The Good Cop: recensione del pilot della serie tv Netflix
La recensione dell'episodio pilota dal titolo "Chi ha incastrato il bravo poliziotto?" del nuovo dramedy poliziesco The Good Cop, distribuito dal 21 settembre su Netflix.
In uscita su scala globale il 21 settembre 2018, approda su Netflix The Good Cop, dramedy poliziesca ispirata all’omonima serie israeliana di Tomer ed Erez Aviram. Autore della produzione anglofona è, invece, Andy Breckman, classe 1955; già padre di una serie assimilabile a quest’ultima – Detective Monk è andato in onda tra il 2002 e il 2009 riscuotendo enormi consensi di pubblico e portandosi a casa ben otto Emmy Award (tra cui quello al miglior protagonista in una commedia, Tony Shalhoub). Non solo, Breckman è mente di numerosi sketch del Saturday Night Live andati in onda per quasi dieci anni tra gli anni ’80 e ’90.
The Good Cop riprende più o meno da lì: la formulazione comedy del poliziesco procedurale si riaggancia a quanto realizzato quindici anni prima, a partire dal file rouge musicale del jazz che invadeva la prima stagione di Monk al bossanova di questo primo episodio, a fare da intermezzo stemperante. Lì c’era un personaggio protagonista, Adrian Monk, divertente e catalizzatore, anche grazie alle sue manie compulsive: ma qui?
The Good Cop: padre o figlio?
Siamo a New York: padre e figlio, entrambi poliziotti, l’uno sconta un esilio dal corpo della polizia, l’altro è un detective della squadra omicidi perfettamente inserito. Una sorta di passo a due speculare tra due personalità estremamente diverse ma naturalmente convergenti, a partire dal nome: Tony Caruso (Tony Danza) e la sua personalità eccessiva, scorretta, goliardica e incapace di rimettersi alle regole crea un connubio altisonante con Tony Caruso Jr. (Josh Groban), occhialuto, espressione candida, ligio al dovere e al distintivo, ossessivamente portato al rispetto delle leggi, anche al dettaglio (esemplare la gag del semaforo non funzionante che egli attende scrupolosamente per assicurarsi non sia effettivamente rosso).
Condividendo mestiere e (ex)divisa, si trovano e (presumibilmente) troveranno in situazioni di conflitto che li vedono parallelamente protagonisti, tra casi d’omicidio e rapporti interpersonali (oltre che un passato traumatico condiviso, la perdita della moglie e madre). S’intravede, ad esempio, un futuro, stretto legame con l’aspirante detective Cara Vasquez (Monica Barbaro, già nel dramma statunitense Unreal, 2015-2018), figura femminile tutta d’un pezzo, affascinante e sicura di sé.
Poco dramma e poca commedia: la serie di Andy Breckman rischia di non essere sufficientemente d’impatto
Eppure, al netto del solo episodio d’apertura, la serie non dimostra peculiari originalità dialogiche o smalto lucido nel delineare caratteri ed ambientazioni, dichiarando al primo sguardo una verticalità narrativa figlia di una classica, consolidata artigianalità televisiva. Gli ambiti d’azione appaiono sottotono o, quantomeno, standardizzati, in una sudditanza a un’atmosfera che vuole essere, più di tutto, “familiare” e conciliatorio (una leggerezza che ricorda, nuovamente, Monk). Nulla togliendo a quello che vuole essere, negli intenti, un omaggio ai capisaldi del genere (Colombo come punto di partenza) e a modalità discorsive che hanno tutto un sapore vintage (ma allora perché non calcare la mano su quest’aspetto, con maturità anzitutto espressiva?).
Le complicazioni del caso (entrambi si trovano ad essere accusati di omicidio, nonché unici sospettati di aver fatto fuori un collega) vengono, però, fin troppo facilmente annacquate in una risoluzione finale che non incanta né stupisce, dimentica sia dell’impatto psicologico che di quello, ipoteticamente irrinunciabile, comico. Ci sarà senz’altro margine per evidenziare aspetti meno legati al genere nello specifico, tramite una connotazione dei personaggi più raffinata e chiaroscurale, ma l’incipit non ha mordente, neppure nel suo bentrovato classicismo.
Non ci resta che seguirne le vicissitudini sperando in un’avvicendamento quantomeno solido e avvincente.