The Guardians of Justice: recensione della serie Netflix creata da Adi Shankar
Un'opera che ha decisamente come punto di riferimento Méliès.
The Guardians of Justice punta in alto, “all’occhio della luna”, con una formula narrativa innovativa e moderna e la potenza di un razzo: la serie provocatoria di Netflix scritta dallo showrunner Adi Shankar, con la collaborazione di Samuel Lanskey e Shawn DeLoache, vorrebbe essere un Viaggio nella Luna per citare l’opera rivoluzionaria di Georges Méliès omaggiato in un fotogramma dello show televisivo. Nonostante l’immaginario distopico, la satira supereroistica, le cui gesta si elevano tra i cieli variopinti dell’animazione e donano drammaticità in live action, riesce ad atterrare sulle piste dell’attualità servendosi dello spettro di un olocausto nucleare aleggiante sulla Terra. Attingendo alle storie dei fumetti Marvel e DC, l’autore porta sul piccolo schermo soprattutto quella partita giocata dalla sete di potere che si autoalimenta in eterno. Con queste premesse la prima stagione di The Guardians of Justice, disponibile su Netflix dall’1 marzo 2022 con i suoi sette brevi episodi, sembra destinata a calamitare il pubblico di giovanissimi.
The Guardians of Justice: quando la lotta sovrumana “per un bene superiore” miete vittime innocenti
Il plot di The Guardians of Justice si snoda con un incipit che è un flashback: si rivive il vivido inferno di un evento traumatico a cui segue il “Marvelous Man Day”. Nel presente è il 1987, il racconto prende avvio quarant’anni prima con lo scoppio della terza guerra mondiale: un conflitto che avrebbe potuto condurre all’estinzione dell’umanità. Il supereroe alieno Marvelous Man (Will Yun Lee) arriva sulla Terra, distrugge gli strumenti bellici e costringe i soldati a smettere di combattere; salva tutti e pone fine al conflitto in un solo giorno riuscendo a prevenire un disastro nucleare planetario. Con tanto di cerimonia ufficiale organizzata dal Presidente americano Nixon, nasce “The Guardians of Justice”: un nucleo di supereroi con l’obiettivo di ristabilire la giustizia nel mondo e spalleggiare le imprese di Marvelous Man. Passa sullo schermo anche la notizia che Hitler risorge come robot, e, in seguito alla missione straordinaria di salvataggio di Marvelous Man, il propugnatore dell’ideologia nazionalista e razzista si inchina al vero Übermensch (superuomo). Per la prima volta nel mondo la pace è sembrata a tutti possibile.
Intanto Logan Lockwood, uno dei nemici di Marvelous Man, inventa un proiettile capace di uccidere il “dio dei Guardiani”, composto di una rara sostanza che proviene da un altro pianeta: la caltronite. La storia poi ci riporta nel presente, quando Marvelous Man, con un intervento televisivo registrato in diretta dalla Cittadella della Giustizia che ha sede nello spazio, sconvolge tutto il mondo e lo stesso gruppo dei Guardiani composto dal suo braccio destro (il luogotenente Knight Hawk interpretato da Diamond Dallas Page), Golden Goddess, The Speed, Black Bow,Blue-scream, King Tsunami e Awsome. Il supereroe si rivolge al pubblico a casa, afferma di aver tenuto la Terra al sicuro per 40 anni e di essere stanco, poi si toglie la vita. In seguito alla sua morte, l’America si impegna a proteggere il suo lascito e a impedire l’intensificazione del conflitto nucleare, ma sembra proprio che la gente non si senta più al sicuro, mentre la moglie dell’eroe Laura Louis (Denise Richards) è sempre più convinta che suo marito sia vittima di un omicidio. Gli eventi propongono poi un susseguirsi di indagini che coinvolgono gli stessi Guardiani della Giustizia mentre il pianeta diventa teatro di giochi di potere con cui si cercano di modificare gli equilibri mondiali: critiche ai politici, mass-media che fanno propaganda, violenti attacchi perpetrati “per un bene superiore”. Ma non mancano le critiche aperte alla spettacolarizzazione della violenza.
Il focus sulla narrazione visiva e l’omaggio a Méliès
Adi Shankar ci fa assistere a una falsa cronaca degli accadimenti fantascientifici che da un lato sfida i concetti del genere supereroistico, dall’altro punta su un approccio ambizioso alla narrazione. La narrazione visiva del nuovo prodotto seriale Netflix muta continuamente nel tentativo di uguagliare, come vuole l’autore, il movimento e “il colore” dei ricordi in cui si mescolano animazione e iperrealtà dal ritmo concitato, perché Shankar punta tutto su questa. I sette capitoli di The Guardians of Justice si sviluppano attraverso una formula ricca di cambiamenti repentini che alterna riprese live-action, diversi stili di animazione in 2D e momenti in stop motion. Un’opera che ha decisamente come punto di riferimento Méliès e l’idea stessa del montaggio visivo e di una storia che veniva mostrata dall’inizio alla fine attraverso più quadri e inquadrature. Si cerca di “bucare lo schermo” con gli effetti visivi e non mancano inquietanti riferimenti a un conflitto innescato dall’Unione Sovietica e spunti in comune con X-Men e Blade Runner. La visione diventa un’esperienza che ingloba il pulp e il pop, passaggi magici o divertenti, passioni ed intrighi in stile soap opera e dimostrazioni di tecnologia aliena. Perdoniamo alla serie tv le cose già viste altrove e ne apprezziamo la riflessione sul ruolo dell’eroe contemporaneo e il coraggio di cambiare, forse perché ora più che mai abbiamo bisogno di incorruttibili lottatori per la pace.