Sissi (2021): recensione finale della serie tv di Sven Bohse
Nonostante l’accuratezza della messinscena ottocentesca, la Sissi diretta da Sven Bohse si perde nell’innegabile bellezza della coppia Devenport-Schümann, esplorando insufficientemente il malessere intimo e dannato dell’eroina imperiale. Tutti gli episodi sono ora su Mediaset Play.
Troppo indomabile per la vita a corte, troppo promettente per quella del focolare domestico. Il destino di Sissi, Imperatrice consorte d’Austria e Regina apostolica d’Ungheria, fu costantemente rincorso da una predestinazione all’infelicità, una vaga malinconia che l’ha resa misteriosa e magneticamente attraente secoli dopo la sua tragica morte.
Avvertirsi mai abbastanza, essere profondamente amata dal popolo e, allo stesso tempo, sentirsi in trappola ai doveri da regina è forse l’essenza più affascinante dalla quale estrarre il materiale per far rivivere Sissi sullo schermo ancora una volta. Reinterpretare le sfaccettature più intime e dolenti, all’infuori della bellezza e del fascino maestoso delle crinoline e dei fasti di palazzo, è infatti la sfida più ardua quando si sceglie di far rivivere una figura Storica e Regale così presente nell’immaginario popolare, e la versione più contemporanea, ovvero quella curata del regista tedesco Sven Bohse, andata in onda su Canale 5 per tre serate e sei episodi (ora disponibili on demand su Mediaset Play), bisogna ammettere di aver solo sfiorato l’obiettivo.
Crescere a corte e sentirsi in gabbia: la Sissi del 2021 deve molto, forse troppo, al fascino dei suoi giovani interpreti
Attraversando la parabola di crescita di Sissi, prima adolescente e sorella minore amante della natura e del vivere semplice, poi futura Imperatrice costretta ai rigidi codici di corte e all’ostilità della suocera, la serie tv, rinnovata già per una seconda stagione, si perde nella invidiabile e innegabile incanto dei suoi protagonisti principali: l’attrice e ballerina svizzera-statunitense Dominique Devenport, e la sua controparte maschile, lo splendido interprete Jannik Schümann, che veste i panni dell’Imperatore Francesco Giuseppe.
Una scelta di cast ponderata a svecchiare e modernizzare due figure storiche altrimenti destinate ai ritratti ultra-romantici e propagandistici dell’epoca, uniti ed esaltati da una regia e una fotografia accurata e volutamente costruita per valorizzare fisionomie e profili perfetti, corpi filiformi e sguardo da cerbiatto. La Sissi di Bohse sembra infatti decisamente interessata ad un’estetica ottocentesca da costume drama di nuova generazione piuttosto che a una restituzione umana e psicologica; accuratissimo nella messinscena ma non altrettanto nello studio interiore della sua eroina, destinata ad una rappresentazione coerente con i documenti storici ma accennata nella sua sensibilità più sofferta.
Rinnovata già per una seconda stagione la serie tedesca andata in onda su Canale 5 lascia da parte i tormenti e le nevrosi per dare spazio all’appeal della sua messinscena regale
Dai preparativi delle nozze ai rigidi protocolli di corte, dai rapporti burrascosi con l’Ungheria ai diversi tentativi di attentato al coniuge da parte di ribelli, la serie sembra spesso rimanere in una superfice di incanto aggraziato, strizzando l’occhio a un pubblico ormai smaliziato nel curiosare nella passione erotica e nei moti sentimentali di principesse e futuri re, grazie a operazioni quali Bridgerton, la controversa Versailles o, in una versione più composto, The Crown. Il fascino dannato di Sissi qui si spegne in alcune sequenze focose e primi piani in controluce, laddove invece l’ossessione per la magrezza, le estenuanti cure dimagranti e le numerose nevrosi a seguito della morte della primogenita rimangono abbozzate e confezionate sempre in una misura raffinata che a lungo andare non soddisfa appieno lo spettatore più esigente, il quale spesso ha la sensazione che le intemperanze e i tormenti di Francesco Giuseppe siano (probabilmente) più interessanti di quelle dell’eroina principale.
Versione ibrida fra il controllo maestoso e malinconico della Sissi di Romy Schnaider, e quella più osé e patinata dei drammi in costume esplorati nelle piattaforme a pagamento, la Sissi di Dominique Devenport condivide lo stesso percorso della sua eroina tragica: troppo convenzionale per sperimentare i terreni del digitale, e a tratti, troppo incendiario per il pubblico trasversale della tv generalista.