The Patient: recensione della serie TV con Steve Carrell
Uno show che ci fa sentire persi, in cui la tensione aumenta progressivamente.
Un uomo davanti ad un altro. Parole su parole che servono per raccontarsi e raccontare, per aprire il buco nero che è la nostra testa e che spesso ci inghiotte. Da una parte c’è Alan Strauss (Steve Carrell), dall’altra c’è il paziente (Domhnal Gleeson), il primo prova a scovare il filo per sciogliere l’intera matassa ma dall’altra parte c’è una statua di cera. Nessuna volontà di aprirsi, nessun desiderio di liberarsi. Sarà per questo che il paziente deciderà di rapire il terapeuta e di portarlo nel seminterrato di sua madre, perché come dice Strauss per fare una buona terapia bisogna lavorare in un ambiente sicuro. Dove ci si sente più al sicuro se non a casa propria? Sono loro i due protagonisti di The Patient, la serie composta da 10 episodi, arriva in Italia il 14 dicembre 2022 su Disney+ (su Star) – che negli Stati Uniti sono stati rilasciati su FX il 30 agosto 2022 -, ideata da Joel Fields e Joseph Weisber, diretta nei primi due episodi da Chris Long.
The Patient: una serie tv che tiene col fiato sospeso
Sam, questo è il vero nome del paziente, ha bisogno d’aiuto e per questo ha sequestrato Strauss, ha bisogno che lui lo ascolti per davvero, profondamente, per questo lo rinchiude a casa, lo lega con una catena al pavimento e parla a lui che può sciogliere i nodi che si porta dentro, i rapporti con il padre, l’amore per la madre, le relazioni con il resto del mondo. Diventa così una seduta psicoterapica continua. Sam, un bambino con gli occhi spenti senza controllo degli impulsi, arriva, senza occhiali scuri, coperta di Linus durante gli incontri nello studio medico, libero da sovrastrutture, è pronto ad aprirsi veramente ora, a mostrarsi uomo in lotta con sé stesso, con i mostri che lo abitano. L’istinto omicida che bussa in ogni parte del suo corpo, è sul punto di scattare e lui non vuole farlo ancora, perché è già caduto tra le grinfie di quel sé stesso pericoloso, malato e violento. Ad accogliere i suoi racconti c’è Alan: anche lì sotto, in prigione, legato come un animale, resta un terapeuta, parla, incalza anche se è terrorizzato, anche se gli occhi spesso sono fuori dalle orbite, anche se i suoi mostri bussano alla mente. Alan è un uomo pacato, forse troppo, l’infinita empatia maschera un’arroganza e un’intransigenza che hanno danneggiato la sua stessa famiglia e poi per estensione l’umanità intera.
The Patient è una serie tv che tiene col fiato sospeso e lo fa in maniera elegantissima e intelligente con una scrittura calibrata che raggiunge livelli alti – i due creatori sono genitori anche di The Americans -, lungo gli episodi si rimette più e più volte in gioco tutto perché le carte si sparigliano rimettendo le pedine al punto di partenza. Emerge subito un elemento, paziente e terapeuta, vittima e carnefice, bisognoso di cure e curante sono ruoli che i due si interscambiano. Per dare una mano a Sam, Strauss deve mettersi in gioco, scavare nel proprio passato e ripensare ai propri errori, attraverso flashback: l’uomo ricorderà la malattia della moglie, il rapporto con il figlio Ezra molto difficile a causa delle scelte del giovane che ha sposato una giovane ortodossa, fino a ripensare alla grande Storia. Fantasmi, sentimenti, eventi che lo fanno soffrire mettono Strauss nella condizione di lavorare sulla propria interiorità e sulla propria mente in modo da salvare forse il paziente e quindi sé stesso.
Chiuso tra quelle quattro pareti, si perde tra i suoi dolori e tra quelli di Sam, cose che il serial killer non gli ha mai raccontato prima durante le sedute in studio, in relazione alla propria famiglia. Fields e Weisber creano una fitta rete di connessioni tra i due che rende ancora più complessa la storia. Si costruisce così una serie di espiazione e perdono, un racconto sul capire e capirsi, sul trovare empatia e sul riconoscere i propri punti ciechi.
Un racconto claustrofobico di isolamento e di paura
The Patient, grazie all’unità di tempo e di spazio, è uno show che ci fa sentire persi, senz’aria e la tensione aumenta; quando i fari della macchina di Sam entrano nel cortile di casa lo spettatore spera che siano la salvezza per Strauss, invece no, è solo il carceriere che porta il pasto, il giovane è un ispettore sanitario di ristoranti. La domanda quindi è solo e soltanto una: Strauss riuscirà ad uscire vivo da quel seminterrato?
The Patient è un racconto di claustrofobia e isolamento – anche nelle pochissime scene che si svolgono fuori dalla prigione di Strauss gli spazi sono comunque compatti -, non ci sono crimini, non siamo di fronte ad uno show murder eppure la morte, la paura di morire e di uccidere è sempre lì, pronta a scattare. Anche lo spettatore è chiuso lì, con loro, nella loro mente, isolato, ad assistere ai processi di Sam e di Strauss. Non si tratta di una serie che scava nelle sfumature e nelle minuzie di ciò che rende tale un serial killer, non descrivere clinicamente le caratteristiche di uno come Sam, è uno show che sfida le aspettative perché è sobrio e consapevolmente assurdo. C’è una fermezza potente nella storia che rende ancora più insopportabile la condizione di Alan. Carrell e Gleeson sono due interpreti perfetti che con il loro talento portano sullo schermo il tormento dei rispettivi personaggi: il primo riesce a dare vulnerabilità al suo Strauss che vacilla per il dolore passato e presente, suo e degli altri, e cerca di doppiare il suo rapitore nonostante sia in bilico, il secondo è bravo a interpretare un serial killer instabile, ma anche paradossalmente calcolato, che tenta di frenare le sue tendenze omicide con la terapia.
The Patient: un viaggio irregolare in un mondo irregolare
Il percorso di The Patient è determinato da un pensatore irregolare e quindi i ritmi della storia hanno la stessa caratteristica ricorsiva e a spirale. Sembra avvilupparsi ogni filo su sé stesso e Strauss si annoda a Sam, alla sua mente nodosa e intricata. Arriva un punto a metà della serie in cui tutto cambia, da lì in poi il ritmo si fa più veloce e la serie sembra diventare qualcos’altro. Si entra ancora di più in Strauss, nella sua vita interiore, nel suo lavoro di terapeuta. Il lavoro di Carell si fa ancora più sconvolgente, è bravissimo nel restituirci la passività quasi rassegnata di Strauss, piegato dal dolore, che sembra quasi accettare la propria condizione di ostaggio a cui viene costretto a causa di un compito proibitivo.
Mentre Strauss scava nel suo passato, ricorda, pensa, vengono toccate corde molto dolorose e delicate della storia dell’umanità che riguardano la storia della sua famiglia, The Patient ancora una volta cambia di verso, acquista un altro tono e si dimostra essere un unicum nel panorama.
Una lunga partita a scacchi tra un terapeuta e il suo paziente
The Patient è una serie che sconvolge, prende a schiaffi, rinchiude nel seminterrato insieme ai suoi protagonisti, mette in campo molte emozioni e le scuote di volta in volta. Racconta il disagio profondo, il dolore, la violenza, e tutto viene presentato allo spettatore attraverso le parole dei sue protagonisti. I tic di Sam, quel serrare la mascella quando è in tensione, i primi piani di Alan che trasmettono il panico, quella sua mite spigolosità costruiscono i confini di un rapporto complessissimo, disturbante e disperato che sostiene l’intero show. La risposta, se ce n’è una, sta nell’empatia, che è davvero l’ossessione principale di The Patient. La serie è una partita a scacchi ma di parole, di menti, memorie, pensieri, è uno scontro incontro tra due che vivono in un’assurda simbiosi, è una partita a ping pong tesissima, è un intrico di stanze che si aprono in altre, una sorta di mise en abyme affascinante ma anche spaventosa.