Sweet Tooth: recensione della serie post apocalittica di Netflix

L'opera, prodotta da Robert Downey Jr. e ispirata all'omonimo fumetto di Jeff Lemire, è una fiaba moderna delicata e fine, dal contenuto ad ampio respiro

Di questi tempi, il genere post apocalittico, che sia al cinema, in letteratura o in qualsiasi altro media possibile, è inflazionato più del solito: sarà la dura condizione epidemiologica che stiamo vivendo e forse lo sentiamo sulla nostra pelle in maniera diversa, fatto sta che la sua continua riproposizione, senza un minimo di variazione, pesa enormemente. Per fortuna, in tal senso, ci sono degli ottimi esempi di come si può evitare la standardizzazione: la serie Anna di Niccolò Ammaniti, trasmessa su Sky, ad esempio, ha saputo modellare saggiamente la materia, trionfando sia dal punto di vista registico e narrativo, portando sul piccolo schermo un piccolo capolavoro.

Ed ecco che, anche da parte di Netflix, arriva la risposta post apocalittica. Sweet Tooth, serie ispirata all’omonimo fumetto DC Comics di Jeff Lemire (appartenente alla linea adult Vertigo) con la produzione di Robert Downey Jr. e della moglie Susan, ci prende per mano dolcemente, trasportandoci in una Terra alternativa dove un virus, se da un lato ha sterminato gran parte della popolazione, dell’altro ha consentito lo sviluppo di specie ibride antropomorfe. Una fiaba che riflette sull’importanza della diversità e della salvaguardia ambientale, con toni delicati e sussurrati. La realizzazione, ideata da Jim Mickle (We Are What We Are, Hap and Leonard) e composta da 8 episodi, sarà disponibile sulla piattaforma il 4 giugno 2021.

Sweet Tooth: l’arte della natura

Sweet Tooth

Tutto parte, tristemente, da un virus (che nei fumetti è chiamato l’Afflizione) e sì, sembra richiamare il nostro presente, anche se non c’è per nulla l’intenzionalità (d’altronde il fumetto è uscito tra il 2009 e il 2012). È chiaro fin da subito che l’epidemia è solamente un piccolo pretesto per tratteggiare, in un mondo privo di bussola morale, la totale assenza di valori e di cultura, con un ritorno alla più ferale sopravvivenza, privata di ogni piccola briciola di raziocinio. In questa società per certi versi tribale, l’unica speranza (e contemporaneamente disgrazia) dell’umanità sono gli ibridi.

Questi bambini sono nati metà umani metà animali e Gus (Christian Convery), il nostro piccolo protagonista, è uno di loro, condividendo il DNA con la famiglia dei Cervidi. Il bambino vive insieme al padre (Will Forte) in un terreno nel parco di Yellowstone, in Nord America, al sicuro dagli Ultimi Uomini, un gruppo militare comandato dal Generale Steven Abbot (Neil Sandilands) che combatte per la sopravvivenza più estrema e che è a caccia di ibridi, per ucciderli o studiarli in laboratorio. Circostanze sfortunate obbligano Gus (chiamato affettuosamente Sweet Tooth) a fuggire dalla sua casa e lanciarsi in un’avventura in compagnia di Tommy Jepperd (Nonso Anozie), un reietto, per trovare la sua mamma scomparsa.

Quando si compone un universo di questa portata, con tanti dettagli, eventi e personaggi, l’aspetto più importante, che sta forse alla base di tutto, è la coerenza di fondo e Sweet Tooth riesce perfettamente nell’intento, usando come cifra stilistica e guida narrativa e registica, il mondo naturale, che aiuta a creare un background efficace e ricco di caratterizzazione. Non a caso, il tema fondante della serie è che la natura si sta riprendendo i propri spazi, riuscendo a riconquistare una centralità persa sotto il controllo degli esseri umani, quest’ultimi oramai ridotti a pochi e deboli gruppi.

Se però credete di trovarvi di fronte una novella ambientalistica piena di ragionamenti e trovate ridondanti sull’ecologia, vi sbagliate di grosso. Sia perché c’è una ricercatezza dei contenuti da manuale, che cerca sempre e comunque di differenziarsi, sia perché le tematiche affrontate sono davvero innumerevoli e diverse tra loro: ognuna ha il proprio spazio su schermo e, soprattutto, interagisce con le altre armonicamente, senza offuscare o prevalere sulle altre.

Sweet Tooth: un’unica grande storia con tante piccole micro-narrazioni

Sweet Tooth

La trama si fa quindi forza della ricchezza e suggestione dei paesaggi naturali per poi portare avanti temi cari alla nostra contemporaneità come l’importanza della diversità, la condanna contro ogni tipo di sopruso (sia fisico che ideologico) e la potenza dell’amicizia e della famiglia. Gus è un perfetto protagonista proprio perché si fa carico di questi messaggi e riesce a parlare, a livello seriale, sia ai bambini che ai più adulti, usando un linguaggio semplice, diretto e schietto: un personaggio ingenuo, dolce, prevedibile ma che incarna al meglio la parte migliore degli esseri umani.

Il piccolo protagonista, però, non è l’unico personaggio che avremo modo di conoscere all’interno di Sweet Tooth: l’intero impianto narrativo, infatti, è strutturato attraverso delle micro-storie che convergono poi nell’episodio 8, quello conclusivo della prima stagione. Oltre alla spalla del piccolo, Tommy Jepperd, che ha un’evoluzione notevole nel corso delle puntate, seguiremo da vicino anche la vita del Dottor Aditya Singh (Adeel Akhtar) e di sua moglie Rani (Aliza Vellani) e anche la coraggiosa iniziativa di Aimee (Dania Ramirez) che ha costruito una riserva per gli ibridi. Da non sottovalutare nemmeno la sottotrama sull’Armata degli Animali, protettori degli ibridi comandati da Bear (Stefania LaVie Owen). All’inizio c’è un po’ di spaesamento e non è chiaro dove la sceneggiatura voglia andare a parare ma, mano a mano che la storia va avanti si comprende sempre di più il perché dietro questi piccoli quadri narrativi.

Se quindi dal punto di vista prettamente narrativo c’è l’intenzione di porre le basi per costruire un universo complesso e ricco di sfumature con tanti racconti collegati, la regia, proprio per accentuare l’immensità del background, indugia più volte, con la macchina da presa, sulle inquadrature panoramiche del mondo naturale. Queste ultime sono accostate in parallelo a riprese che invece si concentrano sulla rovina e la desolazione dei centri abitati, con città rase al suolo o che sono in uno stato di abbandono. L’alternanza di luoghi agli antipodi non è solo un’ottimo strumento contenutistico che parla con le immagini, ma anche una soluzione che spezza degnamente il ritmo di Sweet Tooth, così da avere cambi di scena, di mood, di atmosfera e, soprattutto, di colori.

La fotografia è infatti particolarmente importante e ispirata, come anche la rilassante e incantevole colonna sonora. I due aspetti non sono puramente estetici ma anzi fanno parte integrante della coerenza naturalistica ricercata dalla realizzazione, che così trova un suo compimento fatto di cromie ben precise e brani introspettivi dalla portata quasi filosofica. Ciò che rimane al termine della visione è una favola ben realizzata, ancora un pochino introduttiva, ma carica di cuore e sentimenti, che riesce ad essere controcorrente portando dolcezza e serenità, aspetto divergente dal fumetto, ma dal quale è riuscito a trarre il significato più intimo.

Sweet Tooth è una serie sincera e suggestiva: una fiaba delicata e armoniosa, dal contenuto luminoso e positivo e tanti messaggi di speranza dei quali, in un momento come questo, abbiamo fortemente bisogno. Il protagonista, biologicamente a metà tra uomo e animale, si fa portavoce di un mondo naturale genuino e gentile disposto a riprendersi il controllo sul pianeta non gridando alla violenza, ma porgendo una mano fatta di arbusti delicati e morbidi. L’universo portato avanti dal prodotto necessita sì di qualche approfondimento, ma l’inizio è travolgente e ricco di fascino.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4.5

4

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