The Rain – stagione 3: recensione della serie TV Netflix
La nostra recensione della terza e ultima stagione di The Rain, serie apocalittica danese cupa, affascinante e dai toni ambientalistici.
È certamente peculiare guardare la terza e ultima stagione di The Rain nel mezzo di una pandemia globale. La serie danese che immagina un mondo negli anni successivi alla diffusione di un virus letale punta tutto sulla speranza dando vita a un finale che, in fin dei conti, potevamo davvero aspettarci.
La crescita di The Rain nel corso delle tre stagioni è stata davvero interessante: dopo un inizio alla The Walking Dead (con il focus sui sopravvissuti a un disastro di ampie dimensioni, in questo caso rappresentato da una pioggia mortale), i fratelli protagonisti Simone e Rasmus sono stati calati rispettivamente nei ruoli di eroina e villain. Simone, sempre buona in maniera irritante, vuole salvare il mondo, attanagliata dal senso di colpa di essere la figlia dell’uomo che ha provocato la fine del mondo. Lei è la luce, la natura, lei è il bene. Dall’altra parte c’è Rasmus, il fratello più piccolo che è passato da presenza irritante a presenza minacciosa. Rasmus è diventato di fatto il villain principale della serie: lui è oscurità, è inquinamento, è il male.
The Rain: ambientalismo e rivalità fraterna
E questa allegoria incarnata dai due fratelli che percorre un percorso ambientalistico torna e ritorna in The Rain: il mondo è minacciato (e distrutto) da un virus che ha un aspetto melmoso, nero come la pece, una sostanza mortale che ricopre e mangia tutto quello che tocca. La natura appassisce, l’uomo muore di morte dolorosa. Non c’è più nulla, dopo che quel virus oscuro decide di fare il suo corso. E la colpa non è della natura: è l’uomo ad aver creato la sua stessa rovina (come spesso accade, d’altronde). La sostanza tossica di The Rain altro non è che una rappresentazione dell’inquinamento in senso generale e dei disastrosi cambiamenti climatici da esso provocati. Tutto questo viene confermato nel corso della terza stagione (ATTENZIONE, SPOILER) scopriamo che la cura per il virus altro non è che un fiore. Un fiore che cresce nelle avversità, che si nutre del virus e che rinasce: la natura che si ribella alla tossicità dell’uomo e che, ancora una volta, gli salva la vita. L’uomo, in cambio, deve scegliere di essere come Simone: deve accettare la natura, accogliere la gentilezza, la cura come stile di vita e rinnegare la violenza della melma, combattere la fagocitazione che il lato oscuro comporta.
The Rain non è di certo uno dei prodotti di punta di Netflix, sebbene possa essere incluso nella lista di serie europee che rendono il servizio streaming davvero interessante. Insieme al cugino più bello e più famoso, Dark, The Rain porta alla ribalta un nord Europa cupo, certo, ma affascinante da morire. Si contrappone al sole gioioso ed effervescente della serialità spagnola (seppellendola, tra l’altro), rilanciando con le foreste piovose, il cielo plumbeo e i giubotti imbottiti. Non teme di mostrare il proprio Paese di origine per quello che è: un luogo freddissimo, inospitale e irrinunciabile.
The Rain: la stagione 3 chiude il ciclo di uno dei prodotti europei Netflix più interessanti
Rispetto a Dark, però, The Rain manca in un certo modo di complessità narrativa; non è facile affezionarsi ai protagonisti e alle loro storie cosa che, solitamente, siamo abituati a fare quando si tratta di serialità. In The Rain è necessario andare oltre il “lato umano” – abitato dagli individui più noiosi sulla faccia della Terra – e provare a concentrarsi sulla storia che viene raccontata: sarà facile che vi venga voglia di scoprire come andrà a finire (in fondo sono solo tre stagioni da 6 episodi l’una: minimo sforzo, massima resa).
Dopo l’impatto iniziale, infatti, vi ritroverete a correre verso il finale, consci del fatto che l’epilogo, seppur scontato, calza a pennello. Sentimentalismi a parte, vi sfidiamo a non godervi le immagini di una Copenaghen vuota, apocalittica e abbandonata, simile all’idea che Danny Boyle aveva avuto in 28 giorni dopo con la sua Londra. Scene terribili, da pelle d’oca e da incubo, che fanno venire allo spettatore la voglia di prendere un aereo e partire all’esplorazione della capitale danese.
Speriamo che The Rain rappresenti per la Danimarca un trampolino di lancio per la produzione di altre serie Netflix: a questo mood nordico non possiamo proprio rinunciare.