello spirito stesso degli imprenditori e, come ci insegna Madam C.J. Walker, anche nelle donne.

Prima donna di colore ad essere riconosciuta come pilastro di un’industria e una società, tra gli esponenti della rivoluzione culturale che ha iniziato a muovere i propri passi nei decenni che aprivano al Novecento, la magnate dei prodotti per capelli ha raggiunto la notorietà nel corso della sua vita e una casa esattamente al fianco di quella di Rockefeller, lasciando in eredità non solo la sua compagnia in continua espansione, ma la memoria di un’esistenza incentrata puramente sulla conquista delle proprie glorie.

Ricordo riportato nella biografia della scrittrice A’Leila Bundles On Her Own Ground, libro che diventa miniserie Netflix con Self Made: La vita di Madam C.J. Walker con protagonista Octavia Spencer, per raccontare la determinazione di una donna che è stata, in primo luogo, portatrice di un ideale, di una inedita forma di emancipazione che passava dalle acconciature per affermare, in tutta sicurezza, i nascenti modelli espressivi della comunità statunitense.

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Non può che partire dalle radici dei campi di cotone del Sud la propulsione vitale di Madam C.J. Walker. Dai racconti dei suoi antenati, dalla tradizione di una cultura che passava dalla terra e la campagna per addentrarsi, dopo l’abolizione della schiavitù, nel tessuto cittadino, concedendo inesplorato spazio a quei neri occupati fino al 1863 a combattere la schiavitù, pronti adesso a legittimare il proprio posto nel mondo. Condizione che tocca indistintamente qualsiasi individuo, che parte dalla prevaricazione intrinseca del sesso maschie, ma che vedrà ben presto il tentativo di auto-affermazione di genere anche nel proprio contrappunto femminile. Ed è esattamente lì che Sarah Breedlove andrà facendosi strada diventando Madam C.J. Walker. In quel fiuto per gli affari accompagnato dalla potenza della propria verità che, per tanto tempo, è stata (e a volte rischia di esserlo tutt’ora) la stessa di tante altre donne di colore.

È la volontà di consacrare l’identità della nuova donna di colore nell’era moderna per cui Madam C.J Walker ha lottato, non tralasciando l’intensa smania di un’attestazione suscitata dall’opportunità di navigare nell’oro, motivazione che non ha mancato di alimentare le scelte della donna, tanto quanto lo abbiano fatto i suoi più alti principi. È coniugando le corrispettive parti che va prendendo dimensione Self Made: La vita di Madam C.J. Walker, che proprio per la straordinaria capacità dei fatti reali di essere paradigmatici di per sé, se confrontati con le direttive del tipico sogno americano, segue una narrazione semplice e lineare, che traccia ogni punto essenziale della mappa di raggiunta della vetta dell’imprenditrice di cosmetici.

Self Made: la vita di Madam C.J. Walker – Quando la verità è meglio della (non) fantasiaself made la vita di madame cj walker, cinematographe.it

E, dovendo dunque sottostare alla classicità di un racconto che presenta di suo gli svolgimenti principali per una storia di conseguimento del successo, è nella messinscena che la realizzazione della miniserie ricerca un connubio attraverso l’associazione delle allegorie, che non fanno altro se non rendere semi-amatoriale il risultato.

Pur ben diretto e girato, senza eccedere in elogi che meriterebbe più la stessa protagonista che l’operazione a lei dedicata, è il tentativo di far interagire reale e illusioni, concreto e immaginifico a sospingere le quattro puntate della serie. Un inglobare alla semplicità del racconto l’artificio dei sogni, non rinforzando certo il concetto manifestato alla base, ma aggiungendo un’appendice inutile alla presentazione della nascita e crescita dell’attività e delle aspettative di Madam C.J. Walker.

L’appesantire una serie che, fallendo nella sua unica idea distaccata dal semplice ispirarsi all’esistenza del personaggio di Sarah, mostra tutta la sua assenza di immaginazione dietro ad una mascherata non ben riuscita, finendo per annoiare nel susseguirsi di una visione che suscita un continuo già visto e che, nel tentativo di differenziarsi, trova solo il suo colpo letale. Una scontentezza che risuona tanto nelle parole infuocate della protagonista, quanto nelle soluzioni visive e relazionali dei personaggi, mancando lì dove, nella vita vera, Madam C.J. Walker aveva sbancato. Una miniserie convenzionale fino all’esasperazione, i cui fuochi che muovevano la donna vengono mal riposti, non sfruttando la possibilità di farsi, attraverso l’audiovisivo, manifesto di un genere, di una cultura, di un’economia e di una società.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2

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