Storia di un crimine: Il candidato – recensione della serie tv Netflix
Storia di un crimine: Il candidato è la nuova serie antologica true crime orginale Netflix di produzione messicana rilasciata il 22 marzo. Ecco la nostra recensione della prima stagione.
Netflix ha aggiunto al suo catalogo il 22 marzo 2019 la prima stagione di una nuova serie televisiva antologica true crime originale dal titolo Storia di un crimine: Il candidato. La casa di produzione della serie è la colombiana Dynamo, che ha già prodotto per Netflix le prime due stagioni di Narcos e la docu-fiction El Chapo, nello specifico nelle figure di Andrés Calderón e Juan Uruchurtu. Dietro la macchina da presa degli 8 episodi della prima stagione si sono avvicendati Hiromi Kamata e Natalia Beristáin, mentre la sceneggiatura porta la firma di Rodrigo Santos. Nel cast troviamo Jorge A. Gimenez (Narcos, Machete Kills), Ilse Salas (Catinflas, Sr Avila), Alberto Guerra (Ingobernable), Gustavo Sánchez Parra (Amores Perros, Man On Fire, The Legend of Zorro) e Ari Brickman (Sense8).
La seconda stagione di Storia di un crimine è già stata annunciata ed è in fase di pre-produzione. La trama si occuperà stavolta del caso di Luis Andrés Colmenares e nel cast ci saranno Julian Roman, Enrique Carriazo e Fabiana Medina; con Camilo Prince alla sceneggiatura; Andrés Calderón e Arlen Torres come produttori e Felipe Martinez alla regia.
Storia di un crimine: Il candidato: La trama
La serie, ispirata a fatti di cronaca nera realmente avvenuti, arriva in Italia col sottotitolo “Il Candidato”, portando in scena il caso di Luis Donaldo Colosio (Gimenez), politico messicano e candidato presidenziale, il cui assassinio, avvenuto dopo un suo comizio a Tijuana nel 1994 in occasione della sua campagna elettorale, ha fatto discutere per più di 6 anni e i cui documenti delle indagini sono stati resi pubblici solo nel 2018.
Questo brutale e ambiguo omicidio toccherà le corde di tutti i piani politici più alti del governo Messicano e spingerà la vedova in fin di vita Diana Laura (Salas) e il capo della polizia di Tijuana Federico Benitez (Guerra) ad una disperata caccia per scoprire la scomoda verità, nascosta agli occhi del popolo dalle figure più autoritarie del Paese.
Storia di un crimine: Il candidato: Un prodotto onesto che sogna in grande
La nuova serie antologia di Netflix Storia di un crimine è stata presentata con la speranza di dar vita ad un nuovo ciclo crime in salsa sudamericana nel nome del successo mondiale che ebbe Narcos e il prodotto non fa assolutamente mistero di rifarsi alla fortunata serie che racconta il caso di Pablo Escobar, pur non mettendosi mai sullo stesso piano, ma cercando, quando possibile, una sua indipendenza.
Anche se, come già detto, la serie non riusce ad emulare la messa in scena e le alte vette di qualità della sua fonte di ispirazione principe, Storia di un crimine ha un vantaggio: quello di partire a luci spente, senza avere pressioni ed aspettative schiaccianti da parte del pubblico e del colosso dello streaming che lo firma. E anche gli 8 episodi della prima stagione tengono fede al clima che ne ha accompagnato la produzione, partendo in sordina e alzando piano piano l’asticella con il prosieguo della sua narrazione, fino a regalare dei momenti assolutamente apprezzabili sia per quanto riguarda il pathos sia per le prove dei protagonisti.
La ricostruzione dei complicati e contraddittori eventi che accompagnarono il lavoro certosino del comandante Benitez per far luce sull’attentato è chiara e limpida, pur mantenendo, anzi evidenziando, alla perfezione l’impervia e districata via per trovare la verità. I personaggi sono molti, ma le varie prove degli attori e il posto riservato ad ognuno di loro danno vita ad una partita a scacchi ricca e sfaccettata, sufficientemente coinvolgente e ben analizzata. In sintesi un ottimo lavoro sull’impianto narrativo, mai noioso, con un ritmo incalzante e ricco di punti di vista.
La messa in scena è ottima, realistica, credibile e lascia intravedere una produzione importante.
I limiti sono quelli di una serie onesta. La fotografia strizza più di un occhio a quella di Narcos, non riuscendo a replicarne le atmosfere, ma ottenendo un risultato sufficiente. I protagonisti forniscono in generale delle buone prove, ma nessuno dei personaggi rimane poi realmente nel cuore dello spettatore. Le note più positive riguardano la regia, capace (complice anche il montaggio) di assecondare alla perfezione un ritmo narrativo pensato per essere in crescendo e la sceneggiatura, semplice, ma efficace, requisiti fondamentali per fornire allo spettatore un quadro generale chiaro del contesto in cui si svolgono le indagini, capire fino in fondo le motivazioni di ognuno dei personaggi e in più fornire allo spettatore il più classico filo di Arianna per non perdersi mai. Una nota infine: gli effetti potrebbero essere stati curati meglio.
Il risultato è una serie onesta, in grado di coinvolgere, ma non sconvolgere.