Somewhere between: recensione della serie tv crime/sci-fi
Uscita nel corso del 2017 negli USA e pronta ad arrivare ora in Italia, Somewhere between intreccia abilmente il classico genere crime con alcuni risvolti fantascientifici senza raccontare una storia particolarmente innovativa ma piuttosto focalizzandosi sul forte legame che si crea tra i personaggi rappresentati e lo spettatore.
Il genere thriller dai toni crime è probabilmente quello più usato e abusato dalle serie TV odierne e del passato e, in particolare in questi ultimi anni, è stato declinato ed esplorato in ogni sua singola variante possibile: dai classici polizieschi alle indagini degli antropologi forensi, dalle investigazioni dei crimini in universi paralleli alle sette religiose, per poi continuare con i vari Sherlock Holmes di nome o solo di fatto e finire, per assurdo, agli zombie che si improvvisano detective per risolvere casi di omicidio.
Somewhere between intreccia abilmente il classico genere crime con alcuni risvolti fantascientifici
In questo filone tematico si è visto ormai veramente di tutto e, per tale motivo, risulta davvero difficile al giorno d’oggi creare un’idea originale per una serie che vuole rientrare in questa tipologia. Nonostante ciò, ogni tanto emerge una serie che, pur riprendendo una storia non proprio innovativa a livello concettuale e di messa in opera, oltremodo già sviluppata varie volte in precedenza, riesce comunque a risultare altamente godibile e coinvolgente sfruttando altri elementi chiave della narrazione. Questo è il caso della serie intitolata Somewhere between di produzione ABC e ITV Studios, con protagonisti Paula Patton, la star femminile di Mission Impossible: Protocollo Fantasma, Devon Sawa, colui che ha avuto la primissima visione nella famosa saga di Final Destination, e JR Bourne, conosciuto soprattutto per il suo ruolo di Chris Argent nella serie adolescenziale Teen Wolf.
La storia riprende esattamente l’idea e lo stile del film Ricomincio da capo, con i personaggi principali che rivivono alcune giornate che hanno determinato la loro esistenza e li ha portati a un punto di non ritorno. Le vicende ruotano intorno alla figura di Laura Price, produttrice televisiva e moglie del procuratore distrettuale Thomas Price, che dopo aver tentato il suicidio tornerà indietro di tre mesi, alla settimana prima che la sua vita si frantumasse in mille pezzi con la perdita della persona a lei più cara, la sua bambina Serena.
Con l’aiuto di Nico Jackson, ex-agente della polizia con un fratello nel braccio della morte e che ha vissuto insieme a lei la stessa esperienza paranormale nel medesimo luogo e allo stesso orario, Laura farà di tutto per cambiare il corso del loro destino che sembra comunque essere già scritto in partenza anche in questa seconda opportunità che è stata loro concessa. Ma, soprattutto, Laura e Nico dovranno fare i conti con i diversi cambiamenti che intendono attuare in quanto ognuno di questi richiede un importante prezzo da pagare: per ogni persona salvata qualcun altro dovrà prenderne il posto in una contorta e assurda corsa contro il tempo.
Per quanto possa essere controproducente, la prima puntata rappresenta tutto quello che un pilot non dovrebbe essere: confusionaria, ripiena di frasi banalmente costruite e sentite già un milione di volte, con una regia sconclusionata che rasenta il limite dell’amatoriale, una colonna sonora talmente stridente, invadente e discordante con gli avvenimenti da risultare fastidiosa, e una recitazione tanto esagerata da risultare innaturale con protagonisti così piatti e scontati che, uniti nel complesso, non invogliano minimamente a proseguire con il resto della serie. Se non avessi avuto il compito di scrivere questa recensione, probabilmente sarei stata la prima ad abbandonare la serie in seguito a questo episodio e solo adesso che ho terminato la visione nella sua interezza, mi rendo conto in retrospettiva che avrei commesso un enorme errore e me ne sarei profondamente pentita. Il detto di non abbandonare una serie TV dopo una sola puntata e di concederle sempre una seconda possibilità non è mai stato così vero come nel caso di Somewhere between, perché successivamente a quel singolo episodio pieno di difetti la serie prende completamente il volo facendoti immergere in una narrazione divertente e appassionante.
Tutto ciò che era stato realizzato in maniera sbagliata nella prima puntata, viene totalmente stravolto nella seconda generando una piega inaspettata e, soprattutto, decisamente trascinante che non ti lascia staccare gli occhi dallo schermo fino agli ultimi secondi della stagione. La regia viene pensata in maniera differente e, più che cercare la perfetta inquadratura, si adatta allo stile della storia rendendola appropriata nel seguire ossessivamente i suoi personaggi che, una volta superata l’esperienza paranormale e tornano indietro nel tempo, diventano irriconoscibili rispetto alla presentazione che abbiamo ricevuto nel primo episodio.
Si scopre così la grinta di Laura e la sua capacità di superare qualsiasi difficoltà pur di salvare disperatamente chi ama, in cui le urla e i pianti non sono più esagerati ma rappresentano magnificamente tutta l’angoscia e la rabbia che una madre può provare nel vedere una nuova opportunità finita in cenere, dimostrando le ottime qualità recitative di Paula Patton. Ancora più sbalorditivamente emerge la personalità di Nico che, nel primo episodio, sembrava il solito personaggio non proprio sveglio adibito a buffone di corte e che, improvvisamente, diventa il perno a cui ci sentiamo incredibilmente e inesorabilmente attratti, come se fosse un polo magnetico, grazie al suo animo buono, alla sua vena sarcastica da canaglia a cui è difficile resistere, alle sue battutacce ed espressioni irriverenti che riescono a strapparti un sorriso sul volto perfino nelle situazioni meno opportune e tragiche ma, soprattutto, alla sua capacità di salvare la situazione nei momenti più complicati, non abbandonando neanche per un istante la sua missione di proteggere Laura e Serena, perfino quando questo va contro i suoi stessi interessi e quelli di suo fratello. Due personaggi che emergono con prepotenza nella loro ricerca di un killer che, di volta in volta, sembra sempre più irraggiungibile.
Ai due protagonisti si aggiungono la brillante performance di Serena, interpretata da Aria Birch, etichettata come insopportabile ed esageratamente lamentevole nel primo episodio che assume poi le vesti di una delizioso bambina che in più di un’occasione è costretta a comportarsi come un adulto, manifestando una simpatica ironia e scaltrezza che la faranno amare con il trascorrere delle puntate, e quella di JR Bourne nei panni del marito della protagonista Thomas Price, in grado di rivestire ottimamente i panni di un uomo dai dubbi intenti senza mai svelare troppo di sé. Il resto del cast completa un quadro di personaggi magistralmente inseriti per la prosecuzione di una storia in cui nessuno è ciò che sembra e la verità è molto più complicata di quanto si possa pensare. Ogni episodio riesce a illuderti e trascinarti in una determinata direzione per poi far sì che tu ti renda conto troppo tardi come la pista seguita sia in realtà un vicolo cieco, mischiando e rivoltando le carte fino agli ultimi episodi, attraverso un’introduzione di nuovi elementi che non fanno altro che complicare ulteriormente la vicenda ma, allo stesso tempo, inserendosi perfettamente nel posto giusto del puzzle che alla fine si verrà a delineare.
La bravura degli sceneggiatori, quindi, non è emersa tanto nella creazione di una storia fuori dal comune o mai realizzata prima, un intento che in questi anni è praticamente impossibile da compiere, ma piuttosto nella caratterizzazione esemplare dei personaggi presentati e nello sviluppo di una storyline intricata che non si risolvesse soltanto nell’interesse di scoprire l’identità dell’assassino ma che permettesse di coinvolgere, appassionare, provare pietà, ansia e qualsiasi emozione nel corso di ogni puntata. Si è inevitabilmente attratti dal sapere che cosa succederà ai vari protagonisti e persino ai personaggi più secondari, gioendo con loro e piangendo per loro, creando uno stretto e indissolubile legame emotivo che ti fa sentire al loro fianco in ogni momento della serie.
Somewhere between: dal 28 settembre su Netflix
Una nuova idea di serie TV che negli ultimi tempi sta letteralmente spopolando: se sei impossibilitato a ideare storie innovative in un periodo televisivo in cui tutto è già stato più e più volte raccontato, concentrati piuttosto sul creare un forte attaccamento ai personaggi che farà venir voglia di continuare la stagione fino all’ultimissimo secondo, perfino nei casi di una serie nata con dei presupposti non propriamente vincenti. Sicuramente sono chiare alcune pecche a livello di sceneggiatura, con determinate azioni leggermente irrealistiche per risolvere i problemi generatisi, oltre ad alcune frasi un po’ troppo sdolcinate che mal si adattano ad alcune situazioni, ma sono piccole gocce in uno sconfinato oceano a cui è facile soprassedere quando si è estremamente coinvolti nella narrazione.
In un periodo oltremodo saturo di seconde, terze, quarte o addirittura quindicesime stagioni, di storie che vengono rinnovate nonostante non abbiano più nulla da dire e di serie cancellate lasciandosi dietro un finale talmente aperto che è impossibile immaginare la loro conclusione, Somewhere between rappresenta a tutti gli effetti l’eccezione alla regola. Ufficialmente, la serie è stata cancellata dopo la prima stagione ma nella pratica è naturalmente terminata con l’episodio finale che risulta perfettamente autoconclusivo e che non lascia alcuno spiraglio di dubbio per una possibile continuazione. Una fine in cui tutti (o quasi) i personaggi hanno raggiunto ciò che per loro si potrebbe intendere come felicità e ogni singolo quesito che ci si è chiesti viene opportunamente svelato.
Guardando l’ultima puntata si è pervasi da un emozione mista a gioia e tristezza quale è giusto che sia per ogni finale di serie, per quanto breve o lunga possa essere stata e nonostante essa possa essere finita nel migliore dei modi, ma la nota più strana è che si abbia come la sensazione di dire addio ad alcuni cari amici che non rivedrai mai più, ma che saranno per sempre in un piccolo spazietto della tua memoria o in un angolo remoto del tuo cuore. Ma in fin dei conti, tutte le storie finiscono prima o poi, e forse sarebbe meglio se si concludessero come questa: con un sorriso sulle labbra dei protagonisti, la gioia sui loro volti e la certezza che ogni cosa è andata per il meglio, con i propri amici di schermo al sicuro e felici nel continuare le proprie vicende senza che noi li possiamo vedere un’altra volta.