Sweet Tooth – stagione 2: recensione della serie Netflix
Disponibile su Netflix dal 27 aprile, la seconda stagione di Sweet Tooth fa di nuovo centro puntando dritta al cuore
La dolcezza dietro la peculiarità, l’anima prima dello straordinario. È questo ha contraddistinguere la favola dark di Netflix, il suo andare oltre il semplice senso di meraviglia, lavorando in profondità sulla caratterizzazione dei personaggi. La corruzione in Sweet Tooth, come in molti prodotti di genere, non risiedo nel corpo ma nell’animo degli Ultimi Uomini. A loro va la caducità dell’essere umano, il suo farsi irretire da falsi miti, alla ricerca di un capo espiatorio, di un nuovo nemico. Lo abbiamo visto recentemente in The Last of Us, altro show post-apocalittico, ma qui spazia in nuovi sentieri, per quanto le similitudini non manchino.
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Arrivati alla seconda stagione, il tavolo di scrittura opta per una scelta narrativa tanto cara al genere: la separazione dei protagonisti. La forza, o meglio la magia dell’esordio risiedeva nei confronti tra il piccolo Gus e gli adulti intorno a lui. Il suo è un viaggio di formazione, alla scoperta di un mondo fino a quel momento sconosciuto. Il giovane Christian Convery ha dimostrato fin da subito di avere il volto e il carisma adatti per il ruolo; ha toccato il nostro cuore dal primo episodio.
Tuttavia, come dicevamo, le scelte narrative di quest’anno ha smorzato la forza della serie, ma solo in piccola parte. Questo perché Sweet Tooth continua ad essere una serie ben congeniata, frizzante e tenera. Quest’ultimo aspetto va al di là della connotazione fisica degli ibridi, ogni piccolo attore viene infatti diretto con maestria in ogni episodio e non è una cosa da poco. Diverso è il caso delle figure adulte, alcune delle quali lavorano spesso in overacting, risultando quasi pupazzosi. Un aspetto che potrebbe far storcere il naso al pubblico di un certo target ed essere apprezzato invece da un altro. Eppure, al netto di qualche sbavatura, lo show si dimostra ancora una volta coinvolgente e maturo.
Sweet Tooth 2: la grande fuga dallo zoo
La storia riprende esattamente da dove si era conclusa nella prima stagione, con Gus intrappolato nello zoo insieme ai piccoli ibridi di Aime Eden (Dania Ramirez). Jepperd viene salvato in extremis da quest’ultima e insieme tenteranno in tutti i modi di salvare coloro che ritengono i loro figli. Genitori putativi alla riscossa contro un nemico comune, ora più agguerrito che mai. Il Generale Abbot di Neil Sandilands porta avanti la sua campagna di reclutamento e sottomissione, facendo leva su una possibile cura per ingraziarsi l’aiuto di altre comunità. Sweet Tooth amplia il proprio parco d’azione, svolgendo un ottimo lavoro di world building. La mitologia interna dello show prende così forma, intrecciando scienza e magia.
Un aspetto nel quale Gus si fa sempre più protagonista. I vari flashback su Birdie (Amy Seimetz) illustrano al pubblico qualcosa di più sull’origine degli ibridi e dell’afflizione, spingendo il racconto verso la terza e ultima stagione (già annunciata). In tutto ciò assistiamo ai piani per la grande fuga, come in un film hollywoodiano degli anni ’70. Ed è qui che entra in gioco la forza di gruppo e le peculiarità di ognuno. Wendy (Naledi Murray) e i suoi fratelli e sorelle adottivi dovranno fare fronte comune per sopravvivere all’interno dello zoo ora nelle mani di Abbot. L’ombra della carneficina si fa sempre più grande oltre le sbarre. Essa cresce in simbiosi con la disperazione e l’ego del dottor Singh (Adeel Akhtar).
Il medico farebbe di tutto pur di salvare la vita della moglie, ma qualcos’altro sembra insinuarsi nella sua mente, l’ossessione. Ad Akhtar va il duro compito di incarnare la sfida e il conflitto interiore di un uomo che potrebbe avere tra le mani una cura in grado di salvare il mondo, ma per il quale dovrebbe sacrificare la vita di molti bambini. Ma non sono solo gli ibridi a dover fare i conti con un mondo al collasso. Bear (Stefania LaVie Owen), separata da Gus e Uomo grande, farà la conoscenza di nuove realtà e scenderà infine a patti con il proprio passato. Sweet Tooth unisce i fili, il rosso con il rosso, il verde con il verde. Prepara il terreno e coltiva i propri semi, senza lasciare nessun indizio al pubblico di ciò che infine germoglierà.
Quando una serie sa prendersi intelligentemente dei rischi
Separare i protagonisti così da dar forma a più storyline è un vecchio trucco, ma non sempre restituisce l’effetto desiderato. La trama potrebbe perdersi in digressioni e nuovi personaggi potrebbero non funzionare. Allo stesso modo i protagonisti devono cedere parte del proprio tempio per il bene di una narrazione corale. Nel caso di Sweet Tooth il non avere Gus come focus centrale del viaggio ha minato in un certo qual modo la piacevolezza dello show. Alcune storie hanno funzionato meglio di altre, come nel caso del Dottor Singh e altre meno come quella di Bear.
La prima stagione si era contraddistinta per la compattezza, mentre questo ampliamento non sembra aver apportato niente di nuovo, soprattutto nello status quo dei protagonisti. Forse, si sarebbero dovuti dedicare meno episodi al periodo di prigionia, ma nel complesso il tutto funziona e coinvolge. Gus rimane il vettore della commozione, ma dobbiamo che un altro personaggio se n’è fatto portatore. Parliamo del piccolo Bobby, un ibrido la cui natura animale ha preso quasi totalmente il sopravvento sul suo corpo. Qui la produzione gioca facile, creando un personaggio sulla falsa del Grogu di The Mandalorian.
A tal proposito bisogna lodare Sweet Tooth per il suo uso del make-up e di animatronix. Molte produzioni, anche cinematografiche, sembrano prediligerli al digitale. Pensiamo a Dungeons & Dragons – L’onore dei ladri, Guardiani della Galassia Vol. 3 o ai prodotti targati Star Wars (che hanno fatto scuola in tal senso). La riteniamo una scelta intelligente, in quanto spezza la dissonanza che la cubicità digitale causa all’occhio dello spettatore. Pensiamo a quanto l’uso massiccio della CGI abbia gravato sugli ultimi film e serie TV Marvel. Lo show Netflix punta al cuore, alla dolcezza, e non c’è modo migliore se non con pupazzo animato. Questi si fa reale, tangibile, magari esplicitamente finto ma efficace.
Sweet Tooth 2: conclusione e valutazione
La seconda stagione di Sweet Tooth, disponibile su Netflix dal 27 aprile, perde una piccola parte della propria magia a vantaggio di una narrazione corale. L’universo dello show si espande, porta in scena nuovi personaggi e misteri, ma il piccolo Gus rimane il collante che tiene insieme il tutto. Lo show è una favola dark che sa prendersi i suoi rischi con scene forti. Fungono da contraltare momenti di una tenerezza disarmante, innocenti e quasi stucchevoli, ma comunque d’impatto. Insomma, non possiamo fare altro che aspettare con trepidazione la terza stagione, nel quale ogni tassello troverà il proprio posto. Il mosaico, per quanto sia ancora incompleto, ha mostrato comunque la sua bellezza.