Speravo de morì prima: la recensione finale della serie Sky
Si è conclusa la messa in onda di Speravo de morì prima, la miniserie Sky e Wildside su Francesco Totti diretta da Luca Ribuoli e con protagonisti Pietro Castellitto e Greta Scarano, la nostra recensione del finale.
Più o meno tutto quello che si pensava si sarebbe creato intorno ad una serie su Francesco Totti si è avverato. Gli spettatori si sono divisi, i romanisti di primo e ultimo pelo si sono espressi, non sono mancate le polemiche, se ne è parlato sui social e, a distanza, in ogni dove. Finora con toni anche più pacati del previsto volendo, per noi che siamo da sempre appassionati ad ogni discussione, poco importa la tipologia. Vabbé tolta qualche cosina raccolta su Twitch. Anche perché, se ci pensate, l’uomo più atteso e che avrebbe, diciamo, qualche motivo per prendersela, non si è ancora espresso. Anche questo, però, sorprende poco.
La messa in onda di Speravo de morì prima, diretta da Francesco Ribuoli, scritta da Stefano Bises, insieme a Michele Astori e Maurizio Careddu, e prodotta da Sky e Wildside, si è conclusa ieri con le ultime due puntate e, con buona pace di tutti, ha dimostrato come il suo scopo non sia mai stato quello di creare dei casi, quanto raccontare una storia, anche cercando di non prendersi, per prima lei, troppo sul serio, consapevole dell’importanza dell’argomento.
Speravo de morì prima: mano nella mano
Un anno. Un anno passa in fretta, ma un anno può fare tutta la differenza del mondo, specialmente se è il quarantesimo. Sto quarantesimo poi… Va bene: non è uno scherzo, specialmente se fai il calciatore, ma l’importante è quanti anni ti senti, no? Non quanti ne hai. E se uno se se ne sentisse 20 per gamba? Sempre quaranta fa dite voi, eh?
Speravo de morì prima apre la sua parte finale dopo il rinnovo di Francesco Totti, l’ultimo rinnovo per l’ultimo anno da calciatore, una dicitura di cui tutti sono convinti. Tutti tranne lui, terrorizzato all’idea della fine e quindi costantemente impegnato a rimandare il pensiero e a convincersi che la fine non arriverà mai. Mesi a rileggere il percorso fatto fino a quel momento, ripensando all’inizio, alle decisioni prese, alle vittorie dentro e fuori dal campo e alle delusioni cocenti. Mesi senza dormire, che fanno perdere di vista ciò di cui si deve essere grati tutti i giorni e che niente al mondo potrà mai a scalfire. Fortuna che c’è Lei, che ha la pazienza più che l’amore e che ha più la capacità di accompagnare che quella di indirizzare. Lei unica ammessa alla corte della solitudine di Lui, tolto qualche sprazzo di messager Cassano (bel personaggio nella serie, che che ne dica il suo contraltare nel mondo reale), Lei che si commuove pure, che non è quasi mai d’accordo, ma non lo giudica mai. Lei come la Roma per Totti, sempre al suo fianco, qualsiasi cosa accada.
Un anno. Un anno passa in fretta, ma un anno può fare tutta la differenza del mondo, specialmente se non sei pronto a quello che ti aspetta dopo. Ma se è passato mano nella mano, allora dopo questo benedetto anno ne arriverà un altro, ma sarà il primo, stavolta.
C’è vita dopo la morte
La prova più complicata di Speravo de morì prima era raccontare uno dei finali più sofferti e complicati che la storia sportiva recente ricordi. Una lunga camminata verso un patibolo impensabile, di cui tutti sono a conoscenza, ma a cui nessuno è capace di dare una forma accettabile. L’attesa per un evento talmente grande da non poter essere manipolato e quindi neanche digerito.
E la serie scorre verso di esso un po’ come ha scorso la realtà: giorno dopo giorno, secondo una interminabile elaborazione di un lutto che non basterebbe una vita intera per portare a termine. Continuando a battere su una impossibilità per l’uomo di accettare il fatto che arriverà e di dare anche una forma finale a ciò che c’è dietro tutta la sua angoscia: come faccio a confessare al mondo di non essere pronto a diventare un uomo?
Questa è la chiave che funziona di più nella scelta di Speravo de morì prima perché racconta Totti in tutti i suoi limiti, mostrandolo anche fastidioso nel suo continuo annaspare, ripensare e rimuginare. Un Totti nudo, reo confesso di tutte quelle incertezze che nessun uomo vorrebbe mai mostrare, così come di tutti i limiti che hanno alimentato le accuse di coloro che per 25 anni di carriera lo hanno accusato solamente di essere un Pupone, nient’altro. E vi pare poco.
Arrivati all’ultimo passo capiamo che solo Totti aveva capito la portata di quello che stava per succedere, causa fondante del perché si tratta di un lutto privato il suo, condivisibile solo con i tifosi. Premesse logiche che ne esaltano un senso cerimoniale che rivive ancora più forte attraverso le immagini di quell’addio che si è già vissuto, ma che comunque non si sarà mai pronti ad accettare.
E dopo? E dopo la morte c’è la vita, un’altra vita, molto meglio di quella su cui si fantasticava prima di morire, raccontata con la leggerezza che è lo spirito della serie è che è lo spirito di Totti. Una vita che potrebbe far ricredere anche chi ancora va dicendo: “speravo de morì prima“.