Succession – Stagione 3: recensione finale della serie TV Sky
Kendall contro la famiglia Roy, anzi: i fratelli Roy contro il patriarca Logan. La terza stagione di Succession si chiude con un colpo di scena clamoroso: la guerra per l'eredità non è che all'inizio.
Difficile parlare di Succession – in Italia presente su Sky Atlantic e NOW – senza tirare in ballo il Re Lear di Shakespeare. Non solo per l’assunto di partenza (lì un padre sovrano che decide di abdicare in favore delle tre figlie, qui un padre magnate che sembra costretto a cedere il suo impero a uno dei suoi quattro figli), ma anche per toni e sviluppo. La serie ideata da Jesse Armstrong (e prodotta da Adam McKay e Will Ferrell) è una tragedia, nel vero senso della parola: è segnata da grandi sventure e sofferenze, ed è popolata da caratteri ambigui e mai univoci.
Nella tragedia c’è un eroe designato, e anche la terza stagione di Succession prende il via grazie all’intervento sconsiderato di un personaggio che si ribella all’ordine prestabilito e alla corruzione. È Kendall, secondogenito della famiglia Roy ma all’apparenza erede designato. Lo avevamo lasciato con una dichiarazione sconvolgente, al fine di esautorare definitivamente l’ingombrante genitore; lo ritroviamo, nella prima metà della season three, agguerrito più che mai, e pronto a difendersi con ogni arma possibile nonostante anche i fratelli gli abbiano voltato le spalle.
Succession 3: una sanguinosa guerra fratricida
Il nuovo ciclo di episodi, se possibile, rafforza l’idea che ci eravamo fatti dopo le stagioni 1 e 2: siamo di fronte a uno dei prodotti seriali più importanti e solidi degli ultimi anni, una sorta di miracolo compositivo che si regge su grandi e decisive scene madre, sapidi e pungenti alleggerimenti comici e dialoghi sempre densi di significato e mai superflui. Man mano che la stagione 3 procede – tra tesissime riunioni, compleanni e cerimonie di vario tipo – si fa strada nello spettatore un’idea a suo modo sorprendente: non solo la serie non si sta avvicinando al suo naturale epilogo, ma tutto ciò che abbiamo visto finora altro non è che un preambolo.
Così, la battaglia dei quattro figli per raccogliere l’ambitissimo scettro dell’amato/odiato papà assume connotazioni del tutto inattese. Pensiamo a Shiv, più volte avvicinata dal padre e ammansita con promesse mai mantenute; o al prediletto Roman, sempre al capezzale del patriarca Logan ma raramente tenuto in degna considerazione. Il dedalo di accordi, alleanze e fusioni societarie, se da un lato genera un calcolatissimo e irresistibile caos, dall’altro palesa di continuo l’inadeguatezza dei rampolli Roy, eternamente appesi al filo dell’incertezza e cresciuti all’ombra di una figura spaventosa e dispotica, assolutamente non disposta ad abbandonare la plancia di comando. Di sicuro, non a uno di loro.
Il finale di Succession 3: c’è del marcio nel Chiantishire (ATTENZIONE SPOILER!)
Gli ultimi due episodi della terza stagione (Chiantishire e All the Bells Say), ambientati in Toscana, fanno saltare il banco. Kendall riemerge da un – presunto – tentato suicidio in piscina, e il suo sogno di golpe crolla definitivamente a causa sia della super-potenza Waystar che della sua irrisolvibile fragilità, ben espressa dal tracollo al matrimonio della madre; mentre Logan passa clamorosamente da compratore a venditore, negoziando un accordo per il controllo della sua compagnia all’impresa tecnologica emergente GoJo. Una mossa, quest’ultima, che introduce un’enorme nuova incognita: cosa diventa la “successione” se la battaglia per la gestione di Waystar è effettivamente persa, e cosa farà la Roy family senza quel premio su cui agitarsi e litigare?
Cercherà probabilmente una rappresaglia, e il primo goffo tentativo di detronizzazione, nella mezz’ora finale (naufragato miseramente), mette in evidenza quelli che potrebbero essere i punti fermi della stagione 4: la costituzione di nuovi equilibri diversi da quelli consolidatisi fino a questo momento (se non altro perché c’è una spia che ha tenuto aggiornato Logan sulla situazione permettendogli di mettere in atto le necessarie contromisure, e quell’informatore sembra essere Tom, il marito di Shiv) e la consapevolezza che la scrittura acuta e sottile di Armstrong & Co. dà il meglio di sé quando mette al centro il carico umano ed emotivo, scuotendo gli impossibili equilibri di una famiglia disfunzionale e schiava del suo padre-padrone. Del resto, come Shakespeare fa dire a Re Lear, “Quanto è più crudele del morso d’un serpente l’ingratitudine di un figlio”.