The Punisher – Stagione 2 : recensione della serie tv Netflix
La seconda stagione di The Punisher è disponibile su Netflix dal 18 gennaio. I nuovi episodi saranno riusciti a cancellare i difetti attribuiti fino ad ora ad altre serie Marvel prodotte dalla piattaforma streaming? Andiamo a scoprirlo.
The Punisher ha le ore contate? Questa volta non è un temibile nemico a mettere a rischio la sopravvivenza di Frank Castle, bensì la stessa emittente che gli ha dato vita. Netflix ha infatti cancellato tutte le serie Marvel che aveva prodotto e distribuito negli ultimi anni. Gli ultimi telefilm che rimangono ancora in programmazione sono proprio The Punisher e Jessica Jones. Perciò è possibile che nei prossimi giorni possa arrivare il comunicato che staccherà definitivamente la spina anche alla serie che ha come protagonista il personaggio interpretato da Jon Bernthal.
The Punisher: Marvel lancia le magliette della serie Netflix
Ma, nel frattempo, il 18 gennaio la piattaforma streaming ha messo a disposizione tutte le tredici puntate della seconda stagione. Una delle richieste di molti fan per questi nuovi episodi di The Punisher, e per le serie Marvel/Netflix in generale (finché avranno ancora vita), era quella di cancellare quei difetti attribuiti ai precedenti telefilm (da Luke Cage fino al criticatissimo Iron Fist): ovvero essere caratterizzate da un’eccessiva lentezza, e da parecchi episodi fill-in, che facevano da riempitivi ad una trama di base diluita al massimo.
Molti fan chiedevano ai nuovi episodi di The Punisher meno lentezza nella narrazione, e meno episodi riempitivi. Ciò però è riuscito solo in parte
La seconda stagione di The Punisher è riuscita ad espiare le colpe delle altre altre serie Marvel/Netflix (ed anche di sé stessa)? Diciamo di no, e diciamo che nonostante siano diversi i difetti, questi nuovi tredici episodi hanno anche dei pregi (tra i quali le prime puntate della stagione che sono un colpo a segno mancato). Ma andiamo con ordine.
Trama e protagonisti
Il primo episodio si apre con Frank Castle in Michigan, ritiratosi dalla sua attività di giustiziere violento, ed alla ricerca di un po’ di pace e solitudine. Ma una serata in una roadhouse segnerà la svolta: Frank incontrerà un’affascinante barista con una vita segnata da alcune disavventure, e con un figlio a carico. Quella che doveva essere una notte di passione e voglia di non pensare al passato, si trasformerà però in un’idea più concreta da parte di Castle di poter ricominciare a vivere. Ma a complicare nuovamente la vita dell’ex Punitore si metterà una giovane, Amy Bendix (interpretata da Giorgia Whigham), la quale rifugiatasi anch’essa nella roadhouse, verrà attaccata da un gruppo di persone che la vogliono morta. Frank Castle (che ha il solito fiuto per i guai) cercherà di salvarla, e dovrà vestire di nuovi i panni del Punitore.
Tutto ciò è solo l’inizio di un arco narrativo che riporterà Frank Castle a New York, e che lo farà confrontare con due nemici principali: il redivivo Billy Russo (Ben Barnes), il quale vestirà i panni del personaggio dei fumetti Jigsaw; e Jon Pilgrim (Josh Stewart), un cristiano fondamentalista che farà da esecutore a ordini venuti dall’alto, tramite i quali s’incroceranno scenari da fanta-politica con una sotto-trama spy-thriller.
Non mancheranno nella serie i grandi ritorni, come quello dell’agente Dinah Madani (Amber Rose Revah), e new entry come la psicologa Krista Dumont (Floriana Lima), la quale coltiverà con Billy Russo un rapporto simile a quello che nell’universo DC Comics vede coinvolti Joker ed Harley Quinn.
Tanto sangue ma poca emozione
Se si dovesse definire con una sola frase questa seconda stagione di The Punisher si potrebbe descrivere così: tanto sangue ma poca emozione. Ciò che hanno cercato di fare lo showrunner della serie Steve Lightfoot, assieme alla sua squadra di sceneggiatori e registi, è stato mischiare l’imprinting di base del Punitore, fatto di pallottole e sangue che schizzano da una parte e dall’altra, con una certa profondità e delle motivazioni di base per le azioni dei personaggi. Ma il sangue, che scorre copioso, non ha nascosto l’intenzione di non essere veramente disturbanti (ed il fatto stesso che il viso deturpato di Jigsaw si sia ridotto a qualche cicatrice ne è una testimonianza). Ed i tanti dialoghi messi in bocca ai vari protagonisti, che cercano di spiegare e dare profondità ai propri character, non nascondono la solita trama giocattolosa da telefilm supereroistico.
Sì perché The Punisher cerca di raccontare molto delle motivazioni che spingono i protagonisti a fare ciò che fanno. Ma il racconto, anziché essere lasciato alle immagini, dà spazio a lunghissimi dialoghi e monologhi nei quali i personaggi cercano di darsi un tono shakespeariano, senza però risultare veramente profondi e tridimensionali.
La narrazione anziché essere lasciata alle immagini viene affidata a lunghi dialoghi e monologhi di personaggi che non riescono a darsi veramente profondità
Jon Bernthal (che è nato per fare The Punisher) sarebbe un attore anche abbastanza capace di recitare, e di non andare troppo sopra le righe, ma spesso viene costretto a ripetere il canovaccio del violento e disperato che prova a cercare un senso in ciò che è successo alla sua famiglia, ed in ciò che fa attraverso la violenza.
Mentre Ben Barnes, nel ruolo di Billy Russo, continua a recitare troppo sopra le righe, dimostrando che il ruolo del villain non gli si addice, ed apparendo come una scialba e brutta imitazione di un tipo di cattivo che, dal Joker di Heath Ledger in poi, molti attori hanno cercato d’inseguire invano.
Josh Stewart nel ruolo di Jon Pilgrim è invece abbastanza convincente, ed ha l’espressività giusta per rappresentare un personaggio freddo ma allo stesso tempo confuso con sé stesso e con il Mondo. Il resto del cast ruota attorno a questo continua ricerca di maturità da parte di un universo seriale (quello Marvel/Netflix), che vorrebbe confrontarsi con le grandissime serie tv (da House of Cards a Breaking Bad), ma che resta legato ai vecchi schemi e stereotipi dei primi approcci seriali ai supereroi.
E lo stesso vale per una regia che avrebbe bisogno di dettare i tempi della storia grazie ad immagini e ad una fotografia di maggiore impatto, ma che invece lascia dettare la narrazione ai tanti spiegoni dei personaggi, ed alle coreografie delle scene d’azione.
Un’occasione mancata
C’è stato però un momento in cui si è vista la luce. I primi tre episodi della nuova stagione sono ambientati in scenari in cui lo stesso Jon Bernthal ha spesso dato il meglio di sé: in Michigan, tra la Roadhouse in cui Frank Castle ha trovato pace e ristoro, e situazioni varie che si vanno sempre più a complicare, e che porteranno il Punitore di nuovo all’azione. I primi due episodi riescono a prendersi del tempo, ma senza fare da riempitivi: raccontano un Frank Castle in cerca di pace, che vive una piccola storia d’amore con una donna come tante, che racconta una storia di vita normale, nella quale chiunque potrebbe immedesimarsi.
Ma l’eccezionalità di Frank Castle porta il tutto ad una nuova escalation di azione e violenza, che culmina (nel terzo episodio) in una sorta di Distretto 13 in versione The Punisher, con una piccola centrale di polizia del Michigan presa d’assedio da un gruppo di esecutori senza scrupoli, e Frank Castle pronto a vestire nuovamente i panni del Punitore in una versione meno sopra le righe.
La seconda stagione di The Punisher risulta godibile e interessante, nonostante sia, per certi versi, un’occasione mancata
Ed è proprio in questi episodi che si può intravedere il seme di ciò che The Punisher sarebbe potuto essere, e non è stato: un puro western contemporaneo, con una narrazione che si prendeva tempo per raccontare i personaggi, pochi dialoghi e spiegoni impegnativi, e soprattutto scene e situazioni semplici ed efficaci, inframmezzati dall’eccezionalità di situazioni fuori dall’ordinario, descritte con gusto e con un post-modernismo capace di trarre ispirazione dalle fonti giuste.
Detto questo la seconda stagione di The Punisher risulta comunque godibile e interessante, e si lascia accompagnare fino alla sua ultima puntata. Si tratta di una serie che fa il suo, non riuscendo però a sgravarsi dagli errori che pesano su tutto l’Universo Marvel/Netflix. Errori che hanno portato serie come Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e Iron Fist da grandi picchi di attesa, ad una certa freddezza. Tutto questo è frutto dell’inconsistenza di un progetto che ha finto di essere diverso da ciò che in realtà voleva essere fin dal principio: un grande giocattolo fatto di tante maschere senza una vera tridimensionalità.