Spy Ops – Operazioni Speciali: recensione della docu-serie Netflix
Diretta da Marek Bures, la serie ricostruisce le più importanti operazioni di spionaggio dell'epoca contemporanea
Mentre in questi giorni riaffiora il drammatico ricordo degli attentati dell’11 settembre 2001, Netflix rievoca a suo modo una delle pagine più buie degli ultimi 50 anni con Spy Ops – Operazioni Speciali, la nuova docu-serie che ricostruisce e racconta le più rischiose e secretate missioni di spionaggio che hanno definito la storia in un periodo compreso tra l’ultima fase della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica e i primi anni del 2000; momenti chiave, momenti che hanno modellato gli assetti mondiali e cercato di definire un ordine messo costantemente in discussione. Diretta da Marek Bures, la serie, partendo proprio dagli attacchi al World Trade Centre, si suddivide in 8 episodi, da 50 minuti circa, dedicati a 7 differenti operazioni messe in atto dai servizi segreti americani, russi e britannici, dando voce ai veri protagonisti della storia, quegli stessi agenti segreti, uomini di potere e attentatori che hanno vissuto in prima persona tali momenti chiave della contemporaneità; con essi un pullulare di immagini d’archivio, accompagnate da ricostruzioni create ad hoc per poter rendere lo sceneggiato il più narrativo possibile.
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Spy Ops – Operazioni Speciali: da ‘Jawbreaker’ ad ‘Azorian’
Si parte quindi da quel maledetto 11 settembre, dall’attacco coordinato che colpì le Torri Gemelle e il Pentagono, senza riuscire a raggiungere la Casa Bianca; i colpevoli furono immediatamente individuati nell’organizzazione terroristica di Al Qaida e nel suo leader saudita Osāma bin Lāden e la reazione americana fu pressoché immediata. L’episodio pilota della serie si incentra pertanto su tutto quello che è accaduto dopo, sulla cosiddetta Operazione Jawbreaker, volta a smantellare le più nutrite cellule di talebani che stavano sottomettendo l’Afghanistan, per via della quale i membri della CIA scesero a patti economici con i gruppi afgani ribelli.
Per Just Cause, nome dell’operazione che viene raccontata nell’episodio successivo, si intende invece l’azione militare intrapresa dagli Stati Uniti contro Panama nel dicembre 1989. Il grande nemico da sconfiggere è in questo caso Manuel Noriega, leader militare di Panama divenuto de facto dittatore del paese, nonché uno dei più potenti narcotrafficanti al mondo.
Con la terza puntata il baricentro viene leggermente ricalibrato e le organizzazioni statunitensi lasciano spazio a quelle sovietiche e a quelle britanniche. Con l’operazione Pilmico viene raccontata la storia di uno dei più grandi doppiogiochisti del ‘900: Oleg Gordievskij, alta carica del KGB che, nel pieno della Guerra Fredda, fu scoperto essere un informatore del MI6 britannica e costrinse i colleghi inglesi ad una rischiosissima, ma riuscita, operazione di esfiltrazione.
Con l’episodio 4 la produzione giunge in Italia per raccontare dell’attento a Papa Giovanni Paolo II avvenuto in Piazza San Pietro, il 13 maggio 1981, e delle seguenti indagini contro il dinamitardo turco Mehmet Ali Ağca, che si presta come voce narrante di questo episodio, nel tentativo di ricostruire una verità fortemente osteggiata da tutte le parti.
Dall’attentato al papa si passa a quello delle Olimpiadi di Monaco del 1972 quando, l’allora maggiormente temibile organizzazione terroristica palestinese, Settembre nero, tenne in ostaggio e infine uccise 11 atleti israeliani. La successiva operazione Ira di dio ebbe l’unico scopo di neutralizzare ed eliminare definitivamente tutti i membri dell’organizzazione, tra i quali ci si concentrò maggiormente su Abu Hassan Salameh, grande amico del capo della OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), Yāsser ʿArafāt.
Le ultime due pagine di questa prima stagione di Spy Ops sono dedicate, la prima, alla definizione e al disvelamento dell’esistenza delle spie talebane e delle operazioni americane che hanno portato ad avere dalla loro parte molti membri della fazione inizialmente opposta e, la seconda, al racconto del Progetto Azorian, il tentativo di recupero da parte della CIA del sottomarino sovietico K-129, affondato nel 1968 nel mezzo dell’Oceano Pacifico; per l’estrazione e per distogliere l’attenzione dei più, fu chiesto al miliardario Howard Hughes di costruire una nave apposita.
La verità dello spionaggio
L’enorme attrattiva di una serie che si pone l’obbiettivo di andare a smantellare i passaggi più critici e approssimativi della storia contemporanea vive di una contraddizione che, oltre a porci alcuni dubbi riguardo alla serie, ne incarna anche la forza e la peculiarità: il concetto stesso di cinema documentario parte da un presupposto di adesione alla realtà, di totale affidamento ai fatti, ricostruiti secondo una logica cinematografica ma sempre nel rispetto della verità, con il fine di documentare la storia, di provarla e immortalarla puntualmente e di accrescere il bagaglio conoscitivo di un pubblico pronto a conoscere il mondo tramite l’occhio ammiccante della macchina da presa. Ciò che quindi, in questo caso, sembra stonare con il racconto del vero è ciò che fa da perno e da base per tutti e 8 gli episodi: lo spionaggio, l’insabbiamento, il doppiogioco, il falsamento di ciò che è stato, elementi che hanno definito l’esistenza della maggior parte dei personaggi coinvolti nelle interviste, ai quali però noi affidiamo il nostro sapere, ponendo la nostra fiducia a servizio di immagini documentate e del confronto tra diversi testimoni e tra le diverse parti.
Spy Ops – Operazioni Speciali: valutazione e conclusione
Il compartimento documentario della piattaforma numero 1 al mondo si arricchisce di settimana in settimana, andando ad aggregare al proprio catalogo produzioni dalla cura estrema e dalla precisa e stimolante ricostruzione dei fatti. Non fa eccezione Spy Ops – Operazioni Speciali che, in ogni caso, si contraddistingue da molte delle docu-serie Netflix ad essa precedente per il suo andamento e la sua costruzione alquanto narrativi; opinabile, ma di certo interessante, la scelta di accostare alla documentazione d’archivio e alle interviste, brevi accenni a ricostruzioni sfocate della realtà, volute per poter rendere ancor più accessibile il contenuto ma rischiose, poiché evidentemente di finzione e, pertanto, in netto contrasto estetico con il resto della serie.
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