The Outsider: recensione della serie TV tratta dal libro di Stephen King
Tratta dall'omonimo romanzo di Stephen King, The Outsider sembra seguire un'indagine apparentemente semplice sull'omicidio di un ragazzo. Ma il sovrannaturale si fa strada nel caso...
Dieci episodi ideati da Richard Price (The Wire, The Night Of) per HBO e trasmessi in Italia da Sky Atlantic dal 17 febbraio, e l’idea di trovarsi di fronte al solito crime drama. Un’idea sbagliatissima, perché The Outsider riunisce al meglio delle loro possibilità due tendenze del cinema e della serialità contemporanee: da un lato il rinnovato amore per Stephen King, che in questi anni sta facendo spesso capolino nei nostri piccoli e grandi schermi con miniserie di alta qualità (22.11.63) o controversi adattamenti (IT, Doctor Sleep); dall’altro la tensione verso il poliziesco contaminato da elementi disturbanti e misterici, seguendo la forse irraggiungibile scia della prima stagione di True Detective.
The Outsider, nel suo denso incipit, ci racconta un caso che sembra già chiuso ancora prima di vedere la luce: quello di un ragazzino di appena 11 anni che viene seviziato, smembrato e abbandonato in un bosco a Cherokee City, Georgia. I detective che seguono il caso hanno già tutto, perché filmati, testimonianze, impronte e dna inchiodano senza dubbio alcuno l’allenatore della squadra di baseball locale Terry Maitland. Che viene prontamente arrestato e che viene sottoposto ad una pesantissima e rabbiosa gogna mediatica. Fine? Ovviamente no: il suo alibi è, incomprensibilmente, inattaccabile. Ma lo sono anche gli elementi raccolti dall’accusa, che si trova di fronte ad una totale situazione di stallo.
The Outsider: la verità è un punto di vista
Il termine “outsider” significa letteralmente “estraneo”, inteso in senso lato anche come “corpo estraneo”. E la placida cittadina di Cherokee City viene come attaccata proprio da una forza aliena e sconosciuta. È uno dei tratti distintivi della poetica kinghiana: la rappresentazione dell’America e dei suoi stereotipi (le villette tutte uguali, lo sport come collante sociale, la religiosità, il perbenismo), destabilizzata da un evento inaspettato che ribalta la prospettiva. Questa non è solo la storia di Terry incriminato forse ingiustamente, ma è una narrazione che abbraccia e scuote tutta una comunità impreparata.
Basta che un ingranaggio funzioni in modo differente, e si scatena un oscuro effetto domino. Il poliziotto incaricato delle indagini (per quanti anni abbiamo sottovalutato l’attore Ben Mendelsohn), emotivamente coinvolto perché anni prima ha perso a sua volta un figlio, si ritrova per le mani un caso di coscienza apparentemente inestricabile: com’è possibile – SPOILER necessario, su di una svolta che accade a metà del primo episodio – che il principale accusato si trovasse in due luoghi diversi nello stesso momento? Come possono le prove e i video dimostrare in modo incontrovertibile due verità opposte?
The Outsider: dall’Alfa all’Omega, dal principio alla fine
In maniera decisamente più efficace del precedente Under the Dome (che non aveva a che fare con un omicidio ma con una manifestazione “divina” incomprensibile), The Outsider gioca al gatto col topo con lo spettatore tenendo altissima l’asticella della curiosità e dell’interesse. Merito dell’imprevedibile materiale di partenza, senza dubbio, e dell’elaborazione efficace ma rispettosa dello showrunner Richard Price; ma anche ad esempio della regia pragmatica e antiretorica – nei primi due episodi – del Jason Bateman di Ozark, che si ritaglia qui anche il ruolo dell’inquietante presunto infanticida su cui sospendiamo il nostro giudizio.
Dal buio alla luce, dal principio di una vita alla fine tragica di un’altra, dal’Alfa all’Omega: basta poco per capire che in The Outsider non basta la razionalità; anzi, la razionalità rischia di essere un pesante limite. È nel “diverso”, nella sfida alla logica e nel sovrannaturale che vanno ricercati gli indizi più importanti. Fisica e metafisica si mescolano e si fondono, tenendosi ad un passo dal ridicolo involontario e sfiorando il sublime. In questo ristrettissimo ventaglio The Outsider dimostra di aver imparato la lezione di chi ha fallito prima di lei per mancanza di equilibrio e di aver compreso lo spirito della poetica di Stephen King. Prendendoci per mano come da tradizione del poliziesco, certo, ma ponendoci dinnanzi a svariate riflessioni “esistenziali”, a domande inevase e irrisolte ben oltre la sua naturale conclusione.