The Good Fight – stagione 3: recensione
Recensione di The Good Fight, la serie televisiva che più di tutte sta mettendo al centro Donald Trump e le tematiche sociali legate alla sua presidenza.
Nonostante negli Stati Uniti la presenza di Donald Trump alla Casa Bianca si sia riflessa fin da subito nell’industria cinematografica, televisiva (e non solo), c’è una serie che più di tutte sta dimostrando di avere come fulcro centrale l’attuale Presidente degli Stati Uniti. Stiamo parlando di The Good Fight.
La terza stagione della serie televisiva spin-off di The Good Wife esordisce su TIMvision a partire dal 15 maggio. E già il primo episodio mette in chiaro l’andamento di tutta la stagione.
The Good Fight tra #MeToo e questioni razziali
Carl Reddick, fondatore dello studio legale nel quale sta lavorando Diane Lockhart, è sempre stato un punto di riferimento per la comunità afro-americana. Lo studio Reddick, Boseman & Kolstad, ha intenzione di celebrarne la memoria, ma proprio durante la registrazione di una serie d’interviste a suoi ex collaboratori viene fatta una scoperta inquietante. La sua ex segretaria denuncia una violenza sessuale subita per mano dello stesso Reddick.
Questo evento sarà la causa di un vero e proprio terremoto che scuoterà l’intero studio legale e porterà Adrian Boseman a prendere delle contromisure. In tutto ciò però ci sarà da fare i conti con la reazione della figlia di Reddick, Liz, la quale è pronta a perorare la causa delle vittime, piuttosto che difendere la memoria del padre. E, nel frattempo Diane dovrà affrontare anche alcuni seri problemi di coppia.
The Good Fight è la serie televisiva che più di tutte sta mettendo al centro Donald Trump e le tematiche sociali legate alla sua presidenza
Insomma, questa terza stagione di The Good Fight si apre con il botto, e sembra sviscerare in soli 50 minuti tutte le tematiche più importanti di una serie che si preannuncia scoppiettante. In apertura di episodio è la stessa Diane Lockhart, (interpretata ottimamente da Christine Baranski), a far presagire l’arrivo di una tempesta: discutendo con il marito, infatti, si chiede se quell’idilliaco momento di vita, non possa essere sconvolto da una catastrofe. Cosa che puntualmente avverrà.
Ma lo studio Reddick, Boseman & Kolstad ha intenzione di prendere tutte le contromisure necessarie per resistere, senza farsi travolgere dagli eventi. Adrian Boseman (interpretato da un Cush Jumbo in ottima forma) è più determinato che mai a non far emergere al di fuori dello studio lo scandalo sessuale riguardante Carl Reddick, ma dovrà fare i conti con i tumulti interiori della figlia Liz (il cui ruolo è occupato ottimamente da Audra McDonald, che reggerà su di sé tutta la parte più drammatica dell’episodio).
The Good Fight e i riflessi dell’America trumpiana
Così come detto in apertura The Good Fight rappresenta una tra le serie televisive americane che cercano più esplicitamente di far emergere i riflessi dell’elezione di Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti. Il fatto stesso che Diane Lockhart stia portando avanti una causa per far emergere un nuovo scandalo sessuale riguardante l’attuale inquilino della Casa Bianca fa ben capire che la serie non si preoccupa di velare i suoi attacchi.
Tutto ciò fa nascere un insieme di tematiche di un peso enorme di questi tempi negli Stati Uniti, e non solo, e che questa prima puntata affronta in maniera molto interessante. L’elemento drammatico introdotto praticamente in apertura di episodio fa da corollario a tutta la trama, creando un ritmo incalzante, con la tensione emotiva pronta a montare sempre di più.
A smorzare i toni saranno due personaggi femminili: la Maia Rindell interpretata da Rose Leslie, e la Marissa Gold interpretata da Sarah Steele. Saranno queste due figure a far variare umori e tematiche della puntata, concentrandosi sull’affermazione di Maia all’interno dello studio. La sua personalità troppo riservata rischia di farla passare in secondo piano, e sarà Marissa a escogitare un modo per renderla più prorompente. Questo alleggerimento di tono si rivelerà positivo da un lato, e negativo da un altro, perché l’amalgama tra i toni drama e comedy non risulterà perfettamente riuscita.
La regia dell’episodio, affidata a Robert King, cerca di far prevalere i personaggi e lo sviluppo delle situazioni, piuttosto che svettare per manierismi e originalità. Si tratta di una regia televisiva molto precisa, che non si esime però dal fare delle scelte semplici ma efficaci: come ad esempio la scena in cui Diane riflette sulla propria crisi coniugale fissando un ematoma presente sulla spalla del marito, rendendo l’inquadratura del trauma fisico il simbolo della crisi del personaggio.
Leggi anche: The Good Fight rinnovato per la quarta stagione
Questa nuova stagione di The Good Fight ha tutti gli elementi necessari per risultare nuovamente un successo di critica e pubblico. L’operazione di emancipazione dalla serie originale da cui è tratta (ovvero The Good Wife), sta procedendo senza intoppi, e rafforzando ancora di più la caratura e il livello di tutti i protagonisti. E, da quanto abbiamo visto in questi primi cinquanta minuti, sembra che questa terza stagione potrebbe segnare l’apice di tutta la serie.