Stranger Things 4 – Parte 1: recensione della serie Netflix
Stranger Things torna su Netflix con una stagione più dark e matura, in cui l'horror citazionistico la fa da padrone.
Sono passati ben tre anni dall’ultima stagione di Stranger Things, serie che, come tante altre, è stata paralizzata dalla pandemia Covid. Tuttavia, la creatura dei fratelli Duffer non sembra aver sofferto di questo lungo tempo. I fan hanno aspettato con trepidazione l’arrivo della quarta stagione, e ora l’attesa è finita. La serie torna su Netflix il 27 maggio con i primi sette episodi, mentre i restanti due usciranno sulla piattaforma il primo luglio. Si ritorna ad Hawkins, Indiana, nella cittadina “maledetta” che ha visto susseguirsi negli anni diverse minacce. Una maledizione che ci ricorda molta la Sunnydale di Buffy, e dove il Demogorgone ha lasciato il passo al Mind Flayer. Ora il pericolo dal Sottosopra sembra essere tornato, ed è incarnato nella forma di Vecna, un misterioso nuovo nemico che, come i precedenti, porta il nome di un famoso villain di Dungeons & Dragons.
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La produzione della quarta stagione di Stranger Things alza l’asticella, con una serie di episodi dalla durata di più di un’ora. Anche il comparto visivo compie un ampio salto di qualità, e lo si riscontra fin dai primi minuti. La serie, che ha dato il via alla nostalgia anni ’80, è cresciuta insieme ai suoi giovani interpreti, ora degli adolescenti. Un po’ come avvenuto per la saga di Harry Potter, anche la trama di conseguenza è diventata più adulta. La fantascienza spielberghiana lascia il passo ad un vero e proprio fanta-horror dalle tinte gore, con tanto di jump scared e citazioni al mondo dell’horror. Stranger Things si è sempre contraddistinta per la sua natura citazionistica, ma alla quarta stagione compie un ulteriore passo – osservabile già da prima – e passa all’omaggio. Durante gli episodi possiamo scorgere strizzate d’occhio a film come Carrie – Lo sguardo di Satana o Nightmare – Dal profondo della notte; con quest’ultimo la serie intesse uno stretto rapporto. Ma andiamo con ordine.
Stranger Things 4, quattro storyline in giro per il mondo
Avevamo lasciato i protagonisti di Stranger Things alla fine della battaglia con il Mind Flayer allo Starcourt. Dopo il sacrificio di Billy (Dacre Montgomery) il gruppo è riuscito a sconfiggere il mostro del sottosopra una volta per tutte. Ma non era il solo a sacrificarsi per la riuscita del piano. Infatti, nella base militare russa sotto il centro commerciale, Hopper (David Harbour) sembrava apparentemente perdere la vita. Salvo poi scoprirlo vivo nella scena post credit e prigioniero proprio in Russia. Ma queste sono conoscenze ottenute solo dal pubblico, e non dai personaggi. Joyce, Will e Jonathan Byers partono così per la California con una Eleven ormai sprovvista di poteri. Il gruppo si separa, lasciando cicatrici indelebili che sarà difficile ricucire. La quarta stagione riparte esattamente sei dopo questi avvenimenti, mostrandoci la tranquilla vita dei personaggi.
Il primo episodio di apre con un ampio flashback, che ci riporta alle origini della serie e al quel laboratorio dove Eleven è cresciuta. Questo è un chiaro riferimento ad un certo ritorno alle origini di Stranger Things, a quegli avvenimenti che hanno dato il via a tutto. Passato e presente si fondono, creando un raccordo tra ciò che avverrà e ciò che è già successo. La quarta stagione unisce i punti delle sfortunate vicende di Hawkins, creando l’origine della maledizione. In questi termini, i nuovi episodi danno forma e corpo alla mitologia della serie, ampliando la lore del mondo creato dai fratelli Duffer. Quattro storie, quattro gruppi. Il primo è formato da coloro che sono rimasti ad Hawkins, il secondo dai Byers e dalle new entry californiane, il terzo è quello formato da Joyce e Murray alla ricerca di Hopper e infine la strada che verrà intrapresa da Eleven.
Quella della “separazione” in gruppi è una formula adottata fin dall’inizio dagli sceneggiatori, ma qui se ne ampia la distanza. Se prima tutto ciò che vedevamo era ambientato in Indiana, ora lo spazio d’azione è molto più esteso. Tale aspetto è sia un pregio che un difetto della quarta stagione. Alcune storyline sembrano funzionare meglio di altre. La più debole e forse slegata dal resto è quella ambientata in Russia. Tutto riconduce infine alla riunione dei personaggi, ma la storia di Hopper & co. sembra essere la meno funzionale. Il problema, forse, risiede nella dilatazione degli eventi che, inesorabilmente, frammentano la narrazione; un po’ come lo storyline di Brandon Stark in Game of Thrones. Detto ciò, Stranger Things torna comunque in grande stile, e molte scene sono una gioia per gli occhi.
Una storia che cresce con i suoi protagonisti
Gli attori sono cresciuti, e di conseguenza anche i personaggi. Coloro che prima erano bambini ora sono adolescenti, coloro che erano adolescenti ora sono degli adulti. Mike, Dustin, Lucas e Will affrontano nella quarta stagione i problemi del liceo, confrontandosi con questo nuovo mondo in modo diverso. Soprattutto il Sinclair interpretato da Caleb McLaughlin, che tenta in tutti i modi di emanciparsi dalla nomea di nerd sfigato entrando nella squadra di basket. Al contrario, Mike e Dustin rimangono fedeli a loro stessi, iscrivendosi al Hellfire Club, il gruppo di D&D guidato dall’eccentrico Eddie Munson (Joseph Quinn). Quest’ultimo si dimostra la new entry migliore di questa stagione, confermandosi come uno dei personaggi più interessanti. Ma non per tutti la vita è stata facile, soprattutto per Max. La ragazza affronta infatti il lutto per la morte del fratellastro, distaccandosi dal resto gruppo.
È a lei che Stranger Things regala uno dei momenti migliori di questa prima parte. Facciamo riferimento ad una scena ben costruita ed emozionante, che ad alcuni ricorderà molto da vicino un particolare momenti di Harry Potter e l’ordine della fenice. Qui il comparto visivo gioca un ruolo fondamentale nel creare il conflitto della giovane e del suo incontro con Vecna. Ma non è la sola ad avere problemi, anche Eleven alias Jane sembra avere difficoltà ad adattarsi nella nuova scuola, portandola ad alcune azioni dalla dubbia moralità. Vedremo anche un Jonathan molto diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere, grazie anche al rapporto instaurato con un’altra new entry: l’Argyle interpretato da Eduardo Franco. I due faranno un uso spasmodico di marijuana nel corso nella stagione. Insomma, molto è cambiato e la serie decide di focalizzarsi su problemi più seri, indagando le vie dell’horror.
La stagione si aprirà anche ad un racconto di isteria di massa nella cittadina di Hawkins dopo i vari omicidi che hanno sconvolto la città. Il gruppo autoeletto di ragazzi che andrà a caccia del proprio capro espiatorio incarna il bigottismo di una certa fetta di popolazione americana, e non solo. Parliamo di una vera e propria caccia alle streghe con tanto di fiaccole e forconi, e la cui preda sono gli innocenti membri di un club. Parliamo di Dungeons & Dragons, gioco che in quegli anni veniva associato a culti satanisti, con tanto boicottaggi. Come sappiamo tale destino è stato riservato anche ai Pokémon e al già citato Harry Potter. Stranger Things ci ricorda ancora una volta come qualcosa di innocente e fantastico si discosta da una non ben chiara norma sociale allora deve essere messo al rogo. Un espediente che nella quarta stagione, però, funziona solo a metà, andando a inserirsi di forza nelle molte storyline e deframmentando così il racconto.
I fratelli Duffer ampliano la mitologia interna di Stranger Things
La mitologia di Stranger Things è sempre stata legata a stretto filo con la cultura pop degli anni ’80, intessendo con la nostalgia uno legame molto forte. La quarta stagione, invece, cerca di ampliare il proprio immaginario interno grazie all’introduzione di Vecna. Questi è un villain più subdolo e meno primitivo. Le sue azioni sono calcolate, metodiche e affondano le proprie radici nel passato stesso di Hawkins. Egli si mostra fin dall’inizio, mostra i suoi poteri e la sua forza come nessun nemico prima di lui. Non è forse il miglior nemico di sempre, ma è comunque ben realizzato. Il suo aspetto è strettamente legato all’ambiente del sottosopra, che riesce a plasmare a sua volontà. Anche il mondo dietro al muro avrà molta più importanza e presenza in questa stagione. Soprattutto verso il finale, scopriremo un nuovo volto di quel luogo oscuro e ribaltato. Come dicevamo, non tutto e funzionale, come la storyline in Russia, ma i fratelli Duffer hanno rodato una formula narrativa che riesce a farti dimenticare anche i difetti. I colori, la suspense, le musiche, tutto si fonde in una storia caleidoscopica e intrigante. Un episodio mangia l’altra, e arriviamo a fine pasto senza sentire ancora la sazietà.
Stranger Things inghiotte il tempo e si dimostra ancora una volta il prodotto per eccellenza del binge watching. L’elemento aggiunto dell’horror non smorza tale effetto, come contrariamente si potrebbe pensare; anzi, lo amplifica. Le musiche fungono qui da vero focus narrativo, amalgamandosi ancora di più al vissuto dei personaggi. Sono molte le scene della quarta stagione che evidenziano il grande salto qualitativo. In primis il finale della prima parte, il settimo episodio intitolato The Massacre at Hawkins Lab. Il momento, per quanto interessante, sembra peccare di originalità, in quanto praticamente identico ad una scena della terza stagione. Non faremo spoiler, ma lo riconoscerete di sicuro. Al netto di qualche errore, Stranger things è tornato più in forma, dark e maturo. I Duffer, dando molto più peso alla mitologia interna della serie, effettuano la scelta migliore. Le briciole di pane lasciate fin dalla prima stagione vengono ora raccolte fino ad arrivare ad una origine degli eventi. La quarta stagione è una giostra di emozioni, colori e tanta musica anni ’80.