The Politician: recensione della serie TV Netflix di Ryan Murphy
La nostra recensione di The Politician, la nuova serie TV Netflix di Ryan Murphy che racconta in maniera satirica delle estenuanti elezioni scolastiche.
Negli ultimi 15 anni Ryan Murphy ha impresso nelle nostre menti un’idea di infallibilità: nulla di quello che esce dalla sua dorata vena creativa può rivelarsi un fallimento. Che si tratti di un drama che racconta la vita esuberante di due chirurghi plastici, che sia una serie TV su un coro scolastico a cappella, che sia un prodotto antologico che guarda alla tradizione horror a stelle e strisce o alle sue storie criminali più torbide, che sia uno show che parla di faide o della vita newyorkese negli anni Ottanta. Eppure la vita ci insegna una cosa: nessuno è infallibile. E allora era questione di tempo prima che da quella preziosissima vena creativa uscisse qualcosa come The Politician.
La serie TV – creata da Murphy che per l’ennesima volta sfrutta l’aura della sua collaborazione con Brad Falchuk e Ian Brennan – è una sorta di melodramma satirico, che analizza le brutture del “fare politica” e, in maniera più ampia “dell’essere un politico”. Lo show ha debuttato su Netflix il 27 settembre e racconta la storia di Payton Hobart (Ben Platt). Payton vuole diventare Presidente; anzi: è convinto che un giorno siederà dell’Ufficio Ovale. Ha posizionato tutto nel modo giusto, non ha lasciato nulla al caso: il suo percorso verso la Casa Bianca è ben segnato e visibile.
Il primo passo per raggiungere il suo ambizioso obiettivo, però, è diventare presidente del consiglio studentesco del suo liceo (il liceo più politicamente complesso sulla faccia della Terra). Non gli resta che affrontare la campagna elettorale, affiancato da due campaign manager preparatissimi e una futura First Lady con caschetto biondo. Forse è inutile dirlo, ma non tutto andrà come previsto.
The Politician: un prodotto confuso con un cast fortissimo, ma sprecato
The Politician è uno dei prodotti più confusi e confusionari di sempre. L’impressione è quella di avere a che fare con qualcosa che fatichi a rimanere concentrato e che, al contrario del suo protagonista, perda spesso di vista il proprio filo rosso. Le idee brillanti (che essendo un prodotto di Murphy, Falchuk e Brennan non mancano mai), tendono a essere annullate da una totale mancanza di coerenza che è impossibile non notare. The Politician è aggressivo, kitsch e affascinante. Come il luogo di un sanguinoso incidente, vogliamo distogliere lo sguardo, ma la curiosità è troppa: dobbiamo vedere come andrà a finire. Come farebbe un politico scafato, la serie ci sbatte in faccia cortesia, gentilezze e bellezza, ma basta uno sguardo poco più approfondito per notare le macchinazioni che sostengono la facciata.
Eppure, anche se consideriamo tutti gli elementi alquanto irritanti (ed estenuanti) che caratterizzano The Politician, di nuovo, lo show resta in piedi grazie a quell’aurea brillante e fascinosa che per qualche motivo illogico circonda ogni altro prodotto del sopracitato trio delle meraviglie. Perché in fondo, di cosa buone ce ne sono in The Politician, a partire dal suo personaggio centrale, il semplice, vulnerabile e talentuoso Ben Platt, conosciuto al grande pubblico per i film di Pitch Perfect, ma che a Broadway è già leggenda. Classe 1993, Platt è l’acclamato protagonista del musical Dear Evan Hansen (che gli è valso un Tony nel 2017).
Il suo Payton è la colla della narrazione e della serie nel suo intero. È un essere ossessivo e ossessionante, calibrato per fare irrimediabilmente un passo più lungo di quanto la sua gamba possa sopportare. Nato povero, ma adottato da genitori ricchi-ricchissimi (interpretati da Gwyneth Paltrow – forse più se stessa che mai – e Bob Balaban), Payton è e sarà sempre un pesce fuor d’acqua. È ansioso ed energetico, sorridente e tenero, spaventoso e pericolosamente ancorato a un’idea di se stesso che non è umanamente sostenibile. Teme di essere un sociopatico, problema che viene allontanato dalle buone maniere della madre. Insomma: Ben Platt e il suo Payton sono dei gioiellini, degli esempi di umanità interessante che, loro malgrado, non riescono a fornire uno scopo a una serie TV che non riesce nemmeno a fingere di essere davvero utile.
A peggiorare le cose c’è l’enorme frustrazione che deriva dal palese spreco di parte del suo cast, che comprende anche Jessica Lange e Zoey Deutch nei panni di una ragazza malata di leucemia e sua nonna, intenta a guadagnare il più possibile dalla condizione della nipote. Le due attrici – che non hanno bisogno di dimostrare il loro valore – non sono altro che elementi riempitivi, lasciati a loro stessi e svuotati della profondità che avrebbero potuto avere. Tutto questo se non consideriamo, tra l’altro, che il plot twist che le riguarda è il più telefonato della storia della televisione (problema di cui pare gli sceneggiatori non siano pienamente consapevoli).
The Politician: la forza della diversità e di un set design incredibile
Nonostante tutti questi elementi estenuanti, The Politician è – adeguandosi alla norma per Murphy – uno show totalmente inclusivo da tutti i punti di vista. Mostra un panorama modernissimo fatto di fluidità di genere e coming of age. La sessualità e il suo enorme spettro di colori sono accolte e sventolate con orgoglio in un mondo ideale dove vale tutto, perché così deve essere.
E tutto questo è confezionato con una produzione sfarzosa, un set design magnifico che sfrutta la bellezza delle case dei ricchi, fatte di mobili etnici, open-space, giardini infiniti e tappezzerie alla moda. I suoi personaggi, seduti a tavole da pranzo chilometriche, vivono conversazioni furbette e rapidissime (anche se spesso stracolme di nulla), interrotti da titoloni in sovrimpressione e musiche di sottofondo assordanti.
The Politician si merita una seconda stagione?
Murphy e i suoi hanno chiaramente infuso tanta volontà satirica (del sistema scolastico, della politica in generale, del concetto di famiglia) in The Politician citando spesso loro stessi: come non può tornare alla mente Glee quando la serie sfrutta la bellissima voce di Platt? Il tentativo di creare qualcosa di nuovo c’è, ma la serie fatica nel trovare una vera identità. Si dimentica dei suoi personaggi, li abbandona e torna a raccoglierli a caso, come se non gli importasse davvero. Le dinamiche vengono ribaltate illogicamente di puntata in puntata: alla fine la carne al fuoco sfamerebbe un esercito e diventa impossibile gestire nel modo giusto tutto quanto.
Il risultato è un’architettura narrativa che a Murphy è sempre piaciuta molto: un argomento viene introdotto, c’è un colpo di scena, viene introdotto qualcos’altro, c’è un altro colpo di scena, le cose sembrano andare male e invece di risolvono come se nulla fosse, quasi per magia. E avanti così all’infinito, per giungere al cliffhanger finale che lascia intendere la volontà di portare su Netflix una stagione 2. E – nonostante l’enorme frustrazione che ci fa provare The Politician – sarebbe un peccato se non ci fosse una seconda stagione: Payton si merita una rivincita, anche se non siamo sicuri che lo stesso valga per il resto della serie.
La vera perla di The Politician: l’episodio L’elettore
Per spezzare un’altra lancia a favore di The Politician, vale la pena spendere due parole sul quinto episodio, intitolato L’elettore (The Voter), che rappresenta una piccola perla di per sé. Come accade spesso anche nelle elezioni politiche, anche quelle del liceo di Payton saranno sbilanciate da una parte o dall’altra dai famosi “elettori indecisi”. La storia dell’intero episodio ruota attorno a Elliot Beachman, un adolescente nichilista, masturbatore compulsivo che non riesce a passare nemmeno un secondo della sua giornata senza fissare le compagne di scuola (o meglio, le loro parti intime) e che non potrebbe essere meno interessato di così alla campagna elettorale.
L’episodio – che potrebbe essere un corto auto-conclusivo – presenta una delle scene più interessanti della serie (e interessante in generale, in realtà): il dialogo tra l’elettore indeciso e il candidato Payton è una cosa perfetta, riflessiva e divertente. Ma un’ora brillante (seppur davvero brillante) basta a salvare tutto ciò che la circonda? Assolutamente no. Forse The Politician, come il suo protagonista, ha peccato di ambizione trasformandosi in un prodotto auto-promozionale e masturbatorio (persino più di Elliott) che fallisce nel comunicare un significato qualsiasi.