The Frankenstein Chronicles: recensione della serie tv Netflix
La nostra recensione della prima e seconda stagione di The Frankenstein Chronicles, già disponibili su Netflix.
Benché la stampa internazionale le abbia riservato una certa attenzione, The Frankenstein Chronicles è la serie ‘cenerentola’ di Netflix, che pure ha inserito nel suo catalogo entrambe le stagioni finora realizzate. Show poco conosciuto e poco ‘sponsorizzato’, dunque, ma non per questo scadente, The Frankenstein Chronicles è un prodotto solido, che merita una possibilità e senz’altro piacerà a chi ha amato The Alienist (sempre Netflix) o Taboo (BBC One, in Italia su Sky Atlantic, protagonista Tom Hardy), di cui si attende da tempo il secondo capitolo. Le atmosfere, come nelle due serie citate, sono oltremodo cupe e affumicate: siamo nella Londra sporca, nelle strade e nelle coscienze, del 1827. Nove anni prima la pubblicazione da parte di Mary Shelley del controverso romanzo gotico Frankenstein ha acceso le fantasie di molti, innescando un vero e proprio delirio di onnipotenza scientista.
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Il protagonista di The Frankenstein Chronicles è un detective segnato dalla malattia e dal rimpianto
Il protagonista di The Frankenstein Chronicles è un detective di nome John Marlott (interpretato da un bravo Sean Bean, che trova la misura perfetta tra ruvidezza e vulnerabilità), un uomo integro, ma non senza tormenti: affetto da sifilide, ha perso sia la moglie sia la figlia, e, piegato dal lutto, attraversa una fase di profonda crisi spirituale. Un giorno ritrova nel Tamigi il cadavere di una bambina esangue che lo afferra, in un ultimo sussulto vitale, per il polso: dopo l’ispezione, si scopre che quel corpo è in realtà il risultato di un assemblaggio di altri corpi di bambini, cuciti insieme in quella che sembra essere la manipolazione sadica di un chirurgo abile, ma di dubbio equilibrio psichico. Inizia così la lunga ricerca di Marlott, nei bassifondi di una Londra che formicola di una infanzia affamata e sacrificale e nelle abitazioni sfarzose di professionisti rispettati e apparentemente impeccabili, che vivono, però, una doppia, tripla vita.
The Frankenstein Chronicles: la stagione 1 e 2 della serie è attraversata da una tensione morale
Gli elementi per allestire un racconto visivo dalle tinte forti ci sarebbero stati tutti, ma i creatori Benjamin Ross e Barry Langford preferiscono non calcare la mano sul grafismo e insinuare un’idea di violenza meno frontale: il focus non è mai posto sugli aspetti più crudi e abietti della vicenda, ma sulla tensione morale che questa effonde, sul conflitto ‘bioetico’ tra le ragioni della scienza e quelle della dignità umana. Gli elementi metafisici non vengono dunque strumentalizzati per ammiccare ai fanatici del sovrannaturale, ma per proiettare gli intrecci del plot all’interno di una riflessione più profonda e perturbante, per quanto non sempre condotta con la sottigliezza che avrebbe meritato. Tuttavia, è soprattutto pregevole come gli autori abbiano levigato i personaggi, senza la fretta di far accadere per forza qualcosa, ma con la consapevolezza che, a volte, bisogna prendersi del tempo per lasciar emergere i grani e gli spigoli di un’identità psicologica, per smussare e intorbidire la sua apparenza rotonda.
Uno show solido, dai ritmi placidi e le atmosfere scure
The Frankenstein Chronicles non è una serie concepita per creare dipendenza e favorire il binge-watching, sa farsi apprezzare solo se si ha la pazienza di assecondare i suoi ritmi da detective story vecchia maniera, che intercetta, però, una predisposizione molto attuale per la riscoperta non tanto della singola opera di Mary Shelley, quanto per il suo affanno, più sfuggente, ma non meno doloroso e ossessivo, di ristabiliare una relazione fisica con chi si è perso, di dare una consistenza materica all’indicibilità senza peso della morte. È propria in questa zona di confine tra vita e morte che The Frankenstein Chronicles riesce in qualche modo a infilarsi, a chiedere allo spettatore di interrogarsi sul’indissolubilità del legame di una con l’altra.
L’impresa è resa possibile dalla concretezza della scrittura e dalla sapienza degli attori: più di uno, di fronte al bel personaggio di Lady Jemima Hervey, si chiederà dove ha già visto l’attrice che la interpreta. La risposta è in The Crown, perché l’attrice in questione è Vanessa Kirby, che nella serie dedicata alla casa reale inglese, vestiva i panni dell’irrequieta principessa Margaret. Qui cambia registro, dando vita a una figura femminile moderna, che sa trasgredire senza farlo in modo chiassoso o ricattatorio. Peccato che, nella seconda stagione, che accentua le atmosfere orrorifiche e si allontana un po’ dalla fonte originaria, resti solo il tempo di un episodio.