Star Trek: Discovery – Stagione 3: recensione della serie TV
Per affrontare un’analisi sull’appena conclusa terza stagione di Star Trek: Discovery, iniziamo citando un pensiero di Gene Roddenberry che chiude il tredicesimo episodio: “In un certo senso, siamo tutti alieni su un pianeta straniero. Passiamo buona parte delle nostre vite a cercare di comunicare. Se durante la nostra vita riusciamo realmente a comunicare con due sole persone, siamo realmente fortunati.“
Star Trek: Discovery 3 – la forza del valore umano
Le parole del creatore della serie di fantascienza Star Trek sono perfettamente in linea con una terza stagione dal forte sapore fervidamente umano per quel che concerne emozioni e connessioni. Dopo un finale da cardiopalma ed un salto nel futuro di quasi mille anni, avvenuto alla conclusione della seconda stagione, Star Trek: Discovery si è ritrovata impegnata a dover rifare nuovamente la storia. Addentrandoci meglio nel discorso che vogliamo cercare di sviscerare, anche per approfondire la tesi iniziale, ricordiamo brevemente la trama di questa intensa terza stagione.
Micheal Burnham, l’Angelo Rosso della stagione due, compie assieme all’equipaggio della U.S.S. Discovery un salto in avanti di circa novecento anni nel futuro. Parentesi: questo espediente narrativo ha fatto sì che la storia e i personaggi di Star Trek: Discovery entrassero di diritto nel canone ufficiale del franchise. Questo perché il loro andare così avanti nel futuro da una parte, e l’insabbiamento delle loro gesta nel passato da parte di Spock e il Capitano Pike alla Federazione dall’altra, di fatto legittimano la loro assenza nella timeline che precede questo balzo nel futuro. Chiusa Parentesi. Tutto l’equipaggio deve ora far fronte ad una realtà completamente diversa: la Federazione dei Pianeti Uniti è quasi totalmente cambiata a fronte di un evento catastrofico che ha portato alla distruzione di tutte le navi dotate di motore a curvatura. La trama orizzontale di questa stagione si focalizza sul ritrovare le cause che hanno portato al Grande Fuoco, questo è infatti il nome dato all’apocalittica tragedia che ha dato nuovo volto alla galassia. Nel bel mezzo troviamo una nuova minaccia incarnata da Osyraa, leader della Catena Smeraldo, una sorta di mercenaria dello spazio che fa razzia di Dilitio, elemento chiave per il funzionamento delle navi a curvatura, e mette sotto scacco popolazioni prive ormai di una solida guida.
La terza stagione di Star Trek: Discovery vince a fatica la sua sfida
Se con la prima stagione eravamo rimasti piacevolmente sorpresi e affascinati da questo nuovo spin-off dall’alto potenziale narrativo e la seconda stagione l’aveva indissolubilmente legata alla serie madre, la terza tornata di episodi di Star Trek: Discovery pone la serie su un nuovo e più alto gradino. Compito non semplice, tuttavia, dover portare sulle proprie spalle le aspettative di una nuova e convincente stagione e le memorie di radici nascoste ma onnipresenti. I nuovi episodi soffrono, per certi versi, la prova di una serie che deve ora dimostrare la propria unicità all’interno della famiglia Star Trek. La sofferenza è palpabile, a visione completa conclusa, nella qualità non sempre costante delle singole puntate. A differenza degli anni precedenti si denota uno squilibrio più lampante dovuto ad episodi più deboli rispetto ad altri. Le trame minori, come quella dedicata ad Osyraa, risultano infine riuscite a metà. La storia di Su’Kal si vede definita solamente nell’ultima parte. Questa, elemento focalizzante della trama orizzontale di stagione, pone le sue fondamenta in un discorso che richiama valori strettamente umani e che vede nella connessione tra individui il suo punto culminante. La vicenda di Su’Kal – che cerchiamo di mantenere vaga per non rovinare la visione a chi non è ancora in pari – racchiude riflessioni dal forte sapore terrestre: le emozioni di un solo essere sono in grado di riflettersi in modi totalmente inimmaginabili sul mondo che lo circonda. Se da un lato questo modo di fare si rivela stantio ai fini di scrittura, dall’altro genuinamente commuove dando importanza alla forza invisibile che un forte sentimento può provocare.
Una narrazione oscillante, pur tuttavia, viene in qualche modo smussata da un reparto tecnico che, ancora una volta, dimostra grande eccellenza in materia. Gli effetti speciali e le scenografie ricreate sono di una bellezza unica ed elevano Star Trek: Discovery nell’Olimpo delle serie tv di stesso genere. Se l’occhio vuole la sua parte, lo spettatore non può che restare affascinato di fronte a questi immensi, eterei e sconosciuti spazi e creature dall’incredibile fascino estetico. Ma non solo: anche la forte componente action aiuta lo spettatore a mantenere spesso costante un’attenzione che ben si focalizza sulle scene d’azione frenetica.
I personaggi sono la vera forza della serie tv
La forza di Star Trek: Discovery risiede nei suoi personaggi. Alla protagonista Michael Burnham, interpretata da Sonequa Martin-Green, si affiancano caratteri che sempre più vengono approfonditi. Questa terza stagione è stata capace di scendere ancor di più nei meandri psicologici dei personaggi veterani come Saru, la guardiamarina Tilly, Paul Stamets, Hugh Culbert, Philippa Georgiu e dei novellini Book e Adira. Ognuno di loro spicca nella propria diversità e, anche se per poco, tutti si fanno spazio in questo grande e colorato mosaico. D’altra parte l’aver compiuto un viaggio così lungo porta tutti i personaggi ad un percorso profondo interiore che si riflette negli eventi raccontati.
Una stagione non eccellente, come le sue precedenti, ne esce comunque promossa da una prova certamente difficile. Cosa ci riserverà il futuro? Spiegate le ali Star Trek: Discovery ha piene capacità per spiccare davvero il volo e siamo certi sarà all’altezza per farlo. Appuntamento alla quarta stagione.