The Last Of Us – Stagione 2: recensione del primo episodio
La recensione in anteprima dell’episodio pilota di The Last Of Us – Stagione 2. Ancor più western, ancor più horror. Nonostante l’avanzata del Cordyceps, le emozioni hanno la meglio. Sull’importanza della terapia alla fine del tempo. Dal 14 aprile su Sky.
L’episodio pilota della tanto attesa The Last Of Us – stagione 2, l’ormai celebre serie targata HBO ideata da Craig Mazin e Neil Druckmann e in uscita su Sky dal 14 aprile 2025, pur mantenendosi fedele al respiro e ai tempi narrativi della stagione precedente, sfida qualsiasi possibile aspettativa. Infatti, anziché intitolarsi Giorni futuri, potrebbe tranquillamente definirsi così: “L’importanza della terapia alla fine del tempo”. Ci ricordiamo com’è finita tra Joel (Pedro Pascal) e Ellie (Bella Ramsey) nel corso degli episodi conclusivi della stagione precedente?
L’importanza della terapia alla fine del tempo

Dapprima quel sussurro doloroso: “Non posso farcela senza di te, Joel” e poi la promessa sulle Luci, appena prima di raggiungere la comunità di Jackson, Wyoming. A distanza di cinque anni li ritroviamo ancora lì, qualcosa però è cambiato. Non è più Ellie a non potercela fare senza Joel, bensì il contrario. Qualcosa tra i due si è spezzato, rompendo ferocemente quel legame spirituale, ormai di carattere familiare, giunto improvvisamente ad una battuta d’arresto. È colpa delle false promesse? O forse è qualcosa di più?
Le verità restano sospese nell’aria gelida di Jackson, quel luogo remoto di sopravvivenza ai confini delle terre d’America. Laddove uomini e donne giorno dopo giorno tentano di ricostruirsi, nonostante l’avanzata incessante del Cordyceps e dei Clicker. Infatti, nemmeno le abbondanti bufere di neve del Wyoming sembrano riuscire a fermarli, né tantomeno a confonderli. Nessuno può dirsi salvo, sia che si tratti del Cordyceps, sia che si tratti di emozioni. Lo sanno bene Ellie e Joel, alle prese con un rapporto conflittuale fatto di sguardi e silenzi, incomprensioni e distanze. Eppure qualcosa resta, forse una traccia d’amore, oppure ancora una volta di consapevolezza. Lui non può farcela senza di lei, lei non può farcela senza di lui.
Eppure, perfino la vita alla fine del tempo e dei giorni per come li hanno conosciuti i sopravvissuti di questa seconda stagione, non sembrano essere esenti da necessità umane che poco hanno a che fare con la violenza e molto più con l’amore e il benessere psicologico. Joel intende ricostruire il rapporto con Ellie, nel pieno di un’adolescenza ribelle minata da verità celate e promesse sospese. Come? Andando in terapia. Anche se i terapisti della sopravvivenza, sono tragicamente legati a qualcuno che il Cordyceps si è portato con sé, costringendo uomini e donne qualsiasi ad imbracciare le armi, anticipandone il dolore e la trasformazione.
The Last Of Us – Stagione 2. Episodio 1: valutazione e conclusione

Al pari della comunità ormai leggendaria, seppur esclusivamente sul piano letterario e mai televisivo di The Stand – L’ombra dello scorpione, probabilmente il testo definitivo di Stephen King sul significato profondo di sopravvivenza in un mondo ormai alla fine, dove il concetto di post-apocalittico si lega immediatamente a quello distopico, anche la comunità di The Last Of Us: Stagione 2, tenta in tutto e per tutto di restare coesa, nonostante il dolore e la tensione immediatamente percepita e incessantemente nell’aria.
Non casualmente osserviamo nel corso del primo episodio, il riaffiorare di un male del tutto umano, figlio della società precedente – e forse tragicamente, perfino di quella futura – e non del mostruoso, né tantomeno del fungo, ossia l’omofobia. A Ellie ancora non è concesso di amare liberamente. Non a Jackson, non nel luogo in cui la sopravvivenza umana al Cordyceps, resta ancorata alle violenze di un vecchio mondo. Subentra dunque la difesa, che come previsto, ottiene l’effetto contrario. Dapprima la vergogna e poi lo scontro.
Tutt’attorno l’avanzata del male, che celato dalle fitte nevicate del Wyoming, resta in attesa nel buio. Torna qui la dimensione tanto linguistica, quanto di scenario puramente western già rintracciata nella stagione precedente, se possibile ancor più crepuscolare e suggestiva – si pensi a Wind River di Taylor Sheridan in chiave post-apocalittica – ulteriormente sottolineata da vere e proprie battute di caccia, tanto a piedi, quanto in sella ai cavalli. Siamo soltanto agli inizi, eppure questa seconda stagione di The Last Of Us si preannuncia come qualcosa di inevitabilmente simile e al tempo stesso gloriosamente differente rispetto a quanto visto precedentemente.
Il respiro infatti è ancor più tensivo e la dimensione horror, specialmente in una sequenza d’agguato e caccia agli Stalker – stadio intermedio tra i Runner e i Clicker – si dimostra qui decisamente più cupa, minimalista e angosciante. Non resta che attendere i prossimi episodi. Ne è valsa la pena d’attendere questi due anni.