The Punisher: recensione della prima stagione della serie con Jon Bernthal
Tredici episodi da cardiopalma per una prima stagione ricca di sangue e vendetta.
Dopo circa una settimane dall’uscita su Netflix della prima stagione di The Punisher è tempo di tirare le somme. La serie, nata come primo spin-off di Daredevil, ha debuttato con tredici episodi venerdì 17 sulla piattaforma streaming riscuotendo un notevole apprezzamento. Dopo aver visto in anteprima i primi episodi, possiamo finalmente scendere nel dettaglio ed analizzare questa prima sorprendente stagione.
ATTENZIONE: POTREBBERO SEGUIRE SPOILER SULLA TRAMA DI THE PUNISHER
The Punisher: la storia e i personaggi della prima stagione
La storia segue le vicende di Frank Castle dopo gli eventi della seconda stagione di Daredevil. Avevamo avuto un assaggio del Punitore e del suo passato da militare. Ma, più importante, avevamo conosciuto la tragedia familiare che lo aveva colpito. The Punisher parte proprio da questa vicenda: Frank vuole scoprire chi ha commissionato l’omicidio di sua moglie e i suoi due figli. Poi vuole vendicarsi.
Il racconto inizia con un Frank Castle irriconoscibile: lavora in un cantiere, in solitudine, e si tiene alla larga dai guai cercando di reprimere la rabbia e la desolazione della perdita. Già dai primi episodi ci pare importante l’approccio interpretativo di Jon Bernthal. Calatosi nuovamente nei panni del Punitore, l’attore sviscera in profondità il carattere del personaggio.
Procedendo negli episodi il racconto prende nuove direzioni. Frank fa la conoscenza di David Lieberman – il Micro che a fine D2 aveva lasciato a Castle un DVD – un uomo che vive nascosto da più di un anno e, non con facilità, ottiene un’improbabile amicizia con Frank. I due hanno il medesimo obiettivo: incastrare i cattivi. Chiaramente è palese il dualismo tra i due personaggi: Frank vuole uccidere, David vuole consegnare alla giustizia.
Nel kaleidoscopio dei personaggi troviamo anche Dinah Madani, agente della Homeland Security in prima linea nella ricerca della verità riguardo ad una missione militare illegale in cui era coinvolto anche Frank Castle. Donna in un mondo maschile, deve destreggiarsi nella corruzione e nel doppiogiochismo. Interpretata da Amber Rose Revah: è una donna determinata, forte, intelligente e molto in linea con gli altri personaggi femminili del grande progetto televisivo Marvel/Netflix.
Non mancano i cattivi. Da membri della CIA dalla dubbia moralità ad ex-soldati che hanno perso tutta l’umanità che gli restava dopo lunghi periodi in zone di guerra. Ben Barnes, amico/nemico di Frank Castle in The Punisher è Billy Russo: un personaggio forse non riuscito completamente, ma utile a descrivere ancor più la complessità psicologica di Castle. Quando Frank scopre il tradimento dell’amico, fuoriesce è tutto quello che di marcio gli era stato tenuto nascosto: ecco quindi la resa dei conti ed un finale, forse, inaspettato.
La morale di Frank Castle: l’antieroe per eccellenza
Potremmo scrivere un trattato sul personaggio interpretato dal bravissimo Jon Bernthal. Abbiamo già avuto modo di conoscere The Punisher in Daredevil 2, ma qui entriamo a piè pari nella sua vita e nel suo passato. Frank è un uomo pungente, crudele a volte, ma provvisto di in un codice morale che egli stesso si è cucito addosso. Non uccide per il gusto di farlo, ma per punire chi ha sbagliato, chi lo ha tradito. Vediamo immediatamente la differenza che c’è fra lui ed un uomo come Matt Murdock, o meglio ancora con David Lieberman aka Micro, interpretato da Ebon Moss-Bachrach: i due hanno lo stesso obiettivo, ma approcci assolutamente contrastanti. Eppure c’è del buono in Frank: lo sentiamo, lo vediamo. E nonostante sappiamo sia sbagliato, ci troviamo molto spesso a fare il tifo per lui, a sperare che non manchi il bersaglio. Menzione di lode va in particolare all’attore, capace di portare sul piccolo schermo un personaggio complesso e privo di super poteri, quindi umano.
L’umanità macchiata del soldato tornato dalla guerra
Umana è l’aggettivo che ben si presta a descrivere questa prima stagione di The Punisher. Al di là della complessità di Castle, disquisita appena prima, uno dei temi più ridondanti ed interessanti della serie è lo status quo del soldato tornato dalle missioni in guerra. Ci troviamo di fronte a uomini distrutti psicologicamente e profondamente cambiati nell’animo. Immagini di operazioni militari e racconti dettagliati ci pongono con prepotenza davanti alle conseguenze che la guerra porta con se. E non solo direttamente al soldato ma anche a tutte le persone che gli sono vicino – vedi le azioni del veterano Lewis Walcott interpretato da Daniel Webber o lo stesso Billy Russo (Ben Barnes).
The Punisher: una serie matura da ogni punto di vista
Questa serie dimostra una nuova maturità sin dai primi episodi. Non c’è alcun elemento sovrannaturale o magico. Il protagonista non ha poteri di sorta. C’è un uomo che si scontra con la realtà, la crudeltà, la sporcizia, il dolore, il rancore e la rabbia. La regia, molto attenta, si muove con una certa meccanicità come a voler enfatizzare l’assenza di felicità. C’è tanto sangue, tante morti e tanta azione, seppur, quest’ultima, messa in secondo piano rispetto ad una più consapevole forma di racconto. I coreografici combattimento a fuoco e non solo lasciano prima spazio allo sviluppo della storia che si forma pian piano.
The Punisher colpisce e convince. La serie, nata dalla costola di Daredevil, si aggancia con stile alla sua serie madre, con il personaggio di Karen Page (Deborah Ann-Woll), ed al tempo stesso si discosta su una propria autonomia narrativa e registica. Si spera, a questo punto, che arrivi presto una seconda stagione.