The Madness: recensione della serie TV Netflix
The Madness, protagonista Colman Domingo e su Netflix dal 28 novembre 2024, è un thriller cospirativo con l'ambizione di essere qualcosa in più della solita storia di suspense.
Limited series, la chiamano gli americani, ma da noi va bene anche miniserie. The Madness, creata da Stephen Belber, anche showrunner in coppia con V.J. Boyd, è una miniserie in 8 episodi disponibile su Netflix dal 28 novembre 2024. Thriller cospirativo sintonizzato sulla caotica contemporaneità americana, ha per protagonista il lanciatissimo Colman Domingo, che nel mondo della serialità si è ormai ritagliato uno spazio parecchio importante (Premio Emmy per Euphoria) e anche al cinema non scherza, pensando al solido rapporto con l’Oscar che potrebbe proseguire con l’acclamato Sing Sing (2023). The Madness non lo lascia da solo, circondandolo di un buon cast che comprende, tra gli altri, John Ortiz, Marsha Stephanie Blake, Deon Cole e Stephen McKinely Henderson. Se è vero che una buona storia si riconosce dalla facilità nel riassumerla, le premesse sono interessanti. Di che si parla? Dell’uomo sbagliato, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato.
The Madness: un uomo oppresso da una minaccia senza volto
Muncie Daniels (Colman Domingo) è un uomo estremamente sfortunato. Di formazione insegnante e poi anche attivista, vive a Philadelphia. La sua vita è cambiata una volta ottenuta la conduzione di un talk show televisivo di successo che ne ha fatto una star del piccolo schermo. The Madness proietta la vicenda di Muncie su un mix abbastanza calibrato di vecchio e nuovo. Vecchio, perché l’impianto narrativo parte da una delle più classiche convenzioni hitchcockiane – l’innocente accusato ingiustamente – per mescolarsi alle forme paranoiche del buon vecchio thriller complottista anni ’70. Nuovo, perché i riflessi tematici hanno la loro parte di modernità; non è tanto una questione di carta d’indentità – il suprematismo bianco non è esattamente la novità più scottante della storia americana – quanto di attualità e pertinenza dei discorsi.
Muncie lascia Philadelhpia e si trasferisce momentaneamente in una baita sulle Poconos, Pennsylvania nord orientale, per scrivere un po’. Conosce un uomo, Mark Simon (Tahmoh Penikett), un uomo bianco, va precisato, che lo guarda in maniera un po’ strana e con cui scambia parole gentili e tese. Lo ritroverà smembrato nei pressi della sua casa, dopo essere sfuggito per un pelo ai killer e aver scoperto che l’assassinato era un dannato suprematista bianco. Comincia così l’incubo paranoico di Muncie, l’uomo sbagliato nel posto sbagliato, in fuga da una forza ostile e molto pericolosa perché senza volto. La polizia pensa che sia lui il vero assassino, animata com’è da pulsioni razziste che non si preoccupa minimamente di occultare.
Solo l’agente FBI John Ortiz crede nella sua innocenza, ma non è facile dimostrarla perché, per ogni tentativo del protagonista di tirarsi fuori dai guai, c’è la risposta del nemico senza volto. Muncie, ostacolato a livello di immagine pubblica dalla controversa figura del padre, non ha vita facile neanche in famiglia. Dalla moglie Elena (Marsha Stephanie Blake) sta divorziando e con i figli Kallie (Gabrielle Graham) e Demetrius (Thaddeus J. Mixson) è un continuo saliscendi. Non è difficile capire cos’è che cerca di ottenere, The Madness, con spietata ostinazione, dalla sua storia: la stratificazione dei piani di lettura. Thriller, elementi cospirativi, critica capitalista, tensioni razziali, salute mentale, ambiente. Non è poco.
Ambizione tematica, non sempre ripagata
C’è tanto e, per come la serie gestisce la sua complessità, forse anche troppo. The Madness, a monte, è un thriller cospirativo imbevuto di verità opache e ombre sfuggenti; a valle cerca di essere qualcosa in più, agganciando le convenzioni del thriller alla contemporaneità americana nel tentativo, pregevole ma non sempre ottimale nella resa, di ancorare l’intrattenimento e la dimensione spettacolare della storia a un fondo più complesso e strutturato. C’è la questione razziale e, nel passato del protagonista, anche una riflessione su salute mentale e rapporto tra pubblico e privato. C’è un’analisi dei tossici legami tra economia, società, politica e ambiente, una famiglia in crisi e l’elogio della famiglia come scoglio di affetto e calore umano in un mondo crudele e, appunto, impazzito.
Ci sono otto episodi e per una volta la concisione è un limite e non un punto di forza, perché la complessa architettura tematica immaginata da Stephen Belber e V.J. Boyd per The Madness avrebbe avuto bisogno di più tempo e più spazio per consentire a ogni tema, a ogni nota e a ogni sfumatura caratteriale di perfezionarsi in maniera adeguata. E invece il tempo e lo spazio per lavorare sulla storia liberandone potenzialità inespresse non ci sono e la serie, ammirevole per la qualità della messa in scena e la solidità della suspense, stempera le interessanti premesse della prima metà in una seconda parte più farraginosa e macchinosa, tabto da far deragliare l’anima cospirativa in un complottismo poco credibile anche considerato lo standard di partenza. The Madness è una serie solida e tesa in bilico tra attualità e intrattenimento puro, violenta e popolata di fantasmi, frenata dalla sua ambizione o, per essere più precisi, dalla difficoltà strutturale a gestire la sua ambizione nel modo giusto. Riscattata ma solo in parte, nella sua imperfezione, dalla centralità riservata a un molto convincente Colman Domingo.
The Madness: valutazione e conclusione
Vincitore di un Emmy, nominato all’Oscar 2024 per Rustin, Colman Domingo, alla (non così) veneranda età di 55 anni ha raggiunto la maturità attoriale necessaria a sposare uno charme e una presenza fisica notevoli al racconto di una fragilità e un’emotività intense; non cozzano con la tensione e la violenza della storia ma, anzi, la arricchiscono. Colman Domingo è la cosa migliore di The Madness anche se non bastano, la densità e la verità della sua prova – notevolianche, tenendo a mente l’irrealtà complottista di buona parte della storia – a redimere la serie dallo squilibrio di un’ambizione tematica non sorretta da un’adeguata solidità narrativa. Pregevole nelle intenzioni, oscillante nella resa, il bilancio di The Madness si risolve in un onorevole pareggio.