The Beatles: Get Back – recensione della serie di Peter Jackson sui Fab Four

La realizzazione, divisa in tre macro parti, è un documento storico inestimabile che ci fornisce un'immagine inedita e straordinaria della band che ha cambiato totalmente la storia della musica moderna.

The Beatles: Get Back, nuova docuserie diretta da Peter Jackson con una costruzione di tre puntate, è un salto nel passato emozionante e straordinariamente moderno. L’opera del noto film-maker neozelandese, infatti, rilegge completamente la storia dell’ultimo periodo di vita dei Fab Four, dai primi sprazzi di Get Back (che poi divenne Let it Be, loro ultimo album) al mitico Rooftop Concert. Grazie a filmati inediti, restaurati e montati personalmente da Jackson, abbiamo modo di toccare la leggenda, tra miti sfatati (l’alchimia nel gruppo c’era, anche se i contrasti erano inevitabili) e uno studio naturale e approfondito su John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison.

Prima di The Beatles: Get Back (che ricordiamo doveva essere inizialmente un film unico) si sono alternati tantissimi documentari sul celebre gruppo inglese, tra gli ultimi The Beatles: Eight Days a Week – The Touring Years (2016) di Ron Howard e The Beatles: Sgt Pepper & Beyond (2017) di Alan G. Parker, ma stavolta parliamo di un progetto completamente diverso. Il maggiore discrimine tra i tre prodotti è che l’opera di Jackson ha poca rarefazione ed è volta alla restituzione, in modo maniacale e commovente, di un pezzo importante della musica mondiale, con naturalismo, pochi messaggi su schermo e un montaggio straordinario. Ma andiamo per gradi, scoprendo le maggiori qualità di questa serie, che sarà rilasciata su Disney+ il 25, 26 e 27 novembre 2021 (ogni giorno un episodio).

The Beatles: Get Back – un trionfo di tecnica, con un montaggio magistrale

The Beatles: Get BackLe tre parti di The Beatles: Get Back vanno a comporre quelli che dovevano essere un film sul gruppo e uno spettacolo televisivo che non sono mai stati realizzati. Tutto questo materiale, in particolare, si concentra sul lavoro di costruzione, in circa 20 giorni, dell’album Let It Be e la performance finale sul tetto del loro studio di registrazione presso Saville Row a Londra, Il 30 gennaio 1969. Tutte queste riprese sono state portate alla luce da Peter Jackson che ha esaminato ore e ore di filmati totalmente inediti, rimasti segreti per anni e finalmente mostrati in esclusiva.

Prima di parlare della qualità intrinseca del progetto, è opportuno contestualizzare la serie anche dal punto di vista storico e ciò va al di là di ogni giudizio prettamente critico. Ci troviamo di fronte ad una testimonianza storica inestimabile, ad un racconto che getta nuova luce e dettagli sulla parte conclusiva dei Beatles, sempre narrata con sufficienza e scarso approfondimento. Certo, è inevitabile che la conflittualità tra i membri del gruppo fosse presente (d’altronde figure carismatiche come McCartney e Lennon erano difficili da contenere), ma non è esattamente come ci hanno raccontato per anni. In questo, l’opera è straordinaria perché, soffermandosi sulle relazioni tra i musicisti, ci fa capire come i 4 erano in sintonia, con qualche discussione, ma con una coerenza artistica magistrale.

Ciò spiega come la band sia riuscita in poco più di 14 giorni a realizzare uno degli album che ha cambiato la storia della musica. E il film-maker ci consegna, con rispetto e una tecnica invidiabile, un documento cristallino ed esplosivo, dei filmati che rimarranno scolpiti nella memoria degli appassionati. C’è tanto rispetto e cura da parte di Jackson che si è rapportato al materiale originale con delicatezza e tatto. In particolare, quello che salta all’occhio, è che il cuore del girato non perde mai di intensità, grazie ad una quasi totale assenza di messaggi aggiuntivi e informazioni su schermo. I pochi dettagli aggiunti dall’autore, che aiutano il pubblico a capire lo sviluppo degli eventi, invitano all’approfondimento, senza però risultare eccessivi né sovrabbondanti rispetto alle riprese originarie.

In questo, il lavoro di sceneggiatura è minimale ed è riservato solamente a qualche didascalia informativa, mentre il resto è puro e semplice atto artistico, con tantissimi simpatici fuori onda e dei ritratti inediti dei Fab Four che difficilmente ci scorderemo. I momenti più riusciti e imprescindibili della docuserie sono quelli legati, in particolare, alla scrittura e alla composizione dei brani, con un montaggio che, fluidamente, mostra perfettamente l’evoluzione delle canzoni da uno stadio embrionale ad una forma finale di rara bellezza, quella che poi ci ha consegnato l’album stesso al suo rilascio. L’altro valore del montaggio è quello di aver costruito una storia coerente e appassionante, nonostante non fosse per nulla facile mettere mano su ore e ore di filmati.

Un lavoro monumentale e imperdibile, ma forse con un target ristretto

The Beatles: Get BackThe Beatles: Get Back, inoltre, rivela anche tanto studio di immagini e qualità sonora. Sappiamo bene come l’occhio (e in questo caso anche l’orecchio) vuole la sua parte e sicuramente non possiamo che rimanere stupiti dal lavoro che c’è dietro. Già con il suo precedente They Shall Not Grow Old – Per sempre giovani, un documentario che commemora la fine della prima guerra mondiale, Peter Jackson aveva dimostrato delle doti incredibili di restauratore, che sono confermate anche da questa nuova serie. Le riprese sono nitide e perfettamente rielaborate a livello fotografico, mentre il sonoro si sente cristallino e pulito.

La complessità del progetto sta proprio nel lavorare contemporaneamente di sottrazione con il montaggio, di pulizia tecnica con il restauro e anche di trasmissione artistica, scegliendo accuratamente cosa rappresentare del materiale. Il risultato su quest’ultimo fronte è sorprendentemente bilanciato, ma anche estremamente significativo, nell’ottica in cui sono effettivamente ben inquadrate non solo le dinamiche del gruppo, ma anche i singoli membri del gruppo e tutto l’entourage che ha consentito lo sviluppo di Let it Be. Dietro una grande band, ovviamente, c’è anche un’importante team dietro che non viene mai lasciato di sfondo. Anzi, l’opera dimostra brillantemente la loro partecipazione attiva al flusso artistico, rivelando una creazione partecipata e democratica dell’album (anche se ovviamente gli artisti sono quelli che hanno l’ultima parola).

The Beatles: Get Back è quindi un trionfo su tutta la linea, ma è un progetto che è poco seriale o cinematografico. Certo, Peter Jackson ha fatto sì che tutto il materiale fosse ristretto il giusto, così da consentire una costruzione funzionale e coerente, ma comunque rimane un prodotto un pochino troppo sovrabbondante e sicuramente non adatto al pubblico medio. Così come questa forma monumentale (si tratta di Parti che oscillano tra le 2 ore e mezza e le 3 ore) è forse indirizzata più ai fan dei Fab Four che agli spettatori occasionali, anche lo stesso contenuto porta emozioni diverse a seconda del target di riferimento. Dei fruitori con una sensibilità musicale o con una passione per i Beatles sicuramente coglieranno sfumature più intense rispetto ad un pubblico generale che comunque si trova di fronte una serie spiazzante e davvero ben realizzata.

The Beatles: Get Back è un’emozione continua: la tecnica di Peter Jackson è totalmente asservita ai sentimenti, con una lavoro dietro, di montaggio, scrittura, regia e fotografia che sfiora la perfezione. Il maggior successo di questa nuova docuserie sta proprio nella fluidità del messaggio artistico che passa attraverso un’occhio autoriale sempre pronto a raccontare con naturalezza i vari protagonisti e la loro incredibile e stupefacente genialità musicale. La storia attraversa inevitabilmente quest’opera che rilegge il fenomeno Beatles e consegna al pubblico le loro ultime immagini insieme, intime e straordinarie, ma forse più indirizzate agli appassionati più puri e sinceri del gruppo inglese di Liverpool.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4.5
Sonoro - 4.5
Emozione - 4

4.3