Sophie Cross – Verità nascoste: recensione della della serie su Rai 1

La serie TV in onda su Rai 1 non ha profondità né senza dei colpi di scena eclatanti

Si è conclusa la prima stagione di Sophie Cross – Verità nascoste, la miniserie crime ideata da Paul Piedfort e diretta da Frank Van Mechelen. La stagione con i suoi primi tre episodi – su Rai 1 dal 13 al 27 giugno 2023 – continua a narrare la triste storia di Sophie Cross (Alexia Barlier) e del marito Thomas (Thomas Jouannet), e della sparizione del loro bambino, Arthur (Martin Verset).

Sophie Cross – Verità nascoste: una serie in cui lo spettatore prova poca empatia per la protagonista

Sophie ha un solo scopo ritrovare suo figlio, sparito nel nulla una mattina come tante, mentre giocava con il suo aquilone e lei parlava al telefono. L’avvocata insiste, indaga, non si perde d’animo. È una donna coraggiosa, tenace, non le interessano gerarchie e giochi di potere. Lei vuole solo ritrovare il suo Arthur. Servono a questo i due episodi, avere piccoli e grandi indizi in più per poter aggiungere tasselli al caso di suo figlio. Per questo Sophie indaga con la stessa forza per scoprire le verità nascoste dei casi di puntata perché il caso del professore trovato morto dopo l’incontro con i genitori e quello dell’assassinio dell’investigatore privato diventano metafora della tragedia che è capitata a lei e a suo marito.
La donna non ha paura di nulla, non viene scalfita da nulla ed è forse questo uno dei grandi problemi della serie, Sophie sembra un robot senza sentimenti e lo spettatore fa fatica a fidelizzare con lei e con Thomas. Loro stanno vivendo un dramma eppure non ci si sente partecipi del loro dolore, del loro strazio. Sarà perché tre episodi sono pochi per costruire un personaggio o sono pochi per una serie costruita come Sophie Cross, sarà che sappiamo molto poco di loro, di ciò che li tiene insieme, di ciò che provano.

Vediamo solo quanto la tenente lavori per trovare qualche straccio di indizio e quando lo trova sembra che non sia importante. Non abbiamo dei terremoti narrativi. Nel momento in cui Sophie riceve una foto in cui compare Arthur, ripreso da quello che dovrebbe essere il suo rapitore, ciò non scuote nulla. Il secondo episodio si conclude con un evento importante per la vicenda e a parte le lacrime e il tenersi la testa tra le mani, dal punto di vista narrativo non c’è un’accelerazione del ritmo. Non c’è una maggior vicinanza verso Sophie e la sua famiglia, anzi si ha maggior simpatia, nel senso etimologico, per Fred e Amina, per l’amore che il primo prova per la seconda, per la tragica vicenda personale della donna che viene raccontata all’amico e collega tra le lacrime. Come è possibile che non avvenga lo stesso per la protagonista e per il marito, colpiti da uno strazio inimmaginabile?

Una scrittura senza profondità e senza dei colpi di scena capaci di lasciare il segno

Il terso episodio – si cerca chi ha ucciso un investigatore privato – ha sì un cambio di verso ma poco incisivo per la portata. Dopo le scoperte di Sophie, anche Thomas, prima restio a voler scoprire cose in più sulla scomparsa di Arthur, cambia atteggiamento. L’uomo aiuta la moglie e le chiede scusa per la sua miopia, cercano insieme nuove piste, interrogano, guardano file per appigliarsi a qualcosa.

Si è aperto un vaso di Pandora quasi dal nulla, eppure era tutto lì, davanti ai loro occhi. C’è qualcosa dal punto di vista narrativo che non torna, soprattutto perché il ritmo neppure a questo punto si modifica radicalmente, neanche nel momento di massima tensione, neanche quando lo scioglimento potrebbe essere vicino.

L’episodio si conclude in modo da far intendere che qualcosa di importante accadrà nella seconda stagione con un cliffhanger che non lascia dubbi, eppure per come è la serie, la tensione non arriva mai all’apice. La sensazione è che si resti sempre in superficie senza andare in profondità. Quel vaso è aperto ma si osserva solo l’orlo del vaso, l'”orlo” dei personaggio, l’orlo delle storie.

Sophie Cross – Verità nascoste: conclusioni e valutazioni

Sophie Cross – Verità nascoste è un crime che ha poco del crime, che non invita lo spettatore a domandarsi cosa succederà, chi sarà il colpevole. Non c’è empatia, non c’è fidelizzazione, si resta a galla per portare a termine la visione ma il pathos è davvero poco. Lo show sembra un contenitore vuoto perché ciò che c’è è a galla e sotto lo strato non c’è nulla di più, ed è strano perché si parla di violenza psicologica e fisica, di uomini che usano il loro potere per fare ciò che più aggrada loro, di corruzione e affari loschi, di pedofilia eppure ogni cosa parla una lingua appiattita e annacquata. Gli indizi parcellizzati, buttati lì come se ci fosse un minutaggio in cui devono essere detti, perdono di senso e di forza proprio per la scrittura scelta. La narrazione è spoglia, è come uno scheletro a cui manca molto, si tratta di una storia ridotta ai minimi termini come ai minimi termini è ridotta la possibilità di emozione – e quindi di recitazione da parte degli attori. Peccato, si può però pensare che una seconda stagione potrà riempire di significato e di profondità la storia e i personaggi.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.2