Suburra – Stagione 2: recensione della serie tv Netflix
Suburra 2 presenta la medesima struttura della prima stagione, con soliti intrecci e non sfruttando le possibilità che i temi offrivano.
Suburra 2: il nuovo impero è nato. Più cattivo, più violento, più feroce. “Più efficace?” è però la vera domanda, intorno ad un prodotto che alla sua prima stagione ha fatto il giro del mondo e ritorno, contando un successo tale da rimanere per ben settantadue settimane nella classifica delle Top 20 delle serie originali Netflix. Una fascinazione più che comprensibile: la città eterna, gli scorci della classicità romana, ma anche l’intraprendenza e l’aggressività necessaria quando si ha a che vedere con i sobborghi della capitale.
Ma, sotto lo strato di seduzione per il rissoso e la simpatia per i personaggi più sfacciatamente sovversivi, la sostanza rimane uguale e invariata. Suburra – e, di rimando, Suburra 2 – vivono di quella malavita e quell’incrocio dannoso tra stato, santo e profano che, nonostante il tentativo di differenziarsi dalla consuetudine, rimane sempre incollato ad un immaginario di cui siamo saturi e che non trova variazioni sul tema sufficientemente innovativi da poter venir esaltate – e, badiamo bene, zingari omosessuali e accenni a rapporti semi-incestuosi non valgono abbastanza.
Suburra 2 – Stessa storia, stesse dinamiche, stessa Roma
Se inizialmente la seconda stagione prometteva una narrazione più approfondita su argomenti quali politica e immigrazione, la lezioncina didascalica che la serie impartisce è di un informativo che annette ulteriormente ampollosità al prodotto, non deludendo fino in fondo, ma non traendo neanche alcunché di positivo dall’opportunità offertagli. Sono, infatti, più che mai attive nella quotidianità del Paese le tematiche prese in prestito dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, da cui a loro volta è tratto il film di Stefano Sollima. Ma diventano di una marginalità tale da rendere il seguito della prima serie un blocco di ripetizione monotonia, già percepita nella stagione precedente e così riconfermata.
Andare e venire per una Roma nella mente degli autori minuscola e dove il traffico è solo un optional – illazioni rispetto al discorso generale, ma impossibili da non notare -, è la prassi di una sceneggiatura che muove i suoi personaggi come pedine su di una scacchiera. Un muoversi forsennato che si ripete ad oltranza, medesimi stilemi di una tela cucita da scambi, rapimenti, imboscate, tutte ogni volta simili tra loro. Anche rivelazioni e attacchi a sorpresa non sorgono più lo stesso effetto, sovrabbondando i continui sconvolgimenti che scuotono in maniera altalenante la visione dello spettatore.
Suburra 2 – I luoghi e le donne della Capitale
Un cast omogeneo quello di Suburra 2, dove nessuno eccelle, ma il tono attoriale si mantiene livellato, con meno picchi verso il basso rispetto alla prima stagione, ma soffrendo ora la mancanza di un peso massimo come Barbara Chichiarelli. Persa la spietatezza sfumata dell’attrice romana, sono altre le donne che vanno a rimpolpare le fila della crew Netflix, nessuna però in grado di superarla o di aggiungere un valore complessivo, se non quello unito agli sviluppi della storia e allo spostarsi del potere. Ed è un altro aspetto trascurato quello del femminile, che aveva tutte le carte per poter intraprendere discorsi di genere e dinamiche di forza e dominio, ma rilegato – come qualsiasi inserto – ad un secondo piano non sviluppato.
C’è un solo merito a cui, in compenso, è impossibile non dar credito a Suburra e che si ripresenta nella seconda stagione: la densità dei luoghi inquadrati, tutta la composizione architettonica che ogni volta viene ripresa e che costruisce una visione plastica di una delle città più belle del mondo, dalle periferie trascurate al maestoso centro storico. Che la regia possa con la prossima stagione – che sembrerebbe già confermata – trovare un corrispettivo altrettanto solido nella storia dei personaggi, per renderla altrettanto valida e consistente.