Sysyphus: The Myth – recensione della serie Sci-Fi sudcoreana Netflix
Dalla Corea del Sud una spettacolare e adrenalinica serie K-Drama in salsa Sci-Fi sui paradossi temporali, diretta da Jin Hyuk. Disponibile su Netflix da 15 aprile.
Tra i generi che la Corea del Sud ha e sta esplorando con sempre più frequenza negli ultimi anni, la fantascienza occupa un posto di rilievo. Lo dimostrano gli ingenti investimenti economici messi in atto per portare sul grande e piccolo schermo progetti audiovisivi capaci di competere nel mercato internazionale. Così dopo il primo space opera diretto da Jo Sung-hee dal titolo Space Sweepers, Netflix ospita a partire dal 15 aprile una nuova produzione sudcoreana che fa dell’ambizione il proprio biglietto da visita. Si tratta di Sisyphus: The Myth, la serie original firmata da Jin Hyuk, che risultati alla mano fa compiere alla madrepatria un altro significativo passo in avanti nel campo della fantascienza, laddove sino ad oggi si era espressa in maniera discontinua e altalenante con progetti audiovisivi legati principalmente ai filoni del monster-movie e del fanta-action (da Natural City a Snowpiercer, da Psychokinesis e The Host, passando per Lucid Dream, Illang – Uomini e lupi e Okja).
Sisyphus: un numero inferiore di episodi e una maggiore capacità di sintesi avrebbe giovato alla fruizione
Per farlo i creatori Jeon Chan-Ho e Lee Je-In hanno deciso di prendersela davvero comoda, consegnando nelle mani del regista gli script di una serie fiume che si sviluppa nell’arco di sedici episodi da 70 minuti circa cadauno, per una durata complessiva di oltre 1120 minuti di fruizione. Senza alcun dubbio una sfida non da poco per chi l’ha realizzata, ma anche per coloro che decideranno di avventurarsi nella visione sulla piattaforma statunitense. In effetti la durata potrebbe rappresentare un deterrente, allontanando il potenziale spettatore. C’è da dire che giunti al giro di boa la tentazione di gettare la spugna inizia a palesarsi in maniera sempre più forte a causa dell’incapacità di sintesi di una scrittura che, pur di gonfiare il più possibile le timeline dei singoli episodi, allunga il brodo con flashback e flash forward, digressioni e parentesi narrative. Alcuni di questi espedienti non porteranno a nulla, dimostrandosi futili e accessori, altri serviranno a lungo andare, quando al decimo episodio arriverà finalmente la chiave di svolta che rilancerà la serie. Fino a quel momento le parole d’ordine sono sangue freddo e tanta pazienza.
Sisyphus: la dura lotta per la sopravvivenza di un geniale ingegnere e di una misteriosa donna venuta dal futuro per sventare l’inizio di una guerra nucleare
Gli autori riescono a trovare il modo per tenere accesa la fiammella dell’interesse nei confronti di una storia popolata da una nucleo di personaggi destinato a sdoppiarsi e con lo scorrere dei capitoli ad allargarsi in maniera sostanziale con nuovi ingressi, compresso quello del villain di turno, rimasto nell’ombra per gran parte degli episodi. Ovviamente non vi riveleremo la sua identità, ma c’è lui dietro l’odissea spazio-temporale che si troveranno ad affrontare i due protagonisti interpretati da Cho Seung-woo e Park Shin-hye, qui nei rispettivi ruoli del geniale ingegnere Han Tae-sul e della misteriosa donna venuta dal futuro Kang Seo-Hae. Alla coppia il compito di cambiare il corso degli eventi, dal quale dipende il loro destino e quello dell’intera nazione, quest’ultima devastata da un attacco nucleare che ridurrà l’intero Paese in un paesaggio post-apocalittico. L’arco narrativo della serie si muove palleggiando insistentemente tra passato, presente e futuro, per raccontare la dura lotta per la sopravvivenza dei due personaggi principali al fine di sventare l’inizio della guerra. Una guerra della quale vedremo gli effetti e le conseguenze, quando gli autori decidono di volta in volta di catapultare il pubblico nel pieno di una Seul dispotica.
Sisyphus è un recipiente che accoglie riferimenti alla fantascienza di ieri e di oggi
Il plot lascia intuire al fruitore quelli che sono gli ingredienti alla base di Sisyphus: The Myth, ossia un mix di generi, citazioni e dinamiche che vanno a convergere nella famiglia allargata della fantascienza popolare su larga scala (un po’ Terminator e un po’ Timecop – Indagine dal futuro e ovviamente Matrix, Stargate e tutto il filone post-apocalittico). Ed è quella che gli autori e il regista hanno strizzato fortemente l’occhio per dare forma e sostanza alla serie. Il ché genera a sua volta un grande recipiente in cui vengono gettati con generosità riferimenti alla fantascienza di ieri e di oggi: da quella dispotica a quella dei viaggi nel tempo. Insomma un vero e proprio compendio, nel quale lo spettatore non avrà difficoltà a sentirsi a suo agio.
A tenere insieme l’architettura dell’intera season c’è una linea mistery assai corposa e stratificata che si svilupperà orizzontalmente e riguarda il passato del tycoon asiatico e l’identità della ragazza venuta dal futuro con tanto di valigia dal misterioso contenuto e figure losche che danno loro la caccia. Per tutti diventa una questione di vita o di morte, di interessi economici, potere, vendetta e legami affettivi, che crea un autentico giro di vite e una dipendenza tra i vari soggetti coinvolti. Ma per avere le risposte che cerca il pubblico dovrà attendere l’ultimissimo episodio. Nel frattempo i restanti quindici, alcuni dei quali di troppo nell’economia globale del racconto, generano un puzzle di intrecci temporali che fanno girare i personaggi e gli spettatori come dei criceti in gabbia.
Dosi massicce di azione e VFX di buona fattura per tenere alta l’attenzione dello spettatore
Lo sbrogliare la matassa assomiglia sempre di più all’escamotage della tela di Penelope, che metterà a dura prova la pazienza di chi è dall’altra parte dello schermo. In tal senso gli autori tirano un po’ troppo la corda, ma impediscono che questa si rompa grazie al contributo tecnico del regista, che con sequenze d’azione elaborate e dal forte impatto riesce a iniettare nelle timeline dosi massicce di adrenalina. Lo fa spingendo il piede sull’acceleratore già dal secondo episodio con un corpo a corpo davvero spettacolare in stile The Villainess, al quale seguiranno sparatorie e inseguimenti al cardiopalma da manuale(da quello con i droni al combattimento notturno tra le strade bombardate di Seul). La componente balistica, dinamitarda e marziale, è la scialuppa alla quale Sisyphus: The Myth si aggrappa tutte le volte che una narrazione così lunga affronta delle fisiologiche flessioni. Molte per dire la verità. Qualche svarione e incidente di percorso sul fronte degli effetti visivi, non sempre all’altezza come nel caso della scena della fuga dalla sede di Busan, generano delle crepe anche lì dove le cose sembravano invece funzionare meglio. Al contrario, scene efficacissime come quelle dell’attacco nucleare su Seul e della tempesta di sabbia mettono in vetrina tutta la capacità di fuoco delle maestranze sudcoreane. Vedere per credere.