The Handmaid’s Tale – Stagione 3: recensione della serie Hulu
La recensione della stagione 3 di The Handmaid's Tale, la serie evento Hulu tratta da Il Racconto dell'Ancella di Margaret Atwood e con protagonista Elisabeth Moss. Disponibile interamente su TIMVISION.
The Handmaid’s Tale, la serie Hulu tratta dal romanzo Il Racconto dell’Ancella di Margaret Atwood, è finalmente tornata con la terza stagione. Elisabeth Moss è di nuovo June Osborn e Yvonne Strahovski e Joseph Fiennes sono di nuovo i coniugi Waterford, ma sono tante le novità questa volta.
Mentre Gilead continua a mostrarsi, svelandoci nuove spietate usanze, l’azione comincia a coinvolgere anche il Canada, la cui nomea di “Terra Promessa” tende a scricchiolare a ogni sguardo dato più in profondità. Ma ancora più importante è l’apparizione della tanto ricercata Resistenza e il ruolo riservato al Comandate Joseph Lawrence, un ottimo Bradley Whitford, introdotto nella stagione 2.
Oltre a Whitford ci sono nel cast i ritorni di Alexis Bledel, Madleine Brewer, Ann Dowd, Francesco Mei, Samira Wiley, Sam Jaeger e Max Minghella. Tra i volti nuovi invece sono da segnalare Christopher Meloni ed Elizabeth Reaser, nei ruoli dei potenti coniugi Winslow.
La terza stagione della serie ideata da Bruce Miller è andata in onda in prima visione il 19 giugno su Hulu e il giorno dopo su TIMVISION, regola che è valsa per tutti e 13 gli episodi di cui è composta.
The Handmaid’s Tale – stagione 3: la trama
June ha deciso di rimanere a Gilead per recuperare sua figlia Hannah ma, grazie all’aiuto del Comandante Lawrence, è riuscita comunque a salvare sua figlia Nichole, mandandola in Canada insieme a Emily.
Nonostante il ritorno dell’Ancella a casa Waterford, la situazione è ormai irrecuperabile dopo la partenza della bambina e presto June si ritrova senza abitazione e senza Comandante. Destino vuole però che a lei si interessi proprio Joseph Lawrence, che la accoglie nella sua dimora. Qui June viene finalmente a contatto con la Resistenza, che opera attraverso una rete di Marte, tollerate dal Comandante Lawrence, il quale rimane però in una situazione borderline, non volendo esporsi per vari motivi, non ultimo quello legato alle condizioni di salute della moglie Eleanor. L’uomo può comunque costituire per June una speranza rinnovata di salvare sua figlia Hannah e fuggire con lei da Gilead.
Un altro fronte è quello che ci porta in Canada, dove Emily arriva con Nichole e, oltre a fare la conoscenza di Luke e Moira, tenta di ricominciare una nuova vita, lontana dalle crudeltà riservatele quando era un’Ancella.
Infine c’è la nuova situazione dei coniugi Waterford, in piena crisi dopo i fatti di fine seconda stagione. Serena è combattuta dalla scelta fatta di affidare Nichole a June per portarla fuori da Gilead e Fred, dal canto suo, è intenzionato più che mai a recuperare in rapporto con la moglie. Che sia proprio la bambina la chiave di volta?
The Handmaid’s Tale – stagione 3: un mondo più ampio
Nonostante la stagione 3 di The Handmaid’s Tale non torni a toccare le vette stilistiche e narrative della prima, essa riesce a scrollarsi di dosso i macigni della seconda stagione, uscendo dal triangolo DiFred/Serena/Fred e ampliando i suoi punti di vista, andando a visitare nuovi luoghi, nuovi personaggi, nuovi incastri e nuove situazioni.
Ormai il banco domestico di casa Waterford è saltato e tutti i suoi componenti devono necessariamente ricollocarsi se vogliono sopravvivere.
June si ritrova a casa del Comandante Joseph Lawrence, uno degli architetti di Gilead, un uomo enigmatico, che la donna deve cercare di decifrare per sfruttare la nuova situazione a suo vantaggio. La neo DiJoseph si ritrova di fatto in un’isola indipendente situata all’interno del Paese degli Orrori, ma ciò non vuol dire che non dovrà fare i conti con gli squali che vivono appena fuori l’uscio di casa.
L’aria di normalità di casa Lawrence, il desiderio materno di Serena di rivedere Nichole e le maggiori sequenze ambientate in Canada (mai nel vivo della narrazione come in questa stagione) permettono alla serie di respirare ancora di più, fuggendo i punti claustrofobici tanto efficaci in passato, quanto bisognosi di un continuo ricambio di ingredienti per non risultare pesanti, e cercare fortuna altrove.
La moglie del Comandante Lawrence ci ricorda come tutti a Gilead siano colpevoli e di come non ci sia possibilità di redenzione per nessuno; bastano le sue reazioni a rituali ai quali noi stessi spettatori ci siamo ormai abituati, per farci tornare il senso di disgusto e di violenza profonda che essi celano. Questo permette alla serie di tornare su eventi già narrati con uno sguardo diverso. La confusione di Serena diventa un elemento nuovo: è stata lei ad accettare di staccarsi da Nichole, eppure non può fare a meno di vivere senza di lei, un sentimento umano, ma che va a contrastare con le atroci regole che ella stessa ha contribuito a creare. Questa sua nuova guerra interna ribalterà il rapporto con il marito Fred, che mostrerà la sua pochezza nei confronti della moglie.
Intanto in Canada Emily lotta per ritrovare una sua normalità, scontrandosi però con un mondo che è andato avanti e che è di fatto riluttante ad accettare la realtà dei suoi vicini di casa, se non per scendere a patti con loro ed evitare conflitti troppo impegnativi. Il suo destino sarà dunque quello di accettare i suoi anni a Gilead e continuare la sua vita ripartendo da essi.
L’insieme di tutti questi nuovi punti di vista permette alla serie di andare avanti e, nonostante qualche piccolo passaggio a vuoto e qualche ruota impantanata, la serie torna a incollare allo schermo tutti gli spettatori.
La nota negativa questa volta riguarda la pur sempre splendida Ann Dowd, alla cui Zia Lydia viene riservato un banale episodio di approfondimento e poco altro.
The Handmaid’s Tale – stagione 3: il viaggio di June Osborn
Abbiamo detto che questa stagione è sicuramente ricca di novità, ma le fondamenta della serie, il suo fiore all’occhiello, il suo asso nella manica e chi più ne ha più ne metta, è e rimane la June Osborn della magnifica Elisabeth Moss.
L’attrice è diventata ormai una realtà importantissima del panorama attoriale statunitense e a lei è riservato sempre e comunque il compito di sostenere la narrazione della serie, sia per il grandissimo minutaggio dedicatole nelle puntate, sia per la sua partecipazione continua nei momenti topici e, infine, perché nonostante tutte le nuove prospettive introdotte, il punto di vista fondamentale rimane il suo.
June realizza nella stagione 3 il suo cambiamento definitivo. Ella viene messa talmente a dura prova da perdere, come a inizio serie, non solo ogni speranza di salvezza per se stessa, ma soprattutto ogni stimolo per continuare a combattere. Eppure ella sorge ancora una volta, ma non come June, bensì come l’incarnazione di uno spietato angelo salvatore, pronta a fare quello che nessun altro è disposto a fare pur di portare avanti la sua causa e spezzare tutti quelli che abbracciano la fede di Gilead.
La perdita di umanità del personaggio, unico modo per poter sopravvivere e poter compiere la sua missione, costituisce una delle trovate più interessanti dei scrittori della serie, in quanto la trasformazione di June è sottile e quasi invisibile. Probabilmente iniziata nella stagione 2, il suo viaggio arriva a un punto di rottura assolutamente ben congegnato, che, mentre sembra affossarla nella disperazione in un primo momento, le fornisce invece gli ultimi strumenti per compiere il passo conclusivo.
La Moss ci porta all’Inferno e ci mostra come June ne sia ormai stata fatalmente toccata, niente sarà più lo stesso né per lei né per tutti quelli che si metteranno sulla sua strada.
The Handmaid’s Tale – stagione 3: la vita lontana dal romanzo di Margaret Atwood
La stagione 3 di The Handmaid’s Tale afferma la sua completa indipendenza dall’opera di Margaret Atwood, almeno in attesa di The Testaments, il sequel letterario de Il Racconto dell’Ancella. Le anticipazioni a riguardo parlano di un romanzo vicino alla serie Hulu, ma finché non si avrà modo di leggerlo non se ne può essere sicuri.
Dunque ora come ora la serie continua il suo viaggio indipendente, basandosi sulla sua inconfondibile cifra stilistica (le composizioni ricercate nelle inquadrature, gli insistenti primi piani, i ricorrenti giochi di messa a fuoco, la regia attenta e indagatrice e l’uso di colori tetri e claustrofobici) e sulla continua lotta tra ciò che è naturale, e per questo libero, e ciò che è artificiale, crudele e imposto dall’esterno. Una gabbia che non potrà contenere per sempre la potenza primordiale delle emozioni umane, pronte a detonare nei modi più catastrofici se non ben direzionate.
La lotta continua ad essere il fondamento della narrazione e finché l’Ancella lotterà ci sarà ancora qualcosa da raccontare.