Servant – stagione 4: recensione della serie TV di M. Night Shyamalan
Dorothy e il marito devono riprendersi dopo il trauma che hanno subito nella terza stagione per affrontare l'enigma più terrificante: chi è Leanne?
Servant è una serie ideata da Tony Basgallop e diretta da M. Night Shyamalan che via via ne è diventato un co-showrunner: gli episodi sono disponibili su Apple TV+, e la quarta e ultima stagione è distribuita dal 14 gennaio 2023.
I genitori Dorothy (Lauren Ambrose) e Sean Turner (Toby Kebbell) assumono una giovane tata, Leanne (Nell Tiger Free), per accudire una bambola reborn, unico strumento che è servito per riportare la donna dallo stato catatonico in cui era caduta dopo la morte del figlio Jericho. Con il passare del tempo, però, la bambola sembra diventare un vero neonato…
In questa quarta stagione, Leanne cerca di sfuggire alla presa della Chiesa dei Santi Minori, mentre la famiglia Turner deve ricomporsi e affrontare i pericoli sempre più stringenti intorno a loro, nonché rispondere alla domanda più inquietante di tutte: chi sono Leanne e il piccolo che vivono nella casa?
Un colpo di scena dopo l’altro in Servant 4
La terza stagione di Servant si era chiusa con un colpo di scena da far tremare le vene e i polsi: la quarta si riapre promettendo allora scintille, confermando una vena horror sempre più spiccata, atmosfere ancora più tese e Shyamalan presente nella regia e sulla supervisione.
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In questo modo, si fa perdonare definitivamente la piccola caduta di ritmo che aveva avuto nella seconda stagione: che probabilmente era fisiologica, visto che la prima era stata così fulminante, come concept e come messa in scena, da rendere arduo un prosieguo all’altezza.
Che però c’è stato con i dieci episodi della terza, dove la narrazione ha (finalmente e intelligentemente) preso nuove strade portando i personaggi lungo traiettorie che confermavano l’interesse.
La quarta, attesissima, chiuderà la storia di Dorothy, Sean e Leanne, restando nel sentiero tracciato e restituendo intatto lo stupore ma soprattutto la fascinazione per una paura profonda e immanente.
Si avvicina inesorabile allora la resa dei conti tra la ragazza sfuggita al culto religioso della sua comunità famigliare e la donna che l’ha accolta come babysitter e amica: conseguentemente, l’orrore si fa sempre più incalzante e tangibile.
Da Hitchcock a Lynch, una serie TV che fa paura
Basterebbe anche solo la prima sequenza dell’episodio di apertura della quarta stagione per un applauso a scena aperta: Leanne bloccata in automobile, fuori i suoi assalitori attaccati furiosamente e selvaggiamente da piccioni. Ovviamente, l’ammiccamento agli Uccelli di Hitchcock non è casuale (non è un mistero per nessuno che Shyamalan sia uno degli allievi più riusciti del maestro del brivido), ma in generale si inserisce in tutte le citazioni e suggestioni cinefile dello show.
ll nuovo, inquietante film di M. Night Shyamalan
Leanne è sempre più convinta che la Chiesa dei Santi Minori la spii: e la contingenza diventa lo spunto ideale per rendere ancora più evidente la simbologia della casa come topos classico dell’horror, ambiente claustrofobico e teatro del terrore, tra anfratti bui e folli geometrie. Sì, perché l’abitazione dei Turner, proprio come la casa di Fred Madison/Bill Pullman nel capolavoro assoluto di David Lynch, Strade Perdute, dopo quaranta episodi continua ad avere luoghi segreti e geografie impossibili e contorte, continuando anche ad essere un vero e proprio protagonista di Servant.
La casa perturbante
Se l’ideazione della serie è opera di Basgallop, a mettere in scena gli incubi della famiglia Turner è stato comunque Shyamalan, che (dimenticando il poco riuscito, per quanto interessante, Wayward Pines) lascia con Servant un’impronta indelebile: estrema eleganza formale, arditezza della storia, ma soprattutto intrattenimento con contenuti intelligentissimi.
C’è una parola, un concetto psicoanalitico, che potrebbe racchiudere il senso di Servant, dopo la visione della quarta stagione: perturbante. “Il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”, scriveva Sigmund Freud ne Il Perturbante del 1919. E nella serie di Shyamalan tutto è perturbante, dalla costruzione dell’atmosfera ad ogni singolo mattone della casa dei Turner.
Con un cast ridotto al lumicino, l’essenziale struttura drammaturgica, l’ambientazione si fa dichiaratamente psicoanalitica (vedi sempre Lynch) e rende la casa dove è ambientata tutta la storia un labirinto di senso, un corpo pulsante pieno di anfratti e luoghi bui, coni d’ombra che nascondono rimosso e rimorso dell’anima.
Shyamalan usa allora Servant come giocattolo definitivo sul genere: smonta e rimonta i parametri dell’horror rispettandone i concetti ma decostruendone le infrastrutture.
In Servant, fino a questa quarta stagione, è stato tutto rimandato. Ogni svolta trasforma la storia in un coito interrotto continuo che rimanda a dopo, in un’attesa snervante che svela l’inessenzialità del mistero finale e nello stesso tempo lo pone al centro di tutto. La serie è (stata) molto più della somma delle sue parti, mentre ha costruito l’inquietudine sul vuoto e sulla vertigine del buio, progredendo per ellissi mentre evidenziava la presenza con l’assenza.