Solos: recensione della serie TV Amazon Prime Video
Solos è un pugno nello stomaco, una calda riflessione sulla memoria, sulla vita, sul passato e sul futuro.
Uomini e donne. Soli, ciascuno con il proprio mondo, con le proprie memorie e con le proprie fragilità. Degli assoli di anime dolenti, a tratti cristologiche. Questo è il nucleo di Solos, serie tv antologica, composta di 7 episodi, creata da David Weil, uscita su Amazon Prime Video il 25 giugno 2021. Anne Hathaway, Anthony Mackie, Helen Mirren, Uzo Aduba, Constance Wu, Nicole Beharie, Morgan Freeman e Dan Stevens declinano in diversi modi l’essere umani, lo struggimento dell’esistenza e dell’esistere, l’evoluzione tecnologica in rapporto con l’universalità dei sentimenti umani. Tutti siamo soli ma tutti viviamo le stesse cose.
Solos: la serie TV con Anne Hathaway tra presente e futuro
Solos racconta il presente e il futuro, il dentro e il fuori, ciò che è e ciò che è stato. Ogni episodio porta al centro un personaggio il cui nome dà il titolo alla puntata: Leah, Tom, Peg, Sasha, Jenny, Nera, Stuart sono variazioni dello stesso tema, un po’ sci-fi, un po’ dissertazione sulla vita e sulla morte, gioco tecnologico e racconto quasi “biblico” dell’origine dell’uomo e della sua memoria, dell’origine di sé e di quel sé proiettato nel futuro. Ogni puntata inizia con una domanda, uno spunto di riflessione che riguarderà l’argomento dell’episodio.
La serie esplora una narrazione che analizza in un modo o nell’altro il rapporto tra la natura umana e le svolte tecnologiche. L’essere umano è solo, è quasi una certezza, ma, lo si capisce, non lo è mai veramente perché è connesso a tutti gli altri proprio in nome di quella sua natura così ben narrata, di quelle fragilità che lo rendono ciò che è. David Weil ha scritto e diretto metà degli episodi – facendosi affiancare da Tori Sampson, Bekka Bowling e Stacy Osei-Kuffourcon alla sceneggiatura e da Sam Taylor-Johnson, Zach Braff e Tiffany Johnson dietro la macchina da presa -, immerge i suoi protagonisti in un vuoto quasi cosmico accomunando ciascuno con tipiche emozioni umane: rimpianti, dubbi, paure, solitudine, vinta in parte, o almeno combattuta quest’ultima dalla tecnologia.
Non si tratta di Black Mirror o non totalmente, non si tratta neppure di Soulmates, Solos è una serie che si ritaglia il proprio posto e lo fa molto bene. C’è Leah che fa di tutto per combattere una sua guerra quotidiana, forse eterna, sicuramente impossibile, c’è poi Tom che ha bisogno di una copia di sé stesso per poter esserci per sempre per sua moglie e per i suoi figli, oltre la morte, oltre la malattia, oltre tutto, c’è poi Peg che decide di partire, nonostante non sia più giovanissima, per una missione in modo da dimenticare la solitudine in cui è immersa. C’è Sasha che non esce ormai da vent’anni perché un terribile virus aveva “un tempo” colpito la terra. C’è Jenny che deve superare un evento traumatico, poi Nera che attende la nascita del suo primogenito e infine Stuart che rimpiange le proprie scelte, seduto di fronte al mare. Ogni episodio entra nelle pieghe di queste persone e in ciascuna di esse chi guarda potrà trovare un po’ di sé, un po’ dei propri dolori e delle proprie paure, un po’ dei propri rimpianti e dei propri rimorsi. Una storia vale tante storie.
Solos: un lungo monologo, profondo e intenso di memoria e di viaggi nello spazio e nel tempo
La voce dei sette personaggi rimbomba nella testa dello spettatore: ogni uomo e ogni donna parla di fronte ad uno schermo, con una voce meccanica o metallica, con un altro personaggio che ha un valore “accessorio”, utile a capire perché sono fermi lì, bloccati in un luogo, una prigione dorata, perché hanno dovuto superare i traumi della vita (morte, solitudine, crisi, rimpianti), perché si sono isolati. La narrazione è quasi sempre scandita dai minuti che passano, da un conto alla rovescia claustrofobico e spaventoso, qualcosa sta per accadere, si deve arrivare da qualche parte. Case, navicelle spaziali, sale d’attesa e altri luoghi fanno da culla a questi claustrofobici, futuristici, reali pezzi di vita, colti in un momento di analisi e autoanalisi, in cui studiano vita, scelte e rapporti con gli altri.
Solos porta sullo schermo uomini e donne che sembrano legati da storie comuni, da piccole e grandi storie che sembrano fare parte della vita di ognuno come se ogni episodio fosse un capitolo di un libro molto più grande. La serie è una sorta di viaggio nel tempo perché ogni personaggio torna indietro nella sua vita, pensiamo a Leah, una meravigliosa Anne Hathaway che vuole usare la tecnologia per salvare chi ama parlando con la sé di ieri e di domani.
Solos è anche un racconto d’amore pensiamo all’episodio in cui Tom (Anthony Mackie), protagonista del secondo episodio, pensa ad un sostituto, una sorta di suo gemello, un replicante che stia accanto alla sua famiglia al momento della sua morte. Ricordi, gesti, parole, atteggiamenti, la sua copia dovrà imitarlo in tutto e per tutto ma come viene ricordato anche nell’episodio: non sarà lui, gli assomiglierà moltissimo. Si tratta di un memoriale – ciascuno riporta a galla episodi, ricordi, gesti, oggetti – anche quando si parla di assenza totale di memoria (pensiamo all’episodio Stuart con Freeman).
Solos: personaggi femminili importanti
Solos porta al centro anche personaggi femminili complessi e intensi, oltre a Leah, ci sono anche Peg (Helen Mirren) e Sasha (Uzo Aduba). Nel terzo episodio l’elegantissima e malinconica Peg compone un poetico canto nello spazio, un inno alla vita, alla vecchiaia, lancia un grido contro l’invisibilità – tipica lei dice di chi per una vita non è voluta essere un peso e che non lo vuole essere ancora di più negli anni della maturità (“la vecchiaia è un nemico che gioca sporco”). Rivaluta la sua vita, ragiona sugli errori fatti, ripercorre la sua esistenza mostrando un dolore profondo che fa parte di lei, parte di lei che si è calcificata tanto che per rimuoverla bisognerebbe rivoltarla, dice. Ancora più disturbante e delirante è il racconto di Sasha che porta sul piccolo schermo una pandemia. Viene spinta ad uscire, dopo vent’anni di lockdown dalla propria abitazione smart che diventa una voce della coscienza, un grillo parlante che tenta di svegliarla da quell’innaturale torpore. Sasha non crede, pensa, è convinta che sia un trappola, un macabro gioco di chi le vuole male. Il governo è un nemico, in realtà vuole solo decimare la popolazione.
Si parla anche di maternità, anche se in modo diverso, sia nell’episodio intitolato Jenny – che fa ricordare in un certo senso le atmosfere dello speciale natalizio di Black Mirror – che quello intitolato Nera: Jenny farà emergere solo alla fine una verità scomoda, Nera dal canto suo porta sullo schermo una maternità complicata, futuristica e spaventosa.
Una serie antologica malinconica e dolorosa
I sette episodi di Solos sono un pugno nello stomaco, una calda riflessione sulla memoria, sulla vita, sul passato e sul futuro, un freddo studio tecnologico e futuristico per superare i limiti e i confini spazio temporali. Una regia e una scrittura eleganti e raffinate conducono lo spettatore nel ventre molle dell’umanità in un limbo da cui sembra difficile fuggire ma da cui bisogna ripartire per esistere, per non essere più soli perché è proprio a quelle coordinate che corrisponde la connessione con gli altri esseri umani.