Strada senza uscita – recensione della serie TV Netflix

Un ottimo modello di noir grottesco influenzato su tutti dall'umorismo nerissimo dei Fratelli Coen.

Distribuita su Netflix a partire dal 1° dicembre del 2022, Strada senza uscita, miniserie polacca creata (e scritta) da Dorota Trzaska e diretta da Grzegorz Jaroszuk, racconta le conseguenze impreviste, bizzarre, profondamente grottesche e divertenti dell’incontro su una corsa Uber tra quattro individui che per ragioni differenti devono raggiungere Cieszyn, incappando continuamente e involontariamente in situazioni violente e pericolose a causa di un unico grande imprevisto, essere saliti sull’auto sbagliata durante una breve sosta in una stazione di servizio.

Di cosa parla Strada senza uscita?

strada senza uscita recensione cinematographe.it

Da una parte ci sono Leon e Dianka, padre e figlia alle strette da anni, seguiti perciò da assistenti sociali e non solo, in viaggio per mettere fine ad una gravidanza non desiderata. Dall’altra c’è Wojtek, un ragazzo problematico e insicuro che attraverso un’operazione virtuale di Catfishing si è finto italiano adescando una donna giovane e attraente che vuole però incontrare a tutti i costi, nonostante ne tema la reazione scioccata. Infine c’è Clara, una donna sola e disperata, reduce da una separazione turbolenta a causa dei numerosi tradimenti di un marito nient’affatto interessato al suo amore e alla sua personalità.

Quattro individui che hanno in comune un unico destino, la fuga verso Cieszyn e che per una serie di accadimenti imprevisti si ritrovano a scontrarsi con un tanto bizzarro e pericoloso, quanto idiota (il termine è legato ad una scelta narrativa dalle forti ed evidenti influenze cinematografiche) criminale, Emil, che ha appena portato a termine una grande rapina in banca, raccontata e analizzata da tutti i media nazionali, cui si aggiunge Klara, una prostituta in cerca di riscatto, continuamente controllata dal suo sadico protettore, capace di mettere fine al viaggio di ciascuno di loro.

Conseguente imprevedibili

Strada senza uscita recensione cinematographe.it

Un giovane rapinatore con il volto coperto soltanto di una sciarpa si affaccia spaventato allo sportello di una banca, avvertendo l’anziana impiegata della rapina imminente. L’avvertimento non viene colto proprio per via della sciarpa e il giovane criminale spazientito non può far altro che estrarre la pistola e osservare i soldi senza sapere bene che fare. Così comincia Strada senza uscita, la miniserie polacca creata e scritta da Dorota Trzaska che rende evidente fin dalle prime sequenze quanto i suoi personaggi non sappiano in alcun modo non soltanto ciò che stanno compiendo nell’immediato, ma soprattutto ciò che faranno in seguito.

Dunque la riflessione è attorno alle conseguenze impreviste e imprevedibili delle azioni molto spesso casuali e solo in alcuni casi motivate da una volontà ben precisa di un nucleo di individui che non può far altro che tentare di sopravvivere di fronte alla violenza folle, ceca e inarrestabile di uno o più criminali slegati tra loro, ma nonostante ciò desiderosi dello stesso bottino, i soldi della rapina.

I toni sono quelli della commedia nera e del cinema grottesco tanto dei Fratelli Coen, quanto di alcuni nomi appartenenti al modello noir scandinavo, tra i quali Hans Petter Moland e Mikkel Nørgaard, con strizzate d’occhio continue al cinema di Quentin Tarantino e Steven Soderbergh, per questioni quasi soltanto di scrittura: dal carattere estremamente verboso e logorroico del dialogo, alla riflessione colta, fuori luogo e costantemente sopra le righe e perciò esilarante che ciascun personaggio fa propria, pur esibendosi in azioni e decisioni “basse”, demenziali e immotivate.

Il modello Pulp Fiction

Ciò che la miniserie di Trzaska e Jaroszuk sceglie di fare è prendere il modello narrativo alla Pulp Fiction, fatto di intrecci continui, salti nel tempo senza sosta, coralità, violenza e amore nei confronti di una logica criminale evidentemente folle e spietata, sfruttando quella stessa struttura a puzzle apparentemente confuso e slegato, ma in realtà di un ordine narrativo e logico maniacalmente senza precedenti per raccontare quattro storie di una quotidianità pressoché banale e nient’affatto interessante che diviene tale nel momento in cui la follia e bizzarria della violenza e dunque degli antagonisti – nonostante ciascun individuo sia in realtà un criminale – viene a scontrarsi con l’ordinarietà e banalità dei loro destini.

L’umorismo nero e il divertimento della miniserie nascono proprio qui, nel momento in cui la violenza e il pericolo si affacciano sulla quotidianità e quegli individui fino a pochi attimi prima incorruttibili e portatori di una moralità sana non possono far altro che divenire a loro volta violenti, criminali, folli e perciò disposti a tutto pur di aver salva la vita.

Sulle influenze cinematografiche e la figura dell’idiota in Strada senza uscita

Una potentissima ambientazione rurale, boschiva e di provincia, viene abilmente fotografata in una maniera inaspettatamente cupa, gelida, autunnale e graffiata, immergendo lo spettatore in un mondo inospitale all’interno del quale ironia e pericolo si rincorrono continuamente, incontrandosi e scontrandosi senza lasciar percepire mai quale dei due possa regnare sull’altro. Un’operazione ricorrente nel modello noir scandinavo, un cinema che più di ogni altro è attento a creare una forma di umorismo nero esilarante e spaventoso allo stesso tempo, poiché pericolo e sollievo non fanno altro che alternarsi, senza permettere allo spettatore di rilassarsi a fondo.

Strada senza uscita dimostrando di aver imparato appieno quella lezione di cinema, rincorre i Coen, guardando al panorama statunitense, dando vita alla nota figura dell’idiota incapace di organizzare strategie e vivendo perciò seguendo il caos e il caso, capaci di generare violenza ceca e ilarità come fossero la stessa identica cosa e non due elementi assolutamente opposti l’uno all’altro. La morte diviene dunque strumento umoristico e così il male sfocia in lotte con dildo dalle dimensioni spropositate, o stalli alla messicana privati delle loro motivazioni più basilari e perciò accompagnati da riflessioni ad alta voce e dialoghi dal divertimento assicurato.

Concludendo, la miniserie polacca di Dorota Trzaska si rivela un ottimo esempio di narrazione grottesca e nerissima, capace di raccontare con grande piglio umoristico e leggero la famiglia disfunzionale e il caos della vita in ogni suo dramma o accadimento inspiegabile e inaspettato, come soltanto pochissimi autori del panorama cinematografico mondiale sono stati capaci di fare – tra i quali i già citati Fratelli Coen, Quentin Tarantino e Steven Soderbergh – riuscendo a trovare una voce e uno stile personalissimi che la Trzaska sembra tuttavia continuare a cercare, non convincendo fino in fondo tra citazionismo e strizzate d’occhio irrefrenabili.

I Talking Heads chiudono il taglio finale dell’ultima inquadratura di Strada senza fine con Road To Nowhere, rendendo chiaro ancora una volta il tono inevitabilmente leggero e spensierato della sua narrazione capace di raccontare efficacemente anche le peggiori brutalità, senza tuttavia privare lo spettatore del sorriso.

Una bella scoperta che guardando al panorama cinematografico statunitense e scandinavo rischia di non identificare mai realmente una propria personalità autoriale, ed è un vero peccato.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.8

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