The Crown 2: recensione della serie Netflix con Claire Foy
La recensione di The Crown 2, l'attesa serie Netflix sui vizi e le virtù della corona inglese, con Claire Foy nei panni di Elisabetta II
Dopo il grande successo dell’anno scorso, torna su Netflix il ‘royal drama’ per eccellenza. Dall’8 dicembre, infatti, la stagione 2 di The Crown porta ancora una volta il grande pubblico nei corridoi di Buckingham Palace, nell’arco di dieci memorabili episodi. La storia riprende lì dove si era interrotta, dal 1955, anno delle dimissioni del primo ministro Winston Churchill. L’attacco in medias res del primo episodio e il ritmo concitato non fanno per altro rimpiangere la mancanza di John Lithgow, la cui vis drammatica nella prima stagione è valsa alla serie un Emmy Award per il miglior attore non protagonista.
The Crown 2: un memorabile secondo atto per la serie Netflix
Attraverso il flash foward iniziale, viene brillantemente introdotto l’antefatto di The Crown 2 che, snodandosi attraverso i primi tre episodi, costituisce una sorta di racconto a parte. È proprio attraverso questo blocco ben distinto e separato dal resto della stagione che Peter Morgan, (The Queen) sceneggiatore e ideatore della serie, anticipa quale sarà il tono dei nuovi episodi che ci attendono: lasciato da parte il racconto di formazione, troviamo una composta e imperturbabile Elisabetta II, interpretata ancora una volta da Claire Foy, che, abbandonate le insicurezze dei primi anni di regno, deve ora fare i conti con avvenimenti che scuotono le fondamenta della sua vita privata e, neanche a dirlo, della stessa corona.
Primo tra tutti il rapporto sempre più problematico e la presunta infedeltà del marito, (un mefistofelico Matt Smith nei panni di Philip Mountbatten duca di Edimburgo), sempre più a disagio all’interno del suo ruolo di consorte, perennemente all’ombra di una moglie ingombrante.
Se la prima stagione peccava di difetti, questi in sostanza si riducevano all’incapacità di sorprendere fino in fondo lo spettatore, com’era prevedibile dati il tema e gli eventi storici ampiamente conosciuti. Questa seconda stagione si rifà ampiamente di quel limite. Bastano questi primi episodi, infatti, a darci l’impressione di un sottile quanto radicale cambiamento di tono. Tra scandali di corte, crisi diplomatiche, infedeltà coniugali e fantasmi della guerra che tornano a tormentare i vivi lo showrunner della serie dimostra di volersi spingere ancora più a fondo nella vita privata dei personaggi, puntando la lente di ingrandimento su quello che si svolge dietro le quinte, lontano dagli occhi e le orecchie indiscrete di giornalisti e fotografi.
Tutto questo ci viene mostrato un episodio dopo l’altro con la stessa dovizia di particolari e la stessa cura nella ricostruzione d’ambiente della prima stagione. Morgan riprende così le fila del racconto lì dove si era interrotto, costruendo una narrazione coerente, che dagli episodi precedenti eredita il tono pacato e ‘politically correct’ e ancora una volta se ne serve per presentare al pubblico personaggi vecchi e nuovi, dai Kennedy al fotografo Antony Armstrong-Jones, interpretato dal Matthew Goode reduce dal successo dell’ultima stagione di Downton Abbey. Sarà lui a ricoprire un ruolo importante nella story line del personaggio della principessa Margaret e di fatto a divenire il simbolo dei grandi cambiamenti sociali in atto nel paese.
Seppure più sicura nella propria veste di regnante, la giovane regina si trova infatti a fronteggiare un mondo in continua evoluzione, una più generale crisi di valori che, dalla sfera politica, con la rivendicazione dell’indipendenza da parte delle colonie del Commonwealth, a quella sociale, con la liberazione sessuale e la rivendicazione dei diritti delle donne, colpisce direttamente quella tradizione millenaria che la corona rappresenta. Se da una parte, quindi, ritroviamo immutato quello che potremmo definire “l’immutabile fascino della corona inglese”, dall’altra è impossibile non notare una critica, velata ma non meno efficace, ad una istituzione vecchia di secoli, “la corona”, che imprigiona all’interno di protocolli ormai desueti gli stessi componenti della famiglia reale, impedendo loro di realizzarsi come individui.
Una posizione del resto ben espressa dal personaggio di Margaret: specie se paragonata alla sensuale sorella interpretata da Vanessa Kirby, decisa a rivendicare il proprio diritto alla felicità, la regina stessa appare come una donna comune, “di ingegno limitato”, di poche parole e ancora meno interessi, che per puro caso si è ritrovata a capo di una nazione, ma senza le capacità di fare davvero la differenza per il proprio paese. Non meno sarcastico, del resto, appare il ritratto della classe dirigente inglese che, sparito Churchill dalla scena politica, si dimostra miope ai cambiamenti sociali in atto così come alle rivendicazioni di paesi che si affacciano per la prima volta sulla scena politica.
L’intelligenza e l’eleganza della scrittura sta proprio in questo oscillare tra le due posizioni, la celebrazione di un sistema di valori ancorato al passato e la messa in evidenza della sua assoluta incompatibilità con un mondo totalmente trasformato dopo la guerra.
Attraverso continui cambi di tono ed un ampio uso di procedimenti narrativi come il flash back (si veda l’episodio intitolato Vergangenheit, in cui ad essere a rischio è la stessa immagine pubblica della corona), uniti ad un’altissima qualità nella realizzazione, la seconda stagione di The Crown si dimostra all’altezza, se non addirittura supera, le aspettative, fornendo allo spettatore un ritratto della storia intelligente e, stavolta possiamo dirlo, coinvolgente al tempo stesso.